Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32991 del 22/03/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32991 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCHIAVI IVAN N. IL 17/05/1970
avverso l’ordinanza n. 7167/2009 GIUD. SORVEGLIANZA di
REGGIO EMILIA, del 14/06/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
letteMentite le conOusioni del PG Dott. A,
etGaee.

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Uditi difensor Av-v ;

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Data Udienza: 22/03/2013

Ritenuto in fatto

1. Il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia, con il provvedimento
indicato in epigrafe, ha rigettato l’istanza proposta da Schiavi Ivan di remissione
del debito per spese di giustizia e di mantenimento in carcere sorto a seguito
della sentenza di condanna del Tribunale di Piacenza, deliberata in data 21
dicembre 2007, divenuta irrevocabile nei suoi confronti.
1.1 II giudicante, per quanto ancora interessa nel presente giudizio, ha

dalla Guardia di Finanza, che il pagamento del debito non impedisse un corretto
reinserimento sociale del condannato.
Il condannato, si sostiene nel provvedimento, risulta infatti percepire un
reddito complessivo di circa 1800,00 euro al mese e risulta proprietario
dell’immobile in cui vive, sicché, anche dedotto l’importo della rata mensile del
mutuo pari a 500,00 euro, risulta comunque insussistente il requisito delle
disagiate condizioni economiche, attesa anche la possibilità di un pagamento
rateale del debito ed II diritto di rivalsa nei confronti dei co-obbligati in solido.
1.2 Secondo il giudicante, inoltre, difetta anche l’ulteriore requisito della
regolare condotta in libertà, in quanto lo Schiavi, successivamente ai fatti
oggetto della sentenza di condanna a cui si riferisce il debito erariale, risulta aver
subito condanna per un un reato della stessa indole, commesso il 18 febbraio
2009.

2.

Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione

l’interessato, per il tramite del suo difensore, nel quale si sviluppano tre motivi
d’impugnazione.
2.1 Con il primo dei motivi dedotti, si denunzia l’illegittimità dell’ordinanza
impugnata, sotto il profilo della violazione di legge (art. 6 comma 2, d.P.R. 30
maggio 2002, n. 145) e del vizio di motivazione (mancanza o manifesta
illogicità), per avere il giudicante erroneamente ritenuto insussistente il requisito
delle disagiate condizioni economiche, senza adeguatamente considerare che lo
stesso deve ritenersi integrato anche quando l’adempimento del debito comporti
un serio e considerevole squilibrio del bilancio economico dell’istante.
In particolare, con riferimento alla comparazione da svolgere tra condizione
economica dell’istante e l’entità del debito, in ricorso si deduce: (a) che il reddito
mensile percepito deJ condannato non sarebbe pari a circa 1800,00 euro come
affermato dal giudicante, ma ad euro 1100,00 – 1200,00, come da

rigettato l’istanza, in quanto ha ritenuto, sulla base degli accertamenti espletati

documentazione prodotta; (b) che il condannato, oltre al pagamento della rata
mensile di mutuo, deve provvedere anche al pagamento di costanti cure
mediche, avendo subito, nel luglio 2007, una dissezione aortica di tipo “b”.
L’indagine svolta dal giudicante sulle condizioni economiche dell’istante – si
sostiene – sarebbe quindi superficiale, neppure menzionando l’ammontare

del

debito (pari ad euro 37.471,26), risolvendosi l’apparato motivazionale riservato
alla questione, in affermazioni apodittiche ovvero irrilevanti, come il riferimento
alla possibilità per il condannato di rivalersi nei confronti dei coobbligati in solido,

essenzialmente, al costo relativo allo svolgimento di operazioni di intercettazioni
telefoniche che non hanno riguardato utenze del ricorrente né di persone che con
lui conversavano.
2.2 Con il secondo dei motivi dedotti, da parte del ricorrente si denuncia
violazione di legge (art. 6 comma 2, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115), con
riferimento alla seconda

