Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3297 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3297 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 12/12/2013

SENTENZA
Sui ricorsi proposti, nell’interesse di ARCADI Francesco, nato a
Sant’Agata del Bianco il 03.01.1966, attualmente in custodia
cautelare in carcere per questa causa, rappresentato e assistito
dall’avv. Adriana Bartolo e dall’avv. Vincenzo Nico D’Ascola avverso
l’ordinanza n. 366/2013 del Tribunale di Reggio Calabria in funzione
di giudice del riesame in data 29.04.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi distintamente
presentati dai due difensori;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott.
Massimo Galli che ha chiesto il rigetto dei ricorsi nonché la
discussione del difensore avv. Giovanni Vecchio in sostituzione
dell’avv. Bartolo e dell’avv. D’Ascola che ha chiesto l’annullamento del
provvedimento impugnato.

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RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 19.02.2013, il Giudice per le indagini
preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria applicava nei
confronti di ARCADI Francesco la misura cautelare della custodia in
carcere in relazione alle seguenti incolpazioni:

capo F) del reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 12-quinquies D.L.
8 giugno 1992 n. 306 conv. in L. 7 agosto 1992 n. 356, 7 L.
203/1991 (in Bianco il 18.01.2006)
capo G) del reato di cui agli artt. 81 cpv. cod. pen., 12-quinquies
D.L. 8 giugno 1992 n. 306 conv. in L. 7 agosto 1992 n. 356, 7 L.
203/1991 (in Bianco il 24.06.2008).
In particolare, ad ARCADI Francesco viene contestato di essersi fatto
attribuire in modo fittizio, previo accordo con altri ed al fine di
eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione
patrimoniale, con più azioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso e con distinte condotte, quote della società Bella Calabria
2005 s.r.l. da Aquino Rocco che, con Morabito Rocco (che a sua volta
avrebbe attribuito le sue quote a tali Strangio Fausto Ottavio e
Bernal Diaz Domingo), era socio occulto ed amministratore di fatto
della predetta società, nonché di essersi fatto attribuire, sempre in
modo fittizio e con le medesime modalità, quote della società BC
Immobiliare s.r.I.: il tutto, avvalendosi delle condizioni previste
dall’art. 416-bis cod. pen. e per agevolare l’organizzazione mafiosa
denominata ‘ndrangheta ed in particolare il locale dei Morabito di
Africo ed il locale degli Aquino di Marina di Gioiosa Ionica.
1.1. Avverso la predetta ordinanza, ARCADI Francesco proponeva
ricorso per riesame chiedendo l’annullamento del provvedimento
ovvero una sua riforma con la sostituzione della misura cautelare
massima con quella degli arresti domiciliari.
1.2. Con ordinanza in data 29.04.2013, il Tribunale di Reggio
Calabria in funzione di giudice del riesame respingeva il ricorso e
confermava il provvedimento impugnato.
1.3. Avverso detto provvedimento venivano proposti due distinti
ricorsi per cassazione.
1.3.1. Il primo ricorso datato 05.07.2013 a firma avv. Bartolo con

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prospettazione di tre distinti motivi:
– il primo, relativo alla dedotta violazione degli artt. 273, 292, 309
cod. proc. pen. in ordine alla sussistenza della gravità indiziaria per il
reato di cui all’art.

12-quinquies D.L. n. 306/1992, illogicamente

ritenuta sulla scorta di una presunzione di fittizietà dell’intestazione,
oggettivamente smentita dalla spiegazione puntuale offerta
dall’indagato e rappresentata con memoria difensiva assolutamente

non considerata, con conseguente mancanza di motivazione e nullità
dell’ordinanza (motivo primo);
– il secondo, relativo alla dedotta violazione per erronea applicazione
dell’aggravante di cui all’art. 7 L. 203/1991, con conseguente
mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza di condotta
agevolatrice dell’associazione (motivo secondo);
– il terzo, relativo alla dedotta mancanza di motivazione in ordine alla
sussistenza di esigenze cautelari determinanti la necessitata custodia
cautelare ed alla consequenziale violazione della regola di diritto
dettata dall’art. 275, comma 3 cod. proc. pen. anche alla luce della
recente decisione della Corte costituzionale (motivo terzo).
1.3.2. Lamenta il ricorrente, in relazione al primo motivo, come
l’ordinanza impugnata:
-abbia integralmente ripreso il testo dell’ordinanza cautelare
riproponendola anche graficamente senza alcun accenno di
valutazione propria degli elementi indiziari;
-abbia omesso l’analisi della fattispecie concreta rispetto agli
elementi tipici di quella contestata;
– abbia altresì omesso di valutare la copiosa documentazione prodotta
dalla difesa dalla quale risultava dimostrato che l’adduzione di
ingenti capitali dall’estero era tutt’altro che riconducibile ad impiego
di capitali illeciti e che la costituzione delle due società era tutt’altro
che finanziata da capitali provenienti da Aquino Rocco e da Morabito
Rocco;
– abbia omesso di valutare i rilevanti elementi dedotti a discarico
dall’ARCADI nel corso dell’interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen..
1.3.3. Lamenta il ricorrente, in relazione al secondo motivo, come la
decisione impugnata:
– sia del tutto priva di giustificazione in quanto, dopo aver richiamato
in premessa una generica, ma inutile, esistenza di intestazione

