Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 33002 del 15/05/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 33002 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAZZAMATI FRANCESCO N. IL 04/09/1955
avverso la sentenza n. 2341/2011 CORTE APPELLO di TORINO, del
24/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. i -1 ,orn (n1 o
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che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. 1Ucid.-2.g_
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Data Udienza: 15/05/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con sentenza in data 24 aprile 2013 la corte d’appello di Torino in riforma della sentenza del
tribunale di Ivrea che, in esito a giudizio abbreviato, aveva assolto per non avere commesso il
fatto Mazzamati Francesco dal reato di estorsione aggravata in danno di Valpreda Leandro, in
concorso con altri giudicati separatamente, lo riteneva responsabile del reato limitatamente ai
fatti commessi dopo il 16 ottobre 2009 ed escluse le aggravanti contestate e concesse le
attenuanti di cui agli articoli 62 bis e 114 comma uno codice penale lo condannava alla pena di

della pena.
Ricorre per cassazione imputato deducendo che la

sentenza impugnata è incorsa in

travisamento della prova. Contesta la valutazione data dalla corte territoriale all’incontro del 23
ottobre 2009 e al contenuto della memoria difensiva del 14 febbraio 2011. Rileva anche una
non corretta interpretazione del contenuto delle conversazioni telefoniche del 27 e 28 ottobre.
Lamenta travisamento della prova anche con riguardo all’affermazione di consapevolezza da
parte del ricorrente richiamando elementi probatori e contesta la risposta data ai rilievi
difensivi circa la mancata indicazione del nome del Bellandi da parte del ricorrente all’incontro
del 23 ottobre 2009. Rileva che i giudici di secondo grado non hanno dato rilievo al fatto che
nel corso dell’incontro l’imputato, pur richiesto espressamente, nega al Valpreda il nome del
Bellandi e lamenta la mancata considerazione delle dichiarazioni rese dallo stesso avanti il
tribunale del riesame.
Il ricorso è infondato alla luce delle seguenti considerazioni.
La sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello del Procuratore Generale è pervenuta alla
riforma del giudizio assolutorio.
Deve ricordarsi il principio più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il
quale il giudice di appello che riformi totalmente la sentenza di primo grado, sostituendo
all’assoluzione l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, ha l’obbligo di dimostrarne con
rigorosa analisi critica l’incompletezza o l’incoerenza, non essendo altrimenti razionalmente
giustificato il rovesciamento della statuizione assolutoria in quella di condanna.
Va dunque ribadito (cfr., N. 1381 del 1994 Rv. 201487, N. 8009 del 1995 Rv. 202280, N.
15756 del 2002 Rv. 225564, N. 32970 del 2004 Rv. 229144, N. 7630 del 2005 Rv. 231136,N.
6221 del 2006 Rv. 233083, SS.UU. 24.11.2003, Andreotti Rv. 226093 e SS.UU n. 33748
20/09/2005, Mannino Rv. 231679), che il giudice di appello che riformi la sentenza di primo
grado, sostituendo all’assoluzione l’affermazione di responsabilità dell’imputato, ha l’obbligo di
dimostrare specificamente l’insostenibilità sul piano logico e giuridico degli argomenti più
rilevanti della sentenza di primo grado, con rigorosa e penetrante analisi critica seguita da
completa e convincente motivazione che, sovrapponendosi a tutto campo a quella del primo
giudice, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi
di prova diversi o diversamente valutati. La diversa spiegazione del fatto non può basarsi sulla
l

anni due di reclusione ed euro 800 di multa, con il beneficio della sospensione condizionale

semplice differente valutazione, ma deve fondarsi su dati fattuali che conducono univocamente
al convincimento circa la colpevolezza dell’imputato.
In questo caso, dunque, il giudice di appello deve raffrontare il proprio decisum non solo con le
censure dell’appellante, ma anche con il giudizio espresso dal primo giudice, che si compone
sia della ricostruzione del fatto che della valutazione complessiva degli elementi probatori, nel
loro valore intrinseco e nelle connessioni tra essi esistenti.
Inoltre, il giudice di appello, allorché prospetti ipotesi alternative a quelle ritenute dal giudice di
prima istanza, non può limitarsi a formulare una mera possibilità, come esercitazione astratta