ratio decidendi del provvedimento impugnato

(l’esclusione del requisito della regolare condotta in libertà), non avendo il
giudicante adeguatamente considerato che il fatto di cui alla nuova condanna
(detenzione di sostanza stupefacente) fu originato dalla condizione di grave
tossicodipendenza in cui versava all’epoca il condannato, all’origine anche
dell’intervento chirurgico di dissecazione aortica, e che da tale condizione
l’istante risulta essersi affrancato, avendo iniziato un percorso di reinserimento
sociale, come desumibile dall’ammissione dello stesso a misura alternativia
(detenzione domicillee) e dalla regolarità della condotta nel periodo di
esecuzione di detta misura.
2.3 Con il terzo ed ultimo dei motivi dedotti, si censura, infine, la decisione
impugnata per violazione di legge, sotto il profilo della mancata applicazione
degli artt. 445 e 535 cod. proc. pen..
Si sostiene in ricorso: che allo Scavi, con sentenza ex art. 444 cod. proc.
pem era stata applicata una pena (anni uno e mesi due di reclusione ed euro
3500,00 di multa) interamente condonata; che essendo tale pena inferiore a due
anni, doveva trovare applicazione l’art. 445 cod. proc. pen. che esclude, in tale
eventualità, che la sentenza di patteggiamento comporti la condanna al
pagamento delle spese del procedimento; che ai sensi dell’art. 535 cod. proc.
pen. al ricorrente non poteva comunque venire richiesto il pagamento delle
spese relative ad intercettazioni telefoniche, in quanto le stesse non potevano
considerarsi «spese comuni», non essendo stato lo Schiavi mai intercettato.

2

omettendo di valutare, altresì, che il debito di cui trattasi inerisce,

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse dello Schiavi è basata su motivi
infondati e va quindi rigettata.
1.1 Con riferimento al primo motivo d’impugnazione dedotto in ricorso, deve
anzitutto escludersi la sussistenza del denunciato vizio di violazione di legge: né
sotto il profilo della inosservanza (per non aver il giudice a quo applicato una
determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione dei fatti

presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla
fattispecie); né sotto il profilo della erronea applicazione, avendo il giudice a quo
esattamente interpretato la norma di cui all’art. 6 comma 2, d.P.R. 30 maggio
2002, n. 115, posto che la stessa, per la remissione del debito per spese di
giustizia e di mantenimento in carcere, richiede in effetti la sussistenza nel
richiedente il beneficio delle disagiate condizioni economiche.
In particolare, quanto all’assunto secondo cui l’esclusione del requisito delle
disagiate condizioni economiche, sarebbe conseguenza di una valutazione
superficiale ed errata dei dati fattuali acquisiti nel corso del procedimento,
trattasi di deduzione che, all’esito del presente giudizio, deve ritenersi, invero,
non specifica e comunque, così come prospettata, non decisiva.
Al riguardo, occorre considerare, in primo luogo, che il ricorrente non ha
fornito alcun elemento che consenta a questa Corte di ritenere vuoi che il giudice
di merito abbia travisato il dato desunto dalla informativa dalla Guardia di
Finanza, tenenza di Fiorenzuola d’Arda, relativamente al reddito mensile
percepito dallo Schiavi (euro 1800,00 circa), vuoi che il reddito effettivo dello
*stesso sia invece pari ad euro 1100,00-1200,00.

Parte ricorrente, inoltre, non ha fornito, con il ricorso, alcun elemento che
consenta di ritenere che lo Schiavi, per le sue condizioni di salute, debba
sostenere effettivamente delle spese mediche costanti, di entità tale da incidere
negativamente sul suo bilancio familiare e che tale dato fattuale sia stato
adeguatamente rappresentato al giudice di merito.
D’altro canto il ricorrente, nel censurare la valutazione negativa del giudice
di merito circa la sussistenza del requisito delle disagiate condizioni economiche,
nulla deduce sul rilievo dello stesso, secondo cui il debito di cui si richiede la
remissione – seppure in effetti non menzionato quanto al suo esatto ammontare
– è comunque suscettibile di rateizzazione, dato questo che pure assume
rilevanza per stabilire la sussistenza o meno di un effettivo sensibile squilibrio tra

corrispondente alla previsione della norma, ovvero per averla applicata sul

condizioni economiche del condannato ed adempimento del debito, tale da
compromettere il