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fittizia asseritamente posta in essere da tutti i coindagati, “liquida” il
problema della sussistenza dell’agevolazione del consorzio criminoso
con il richiamo alla dimensione soggettiva di Aquino e Morabito;
-abbia totalmente omesso di individuare in relazione allo specifico
dell’intestazione fittizia la ragione per la quale la presunta condotta
dell’indagato fosse volta ad agevolare l’associazione.
1.3.4. Lamenta il ricorrente, in relazione al terzo motivo, come la

decisione impugnata abbia tratto il giudizio sulla pericolosità sociale
dell’indagato dalla condotta di reato posta in essere; inoltre, in
relazione alla regola di diritto di cui all’art. 275, comma 3 cod. proc.
pen., manca nel provvedimento impugnato l’individuazione specifica
di quegli elementi che rendono indispensabile la misura cautelare
massima così come totalmente omesso risulta il giudizio di
rispondenza in concreto tra l’inadeguatezza di ogni altra misura e
posizione individuale dell’indagato.
1.4.1. Il secondo ricorso datato 08.07.2013 a firma avv. D’Ascola
con prospettazione di tre ulteriori distinti motivi:
-il primo, con il quale viene dedotta la violazione dell’art. 606 lett. b)
ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 273 cod. proc. pen.
e 12-quinquies I. 356/1992 (motivo quarto);
– il secondo, con il quale viene dedotta la violazione dell’art. 606 lett.
b) ed e) cod. proc. pen. in relazione agli artt. 125, 273 cod. proc.
pen. e 7 I. 203/1991 (motivo quinto);
– il terzo, con il quale viene dedotta la violazione dell’art. 606 lett. b)
ed e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 274 lett. c) cod. proc. pen.
(motivo sesto).
1.4.2. Lamenta il ricorrente, in relazione al primo profilo di doglianza
(denominato, per chiarezza espositiva, motivo quarto), come
l’ordinanza impugnata:
-sia affetta da violazione di legge ed illogicità manifesta della
motivazione in ordine al giudizio di sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza in ordine al reato di cui all’art. 12-quinquies della I. n.
356 del 1992, ed in particolare non avendo dimostrato la
provenienza della quota di proprietà dell’ARCADI Francesco dal
patrimonio della organizzazione criminale indicata e, nello specifico,
da quello di Aquino Rocco né potendosi ovviare a tale lacuna
motivazionale con la considerazione secondo la quale vi sarebbe

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stata una sperequazione tra la capacità reddituale del ricorrente e gli
investimenti della società di cui il medesimo faceva parte dal
momento che il tipo di investimenti effettuati dalle società in oggetto
non avevano necessità di immobilizzazioni di capitale da parte dei
soci;
-abbia tratto il giudizio di gravità indiziaria dai rapporti sussistiti tra
l’ARCADI e la cosca Aquino ricavandoli dai contenuti delle effettuate

intercettazioni telefoniche e ambientali;
-abbia omesso di valutare l’attendibilità delle affermazioni contenute
nelle conversazioni “etero indizianti” riportate.
1.4.3. Lamenta il ricorrente, in relazione al secondo profilo di
doglianza (denominato, motivo quinto), come l’ordinanza impugnata:
-abbia completamente omesso di indicare in maniera chiara e precisa
quali fossero gli elementi in forza dei quali sarebbe stato possibile
sostenere che l’ARCADI fosse consapevole di favorire, con la sua
attività, i sodalizi criminali perseguiti piuttosto che un singolo
soggetto (Aquino Rocco).
1.4.4. Lamenta il ricorrente, in relazione al terzo profilo di doglianza
(denominato, motivo sesto), come l’ordinanza impugnata:
-abbia omesso di motivare, in modo adeguato ed esente da vizi logici
e giuridici, sulla ritenuta prognosi di pericolosità sociale dell’ARCADI
ancorata alle sole modalità e circostanze dei fatti e del tutto silente
in ordine alle altre circostanze soggettive indicative di un’inclinazione
a delinquere dell’indagato;
-sia incorsa in vizio di mancanza assoluta di motivazione in ordine
alle ragioni per le quali, a fronte della possibilità oggi prevista a
seguito della sentenza n. 57/2013 della Corte costituzionale di
disporre gli arresti domiciliari anche in costanza di reato aggravato
dall’art. 7 della I. n. 203/1991, ha giudicato che l’unica misura
applicabile all’ARCADI fosse quella della custodia in carcere.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. I ricorsi sono infondati e, come tale, vanno respinti.
3. Anzitutto è necessario chiarire i limiti di sindacabilità da parte di
questa Corte delle decisioni adottate dal giudice del riesame in tema di
provvedimenti sulla libertà personale. Secondo l’orientamento di questa