processualmente acquisiti posti al fondamento di un iter logico che conduca, senza
affermazioni apodittiche, a soluzioni divergenti da quelle prospettate da altro giudice di merito.
Si comprende, quindi, perché sia indispensabile, ai fini di un persuasivo e completo giudizio di
legittimità, rilevare il vizio di mancanza o manifesta illogicità della motivazione non solo dal
testo della sentenza di appello, ma anche dal suo raffronto col testo della sentenza appellata,
soprattutto quando il vizio investa la valutazione dell’intero quadro probatorio o della
complessa trama indiziaria.
Venendo al caso di specie deve osservarsi che al Mazzamati, titolare della omonima ditta
Manufatto in Cemento di Feletto C.se, è stato contestato di essere, in concorso con Bellandi
Luigi e Bellandi Carmelo (figlio di Luigi) il mandante di tutta una serie di atti intimidatoriw
(lettere e telefonate anonime) e danneggiamenti di beni aziendali di cui sarebbero stati
esecutori materiali Mulas Andrea e Criaco Antonio allo scopo di indurre il Valpreda a versare,
perché cessassero minacce e danneggiamenti, la somma di euro 15.000,00 a Bellandi Luigi e
ad acquistare lo stabilimento della ditta Mazzamati. L’estorsione si sarebbe perfezionata
limitatamente al pagamento da parte del Valpreda a mani di Bellandi Luigi della somma di euro
4000,00 quale anticipo del maggior importo di euro 15.000,00.
Secondo il giudice di primo grado gli elementi indiziari addottidall’accusa non erano sufficienti
a spiegare come un imprenditore di lunga data ed incensurato, vittima di reali atti di estorsione
posti in essere verosimilmente dagli stessi Bellandi potesse poi essere divenuto loro sodale ed
anzi ideatore e mandante di tali reati in danno di altro imprenditore del settore.
Secondo i giudici d’appello il primo giudice avrebbe immotivatamente sottovalutato
l’importanza rivestita dall’incontro tra Mazzamati e Valpreda in data 23 ottobre 2009, momento
topico della vicenda estorsiva in danno di Valpreda, evento che dimostra, secondo la corte
territoriale, l’effettivo coinvolgimento dell’imputato nel reato. Lo scopo dell’incontro,
concordato in una telefonata del giorno precedente, altro non era che quello di far capire al
Valpreda che per far cessare il danneggiamento alla sua azienda e le telefonate minatorie
avrebbe dovuto rivolgersi a qualcuno in grado di intercedere nei confronti dell’autore degli atti
criminosi e indurlo a desistere dalla reiterazione degli stessi. Secondo i giudici d’appello è
evidente che questo qualcuno non poteva che essere un soggetto appartenente al mondo
criminale, perché diversamente il Mazzamati avrebbe esplicitamente parlato di forze dell’ordine
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del ragionamento disancorata dalla realtà processuale, ma deve riferirsi a concreti elementi

o di agenzie di vigilanza privata. Ma vi è di più il Mazzamati al suo interlocutore avrebbe fatto
capire di essere in grado di introdurlo verso questo autorevole personaggio, considerato che
anche lui si era trovato nella stessa situazione ed aveva ottenuto l’assicurazione che si era
trattato di un errore di persona e che per il futuro avrebbe potuto lavorare tranquillo. Che il
personaggio fosse il Bellandi Luigi è pacifico in quanto ammesso dallo stesso Mazzamati
nell’interrogatorio 9 giugno 2010. Secondo i giudici d’appello è perciò incontestabile che
l’incontro voluto dal Mazzamati costituisce un evento atto ad instradare il Valpreda verso il
Bellandi e a favorire il piano criminoso di quest’ultimo. Di tale piano, diversamente da quanto