SUO

reinserimento sociale e giustificare per ciò, la concessione

del beneficio.
1.2 Quanto poi al secondo motivo di impugnazione, premesso che
l’insussistenza di profili di illegittimità nella decisione del giudice di merito di
escludere la sussistenza del requisito delle disagiate condizioni economiche,
rende superfluo l’accertamento dell’eventuale sussistenza anche dell’ulteriore
requisito della regolarità della condotta in libertà, pure escluso dal giudice di

che correttamente, intanto, tale dato ha formato oggetto di valutazione da parte
del giudice di merito, sebbene l’istanza di remissione del debito si riferisse a
spese processuali e di mantenimento in carcere, in quanto, se è pur vero che in
tal caso il requisito della regolarità della condotta deve essere esaminato con
esclusivo riferimento al comportamento inframurario e non a quello tenuto dopo
la scarcerazione (in tal senso, ex mulds, Sez. 1, n. 22376 del 08/05/2009 – dep.
28/05/2009, Capizzi, Rv. 244825), non va però trascurato, che di quest’ultima
condotta si deve comunque tenere conto se sintomatica della reale natura del
comportamento anteatto (quello cioè inframurario) (in termini, Sez. 5, n. 27302
del 17/06/2010 – dep. 14/07/2010, Lo Bue, Rv. 247893); (b) che anche volendo
dar credito alle indimostrate deduzioni del ricorrente circa la causale (grave
tossicodipendenza) del nuovo reato commesso dallo Schiavi e posto a base del
negativo giudizio sulla condotta del ricorrente, nessun effettivo profilo di illogicità
è ravvisabile nella decisione impugnata, che anche in considerazione della natura
premiale dell’invocato beneficio, ha ritenuto, con plausibile valutazione, che la
reiterazione della condotta antigiuridica da parte dell’istante dopo un periodo di
carcerazione (per detenzione illegale di sostanza stupefacente), fosse
sintomatica di una adesione solo formale ed opportunistica all’opera di
rieducazione.
1.3 Quanto, infine, all’ultimo motivo di impugnazione, con lo stesso si
introducono delle questioni – sostanzialmente l’asserita illegittimità della
condanna dello Schiavi al pagamento delle spese di cui trattasi; l’irriferibilità alla
sua posizione dell’intero ammontare richiesto – mai dedotte in precedenza dal
ricorrente e comunque estranee al ben definito oggetto del procedimento di
sorveglianza da lui instaturato, che afferiva esclusivamente alla concedìbilità allo
del beneficio della remissione del debito, e non anche alla contestazione
dell’esistenza stessa del debito o di parte di esso, questioni queste da far valere
in sede di esecuzione, nelle sedi preposte quali individuate, da ultimo, dalle

merito, per completezza di esposizione, sul punto non è superfluo precisare: (a)

Sezioni Unite di questa Corte

(sentenza n. 491 del 29/09/2011 – dep,

12/01/2012, Pislor, Rv. 251266), fermo restando, in ogni caso, che secondo la
prevalente giurisprpdenza di questa Corte, in tema di patteggiamento,
l’esclusione della condanna alle spese del procedimento non si estende a quelle
di mantenimento in carcere durante la custodia cautelare, per le quali vale la
equiparazione della sentenza ad una pronuncia di condanna, come stabilito
dall’art. 445, ultimo comma, cod. proc. pen. (in termini, Sez. 1, n. 27700 del

2. Al rigetto dell ricorso consegue ai sensi dell’art. 616 cod. proc, pen. la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P. Q. M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 22 marzo 2013.

26/06/2007 – dep. 12/07/2007, Servili°, Rv. 237119).

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