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Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento non conferisce al giudice
di legittimità alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali
delle vicende indagate (ivi compreso lo spessore degli indizi) né alcun
potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato
(ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle misure
ritenute adeguate) trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito
esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione

della misura cautelare, nonché del tribunale del riesame.
Il controllo sulla motivazione della Suprema Corte è, dunque,
circoscritto, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., alla
verifica di tre requisiti, la cui esistenza rende la decisione intoccabile in
sede di legittimità:
a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente apprezzabili che l’hanno
determinata;
b) l’assenza di manifesta illogicità dell’esposizione, ossia la coerenza
delle argomentazioni rispetto al fine che le hanno determinate;
c) il mancato affioramento di alcuni dei predetti vizi dall’atto impugnato
(Cass., Sez. 6, n. 5334 del 22.04.1992-dep. 26.05.1993, Verdelli ed
altro, rv. 194203).
Con riguardo al tema dei limiti del sindacato di legittimità, delineati
dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., come vigente a seguito
delle modifiche introdotte dalla L. n. 46 del 2006, questa Corte Suprema
ha ripetutamente affermato che la predetta novella non abbia
comportato la possibilità, per il giudice della legittimità, di effettuare
un’indagine sul discorso giustificativo della decisione finalizzata a
sovrapporre una propria valutazione a quella già effettuata dai giudici di
merito, dovendo il giudice della legittimità limitarsi a verificare
l’adeguatezza delle considerazioni di cui il giudice di merito si è avvalso
per sottolineare il suo convincimento. La mancata rispondenza di queste
ultime alle acquisizioni processuali può, soltanto ora, essere dedotta
quale motivo di ricorso qualora comporti il cd. travisamento della prova,
purché siano indicate in maniera specifica ed inequivoca le prove che si
pretende essere state travisate, nelle forme di volta in volta adeguate
alla natura degli atti in considerazione, in modo da rendere possibile la
loro lettura senza alcuna necessità di ricerca da parte della Corte, e non
ne sia effettuata una monca individuazione od un esame parcellizzato.
4. In diritto, va altresì preliminarmente rilevato come l’art. 12-quinquies

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I. 356/1992 costituisca una fattispecie di reato a forma libera,
finalisticamente orientata ad evitare l’attribuzione fittizia della titolarità o
della disponibilità di denaro o altre utilità, protesa ad eludere talune
disposizioni legislative, tra le quali le norme in materia di misure di
prevenzione patrimoniali (cfr. Cass., Sez. 1, 15/10/2003-dep.
11/11/2003, p.m. in proc. Fiorisi, rv. 226607). Lineamento essenziale
della

“figura criminis”

di cui trattasi è, insomma, la consapevole

determinazione – in qualsiasi forma realizzata – di una situazione di
difformità tra titolarità formale, meramente apparente, e titolarità di
fatto di un determinato compendio patrimoniale, qualificata dalla
specifica finalizzazione fraudolent4 normativamente descritta. Per questa
sua caratteristica, risulta irrilevante che il provvedimento di prevenzione
non sia ancora disposto, poiché – alla luce dell’interesse giuridico sotteso
al reato – conserva indubbiamente interesse penale la cessione dei beni
disposta proprio al fine di sottrarli all’effetto ablativo della misura.
L’ampiezza e l’indeterminatezza del momento oggettivo, trova però un
limite nell’indefettibile presenza del dolo specifico, momento selettivo
che qualifica il portato antidoveroso: lo scopo elusivo.
5. Fermo quanto precede, lamenta in primis (motivo primo) il ricorrente
l’uso, o meglio l’abuso, da parte del Tribunale di Reggio Calabria della
tecnica del copia-incolla evidenziando come il provvedimento impugnato
abbia ricalcato, anche nei refusi, la richiesta del pubblico ministero e la
comunicazione della notizia di reato della polizia giudiziaria.
Il motivo è infondato.
Invero, se è stato ritenuto nullo per difetto di motivazione il
provvedimento del giudice che riproduca alla lettera ampi stralci della
parte motiva di altra pronuncia, è altrettanto vero che la medesima
giurisprudenza fa salva l’ipotesi nella quale l’utilizzo di detta tecnica di
redazione manifesti una autonoma rielaborazione da parte del decidente
e dia adeguata risposta alle doglianze proposte dal ricorrente (Cass.,
Sez. 4, n. 7031 del 05/02/2013-dep. 12/02/2013, Conti, rv. 254937).
Nella fattispecie, il ricorso a detta tecnica compilativa non appare
censurabile e, soprattutto, non ha determinato nullità del provvedimento
avendo i giudici di seconde cure provveduto a fornire una valutazione
autonoma del materiale probatorio sottoposto alla loro cognizione (v.
pagg. 160 e ss. del provvedimento impugnato) e a dare adeguato
riscontro alle deduzioni e alle censure sollevate dalla difesa.