consapevole, come indicato alle pagine 12, 13 e 14 della sentenza. Così come non costituivano
elementi dissonanti con il quadro accusatorio i fatti denunciati dall’imputato nel gennaio_
febbraio 2013. In definitiva i giudici d’appello ritenevano plausibile e verosimile che il
prevenuto, dopo essere stato vittima, anni addietro, di azioni di minaccia o violenza da parte
dei Bellandi, avesse da tempo o quanto meno negli ultimi tempi in qualche modo accettato, nel
senso di esserne fatta una ragione, la sua condizione di sudditanza nei confronti di costoro,
prestandosi ad evadere, sia pure con qualche resistenza, le loro periodiche richieste di denaro,
evidentemente in cambio di una qualche forma di protezione nell’ambito dell’attività lavorativa
e con l’accortezza di non dare troppo nell’occhio nel senso di non apparire organico alla
famiglia Bellandi e coinvolto nelle sue illecite attività. In questo contesto di relazioni personali
fortemente squilibrate, secondo i giudici di secondo grado non era strano che Mazzamati,
richiesto e intimato di collaborare all’attuazione del piano estorsivo in danno del Valpreda, con
il compito di instradarlo tra le braccia dei Bellandi, avesse potuto accettato l’incarico nella
convinzione che ciò fosse necessario per conservare lo status quo. Sulla scorta di tali
argomentazioni la corte territoriale ha ritenuto responsabile l’imputato dell’attività estorsiva
postk in essere allo scopo di costringere Valpreda ad accettare un rapporto di guardiania coatta
con Bellandi Luigi, impegnandosi ad erogargli la somma di euro 15.000 annui ed a versargli in
o
data 7 dicembre 2009 ‘importo di euro 4000 a titolo di anticipo, mentre non ha ritenuto
raggiunta la prova della fondatezza della ulteriore imputazione di tentata estorsione finalizzata
a costringere Valpreda ad acquistare l’azienda di Mazzamati. La Corte territoriale ha dimostrato
in maniera specifica l’insostenibilità degli argomenti più rilevanti di perplessità indicati nella
sentenza di primo grado, e, con rigorosa analisi, seguita da completa e
convincente motivazione, si è sovrapposta a tutto campo alla decisione del primo giudice,
dando ragione delle scelte operate.
A fronte di tali argomentazioni deduce il ricorrente travisamento della prova.
Con riferimento alle doglianze formulate dal ricorrente, attinenti alla tenuta argomentativa
della sentenza deve rilevarsi che, una volta rilevato che il giudice di secondo grado ha
adempiuto all’obbligo rafforzato di motivazione in caso di ribaltamento della sentenza
assolutoria di primo grado, il controllo di legittimità sulla motivazione non concerne nè la
ricostruzione dei fatti ne’ l’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica
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sostenuto dalla difesa del ricorrente, il Mazzamati, secondo la corte territoriale era pienamente

che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a)
l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di
difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Deve aggiungersi che
l’illogicità della motivazione, deve risultare percepibile

ictu °cuti, in quanto l’indagine di

legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della

Cozzolino ed altri). Inoltre, va precisato, che il vizio della “manifesta illogicità” della
motivazione deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo
apprezzamento va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a sè
stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati.
Va altresì ricordato che, anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e),
come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è tuttora consentito alla Corte di
cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del
contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al
giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che
dal “testo” del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché
specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del
giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in
un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i
vizi anche attraverso gli “atti del processo” rappresenta null’altro che il riconoscimento
normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della
prova” che è quel vizio in forza del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile)
rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova
risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato veicolato o meno, senza
travisamenti, all’interno della decisione.
In tal senso, per chiarire, si può apprezzare il travisamento della prova nei casi in cui il giudice
di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di
prova incontestabilmente diverso da quello reale (ad esempio, il testimone ha dichiarato
qualcosa di diverso da quello rappresentato in sentenza oppure nella ricognizione il soggetto
ha “riconosciuto” persona diversa da quella indicata in sentenza) (v., Sezione 4, 14 dicembre
2006, p.c. Bambini ed altri in proc. Guarneri). Mentre, giova ribadirlo, non spetta comunque
alla Corte di cassazione “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato
apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova il
giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a
fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e
ingiustamente trascurati o fraintesi.
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rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Cass., Sez. 4, 4 dicembre 2003,

Ponendosi nella richiamata prospettiva ermeneutica,le doglianze del ricorrente, contenute nei
motivi in cui lamenta il travisamento della prova con riferimento alla ricostruzione dei fatti si
palesa infondata, non apprezzandosi nella motivazione della sentenza gravata alcuna illogicità
che ne vulneri la tenuta complessiva.
Il ricorso deve pertanto essere respinto e il ricorrente condannato 41 al pagamento delle spese
processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deliberato in Roma 15.5.2014

P.Q.M.

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