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6. Pari infondatezza hanno gli ulteriori rilievi articolati con riferimento al
primo motivo di doglianza attraverso i quali il provvedimento impugnato
è stato censurato:
a) per aver omesso l’analisi della fattispecie concreta rispetto agli
elementi tipici di quella contestata;
b) per aver omesso di valutare la copiosa documentazione prodotta dalla
difesa dalla quale risultava dimostrato che l’adduzione di ingenti capitali

dall’estero era tutt’altro che riconducibile ad impiego di capitali illeciti e
che la costituzione delle due società era tutt’altro che finanziata da
capitali provenienti da Aquino Rocco e da Morabito Rocco;
c) per aver omesso di valutare i rilevanti elementi dedotti a discarico
dall’ARCADI nel corso dell’interrogatorio ex art. 294 cod. proc. pen..
Le doglianze così come dedotte non sono consentite in questa sede: non
si denunciano infatti reali vizi di legittimità, ma si censurano in concreto
le valutazioni e gli apprezzamenti probatori, operati dai giudici di merito,
ed espressi nel provvedimento impugnato con una giustificazione che
risulta completa, nonché fondata su argomentazioni giuridicamente
corrette, adeguate e coerenti, nonché indenni da vizi logici.
L’impugnato provvedimento, invero, risulta intrinsecamente logico,
coerente ai dati di causa, correttamente informato ai principi normativi e
giurisprudenziali in materia, e dunque ben resiste alle censure formulate
in questa sede di legittimità.
Invero, lo stesso dà conto degli esiti di complesse attività investigative
condotte dalla competente Direzione Distrettuale Antimafia che hanno
consentito di far luce su un fenomeno di chiara matrice criminale
riguardante gli investimenti nel settore della realizzazione e successiva
vendita di complessi edilizi aventi destinazione turistico-residenziale ed
avviati a partire dal 2005, prevalentemente lungo la costa ionica. Le
organizzazioni criminali hanno maturato la convinzione di poter lucrare
notevoli benefici – non solo economici – nel predetto settore e di poter
inoltre ottenere il consenso sociale grazie alla creazione di nuova
occupazione ed alle opportunità di investimento generate. Questa
strategia ha visto la fattiva partecipazione di esponenti di vertice di
importanti famiglie del territorio, come quelle dei Morabito e degli
Aquino che, per poter realizzare detta attività, hanno fatto leva non solo
sulla forza propria dell’organizzazione criminale di appartenenza, ma
anche sull’indispensabile ricorso a specifiche figure imprenditoriali e

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professionali senza le quali le organizzazioni criminali mafiose,
nonostante la loro notoria capacità di controllo del territorio, non
avrebbero potuto avviare e portare avanti. Il contributo fornito da dette
figure è avvenuto nella consapevolezza del contesto, teso a favorire le
stesse organizzazioni criminali: nella realizzazione di tale fine, un ruolo
di primaria importanza hanno rivestito le attività di intestazione fittizia di
beni ed aziende, con riferimento alle quali la reale signorìa emerge in

maniera chiara dalla congerie di ponderosi esiti investigativi di cui si dà
atto nel provvedimento impugnato.
Evidenzia il Tribunale di Reggio Calabria che, sebbene il fenomeno possa
sembrare frutto della capacità imprenditoriale di determinati soggetti
apparentemente estranei alle consorterie criminali, le indagini avevano
ampiamente dimostrato l’esistenza di uno “sciagurato” connubio tra
l’adduzione di ingenti capitali dall’estero – che, allo stato, non trovano
giustificazione se non in quella di far fare al denaro provento di attività
illecite giri vorticosi (“psicopatici”, come da espressione usata da uno
degli indagati) – e la capacità delle organizzazioni criminali di governare
il territorio, attraverso l’acquisizione dei terreni ed il conseguimento,
grazie ad iter amministrativi preferenziali e comunque compiacenti, dei
necessari permessi per poter portare avanti l’attività e realizzare ingenti
profitti. Invero – ritengono i giudici di merito – la forza motrice del
fenomeno economico è derivata non solo dall’arrivo di denaro contante
dalla Spagna ma anche, e soprattutto, dall’accordo tra coloro che sono
stati portatori delle capacità di sviluppare gli investimenti (garantendo la
vendita degli immobili all’estero con una certa celerità) e gli esponenti
della criminalità organizzata locale che hanno monopolizzato il settore,
consentendo così solo a determinati compiacenti soggetti, ed a
determinate condizioni, la possibilità di poter partecipare alla
realizzazione dei complessi immobiliari oggetto d’indagine. Per la
maggior parte di questi ultimi, i finanziamenti sono pervenuti dalle
società spagnole Fausdom s.l. e Italia Connection Properties s.l. nonché
dalla società italiana Bella Calabria 2005 s.r.l.; per il complesso
immobiliare “Gioiello del Mare” i capitali esterni sono stati forniti dalla
società irlandese V.F.I. Overseas Property e dai suoi soci, Fitzsimons
Henry e Velardo Antonio.
7. Va preliminarmente rilevato come l’addebito mosso all’odierno
ricorrente sia di intestazione fittizia di beni, reato necessariamente

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concorsuale, del quale il Tribunale del riesame ha ritenuto sussistere nel
concreto – allo stato ed a questi fini cautelari – tutti gli elementi
costitutivi, oggettivi e soggettivi: l’ARCADI ha, in piena coscienza e
volontà, accettato l’intestazione di quote delle società Bella Calabria
2005 s.r.l. e BC Immobiliare s.r.I., benché fosse privo, in proprio, sia dei
capitali costitutivi che di ogni capacità organizzativa e gestionale,
all’evidente fine di eludere possibili provvedimenti di prevenzione di tipo

ablativo, di fatto rimanendo del tutto estraneo a qualsiasi fase ed
aspetto della vita delle predette società.
Pienamente condivisibili sono poi le argomentazioni di diritto fatte
proprie dai giudici del riesame secondo cui:
a) sotto il profilo oggettivo:
– l’essere socio effettivo di una determinata società non osta alla
configurazione della fattispecie oggetto d’incriminazione, nella misura in
cui comunque altri soggetti, passibili di essere sottoposti a
provvedimenti ablativi del patrimonio, rivestano all’interno della
compagine sociale il ruolo di soci occulti;
– non è necessario accertare la sussistenza di un formale trasferimento
giuridico di un bene attraverso un negozio affetto da simulazione
assoluta o relativa, essendo al contrario sufficiente dimostrare che il
soggetto agente, trovandosi con il bene in un rapporto di signoria di
fatto o di diritto, crei in qualsiasi forma la situazione di apparenza per
cui risulti, ma solo fittiziamente, che ad esercitare tale signoria sul bene
sia un altro soggetto, mentre in realtà il bene rimane nel suo esclusivo
dominio. Ne consegue che l’attività del concorrente, si può estrinsecare:
-sia in capo al soggetto che risulti formalmente intestatario della quota,
che nella realtà appartiene al socio occulto;
-sia in capo al soggetto che, essendo socio effettivo e non mero
prestanome, accetta consapevolmente che nella sua società entri un
soggetto come socio occulto attraverso la presenza di un prestanome;
b) sotto il profilo soggettivo:
– solo la totale inconsapevolezza da parte del terzo del fine illecito, in
base al quale la persona sottoposta o sottoponibile a misure
patrimoniale agisce, può assumere rilievo al fine di escludere in capo allo
stesso terzo la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Invero, in
piena sintonia con la ratio della disposizione in questione, la cui finalità è
anche quella di contrastare l’infiltrazione della criminalità organizzata nei

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gangli vitali dell’economia nonché l’illecita accumulazione da parte delle
organizzazioni malavitose di patrimoni di qualsiasi natura solo
apparentemente nella titolarità di soggetti terzi, nell’ipotesi in cui si
sussume l’intestazione fittizia di enti e/o società di capitali, non osta alla
configurabilità del reato la circostanza che i soci formali coltivino un
proprio interesse effettivo nella partecipazione alla vita della società o
comunque mantengano presso di sé l’amministrazione ordinaria

dell’attività di impresa, se risulta dimostrata (come accaduto nella
fattispecie) la compartecipazione allo svolgimento dell’attività di impresa
stessa e, quindi, all’incameramento degli utili di soggetti che, in realtà,
non avrebbero nessun titolo formale per rivendicare ed esercitare
attivamente tali prerogative.
8. L’ordinanza impugnata, nella ricostruzione fattuale, ben motiva in
relazione al fatto di come da tempo il settore turistico/residenziale sia
diventato motivo di forte interesse da parte di esponenti di vertice della
criminalità organizzata calabrese: interessi individuati innanzitutto da
parte di Morabito Rocco (classe 1960), esponente di vertice del locale di
Africo e componente con la carica di mastro di giornata della Provincia
(organo di vertice dell’associazione mafiosa denominata

‘ndrangheta),

già condannato alla pena di anni diciotto di reclusione per il reato di cui
all’art. 416-bis cod. pen. e da parte di Aquino Rocco (classe 1960),
esponente di vertice del locale di Marina di Gioiosa Ionica, componente
anch’egli della Provincia, già condannato alla pena di anni undici e mesi
due di reclusione per i reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen. e 7 I.
152/1991. I due sono risultati essere i veri “domini” di diversi
investimenti in complessi immobiliari, la cui reale riconducibilità è stata
sapientemente dissimulata attraverso l’interposizione di persone fisiche
e giuridiche.
Numerosi sono i riscontri alle laconiche ma significative indicazioni
ricavate dal tenore di talune captate intercettazioni telefoniche ed
ambientali intercorse tra altri soggetti indagati nell’ambito del presente
procedimento: in particolare, l’ordinanza impugnata, nella ricostruzione
fattuale, ben motiva in relazione all’accertata capacità di Aquino Rocco
di far lavorare alcuni soggetti nella costruzione di case in corso di
realizzazione per gli acquirenti stranieri. Ed ancora. Nel corso del
colloquio in carcere del 19.04.2008, Aquino Rocco spiegava allo zio
Aquino Salvatore il meccanismo delle azioni imbastite e l’ausilio fornito

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nella vendita degli immobili da due agenzie, mostrandosi ben addentro a
tali dinamiche e facendo persino riferimento all’anticipo del 40% versato
dalle società intermediarie ai costruttori secondo lo schema operativo di
Bella Calabria 2005 s.r.I.; del resto, Aquino Rocco, nel rappresentare la
bontà dell’affare allo zio detenuto, affermava espressamente di aver
costruito tramite “i ragazzi”, immobili poi venduti da una delle predette
agenzie. Il Tribunale incentra la propria analisi sulla genesi e ruolo della

società Bella Calabria 2005 che si è vista conferire dalla Immobiliare
Costruzioni Turistiche s.r.l. mandato per la vendita delle singole unità
abitative. La Bella Calabria 2005, considerata come il perno attorno al
quale ruota lo sviluppo imprenditoriale dell’interesse delle compagni
criminali del settore, venne costituita nel 2006 da quattro soggetti
(ARCADI Francesco, Vallone Domenico, Strangio Fausto Ottavio e Bernal
Diaz Domingo Manuel, quest’ultimo di origine spagnola), che sono
risultati in diversa misura contigui ad esponenti delle famiglie Morabito e
Aquino che, con detta società, hanno effettuato una sorta di
investimento comune. Detta società, inserita in una filiera ben più
articolata di società anche di diritto spagnolo (di cui faceva parte la
Italian Connection Properties s.l. e la sua partecipata al 100%, Italian
Connection Properties s.r.I.) ha manifestato una capacità finanziaria,
come testimoniato da numerosi dati oggettivi (bilanci, intercettazioni,
ecc.) assolutamente non compatibile con le capacità economichereddituali dei soci: e valga su tutti l’apporto di euro 2.400.000,00 a
titolo di finanziamento soci operato tra il 2006 e il 2007.
Inoltre, ciascuno dei singoli soci ha, come unica compartecipazione
societaria, quella di:
-euro 25.000,00 (versato euro 6.250,00, pari al 25% del capitale
sociale) nella Bella Calabria 2005;
– euro 25.000,00 (versato euro 6.250,00, pari al 25% del capitale
sociale) nella BC Immobiliare.
Tra la congerie di materiale probatorio in atti, si cita – in via
esemplificativa per la sua significatività – l’espressione usata dal
coindagato Strangio Fausto Ottavio che, nel corso di una conversazione
(conv. amb. n. 292 dell’11.12.2006 ore 17.35), parla di “Sistema
Calabria”, sistema imperniato sul finanziamento di iniziative nel citato
settore da parte di soggetti spagnoli, attraverso strutture societarie
estere e italiane, partecipate anche da soggetti italiani, con il fine di

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realizzare complessi immobiliari da vendere principalmente a soggetti
stranieri, attraverso una struttura internazionale di collocazione degli
immobili. Altra conversazione (telefonica) emblematica a dimostrazione
di come sia stata la Bella Calabria 2005 a finanziare la costruzione del
complesso “Amusa Mare” è la n. 10285 del 05.08.2010 che vede come
interlocutori il coindagato Vallone e tale avv. Ferrigno (” quelle case non
le ha fatte l’ingegnere – ossia, il costruttore – con i soldi suoi ! Le ha

fatte con i soldi che gli abbiamo dato noi … quando deciderà lui – ossia,
il costruttore – mi pare proprio di no, le venderà quando è giusto
venderle e quando arrivano i clienti, quando le vende lui mica quelle
case sono sue ! E adesso non è che si deve allargare l’ingegnere …).
A sua volta, la BC Immobiliare è risultata essere una società “fotocopia”
di Bella Calabria 2005 in quanto costituita dagli stessi soci di
quest’ultima e, come quest’ultima, destinataria di ingenti flussi finanziari
serviti come input economico e giustificazione ufficiale per l’avvio delle
attività intraprese dalle società cartolarmente riconducibili ai soci formali
di Bella Calabria 2005 s.r.I..
Da qui l’evidente ed assolutamente condivisibile conclusione tratta dal
Tribunale di Reggio Calabria che l’ARCADI, come del resto gli altri soci
formali della Bella Calabria 2005 s.r.l. e della BC Immobiliare, fosse
pienamente consapevole che altri (e da lui perfettamente conosciuti)
fossero i soggetti aventi un effettivo potere decisionale sulle scelte
d’impresa.
9. Anche i profili di doglianza articolati in relazione al secondo motivo di
censura risultano infondati. Invero, dopo aver premesso che la
giurisprudenza di legittimità chiarisce come la circostanza aggravante
del metodo mafioso, di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella
legge n. 203 del 1991, può trovare applicazione anche in relazione al
delitto di trasferimento fraudolento di valori quando si tratti di condotte
funzionali a favorire l’operatività di un sodalizio di stampo mafioso in
quanto strumentali a sottrarre i beni e le attività illecitamente
accumulate dall’associazione a misure ablatorie (cfr., Cass., Sez. 1, n.
21256 del 05/04/2011-dep. 26/05/2011, lana, rv. 250240), va
riconosciuto come la linea argomentativa sviluppata dal giudice di merito
risulti immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica,
evidenziabile dal testo del provvedimento, mentre il tentativo del
ricorrente di lumeggiare una diversa ricostruzione del fatto si risolve, per

13

l’appunto, nella prospettazione di una lettura soggettivamente orientata
del materiale probatorio alternativa a quella fatta motivatamente propria
dal giudice di merito nel tentativo di sollecitare quello di legittimità ad
una rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o all’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei medesimi, che invece gli sono precluse ai
sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen..

Sul punto il Tribunale di Reggio Calabria, con motivazione immune da
vizi logici, ha riconosciuto come la consapevolezza da parte dell’ARCADI
del ruolo di soci occulti assunti dai Morabito e della strumentalità della
complessiva operazione di intestazione fittizia alla realizzazione di
svariati complessi immobiliari a vocazione turistico-residenziale, solo
apparentemente di proprietà di soggetti terzi ma in realtà ad
appannaggio degli esponenti apicali della cosca di `ndrangheta, fosse
incontestabile nella misura in cui il ricorrente si era rappresentato che il
proprio contributo ridondasse a vantaggio di tutta la consorteria.
Rapporti, quelli tra le famiglie Aquino e Morabito, assai contigui non solo
di natura professionale ma anche conviviale.
I giudici del riesame danno inoltre piena contezza circa la loro adesione
a quell’orientamento giurisprudenziale, peraltro condiviso da questo
Collegio, secondo cui la contestata circostanza aggravante di cui all’art.
7 D.L. n. 152 del 1991, conv. nella legge n. 203 del 1991, abbia natura
oggettiva, essendo sufficiente che il requisito del dolo specifico di
“agevolazione” dell’attività dell’associazione mafiosa sussista in capo ad
uno dei correi e che i restanti concorrenti siano messi nella possibilità di
conoscere che “altri” perseguano il fine ultimo stigmatizzato dalla norma
penale in parola (cfr., Cass., Sez. 6, n. 24025 del 30/05/2012-dep.
18/06/2012, Di Mauro, rv. 253114): circostanza aggravante che può
trovare applicazione anche in relazione al delitto di trasferimento
fraudolento di valori in quanto l’occultamento giuridico di un’attività
imprenditoriale attraverso la fittizia intestazione ad altri, implementa la
forza del sodalizio di stampo mafioso, determinando un accrescimento
della sua posizione sul territorio attraverso il controllo di un’attività
economica (cfr., Cass., Sez. 6, n. 9185 del 25/01/2012dep. 08/03/2012, rv. 252282).
10. Come si è detto in premessa, il ricorrente, nel quarto e quinto
motivo di doglianza (rispettivamente, primo e secondo motivo del

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ricorso a firma avv. D’Ascola), lamenta:
-la mancata dimostrazione della provenienza della quota di proprietà
dell’ARCADI Francesco dal patrimonio della organizzazione criminale
indicata e, nello specifico, da quello di Aquino Rocco;
– l’aver tratto il giudizio di gravità indiziaria dai rapporti sussistiti tra
l’ARCADI e la cosca Aquino ricavandoli dai contenuti delle effettuate
intercettazioni telefoniche e ambientali;

– l’aver omesso di valutare l’attendibilità delle affermazioni contenute
nelle conversazioni “etero indizianti” riportate;
-l’aver omesso di indicare in maniera chiara e precisa quali fossero gli
elementi in forza dei quali sarebbe stato possibile sostenere che
l’ARCADI fosse consapevole di favorire, con la sua attività, i sodalizi
criminali perseguiti piuttosto che un singolo soggetto (Aquino Rocco).
11. Si tratta di profili, reciprocamente assorbiti, in relazione ai quali i
giudici di seconde cure hanno fornito adeguata dimostrazione – a
sostegno dell’ipotesi accusatoria e, segnatamente, dello scopo elusivo nella ricostruzione in fatto riportata nel corpo del provvedimento.
Invero, il Tribunale di Reggio Calabria, trattando della posizione
dell’ARCADI ha riconosciuto come lo stesso fosse uno dei quattro soci
fondatori (insieme a Vallone, Bernal e Strangio) agli inizi del 2006 della
società Bella Calabria 2005 s.r.I., verificandone ed affermandone la
contiguità con la famiglia Morabito testimoniata, anche qui
esemplificativamente, dai seguenti elementi di fatto:
a) che la Bella Calabria 2005 s.r.l. risulta inserita in una filiera ben più
articolata di società anche di diritto spagnolo operanti da anni nel
mercato immobiliare calabrese;
b) che l’ARCADI, parimenti agli altri tre soci della Bella Calabria 2005
s.r.l. (Vallone, Bernal e Strangio), ha una scarsa capacità reddituale
e patrimoniale in relazione alla tipologia e all’entità degli impieghi
necessari all’attività legata alla costruzione e gestione di complessi
immobiliari: evidenze assolutamente incompatibili con le cospicue
somme di denaro che avrebbero investito i soci della Bella Calabria
2005 s.r.I., come l’apporto di euro 2.400.000,00 a titolo di
finanziamento soci operato tra il 2006 ed il 2007;
c) che l’ARCADI ha avuto rapporti di diretta frequentazione con la
famiglia Aquino con la quale è legato anche da un rapporto di
“comparaggio”.

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Quanto al valore probatorio delle captate intercettazioni telefoniche,
l’interpretazione e le valutazioni tratte dai giudici di merito appaiono non
censurabili in questa sede: ciò è in linea con l’orientamento espresso da
questa Corte – e condiviso dal Collegio – secondo il quale il contenuto di
una intercettazione, anche quando si risolva in una precisa accusa in
danno di terza persona, indicata come concorrente in un reato alla cui
consumazione anche uno degli interlocutori dichiara di aver partecipato,

va anch’esso attentamente interpretato sul piano logico e valutato su
quello probatorio, non è però soggetto, nella predetta valutazione, ai
canoni di cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. (cfr., Cass., Sez. 5,
n. 603 del 14.10.2003-dep. 13.01.2004, Grande Aracri, rv. 227815).
12. Anche i profili di doglianza articolati in relazione al sesto motivo di
censura (terzo motivo nella prospettazione del ricorso dell’avv. D’Ascola)
risultano infondati.
Al riguardo, occorre riconoscere come la linea argomentativa sviluppata
dal giudice di merito, anche con riferimento alle valutate esigenze
cautelari, risulti immune da qualsiasi caduta di consequenzialità logica,
evidenziabile dal testo del provvedimento.
13. Consegue pertanto il rigetto dei ricorsi proposti nell’interesse di
ARCADI Francesco e la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1
pen..
Così deliberato in Roma il 12.12.2013

ter, disp. att. cod. proc.

non è in alcun senso equiparabile alla chiamata in correità e pertanto, se

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