Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32967 del 02/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 32967 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da

CONSULIC1-1 Silvio, n. Renon il 29.5.1943,

avverso l’ordinanza del 4.12.2012 del tribunale di Trieste
Udita la relazione fatta in camera di consiglio dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Mario Fraticelli che ha
concluso per l’annullamento s.r. dell’ordinanza impugnata ;
la Corte osserva:

Data Udienza: 02/05/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del GIP presso il tribunale di Trieste del 8.11.12 veniva
disposto il sequestro preventivo sui beni dell’indagato CONSULICH Silvio e della
Società SIMULWARE S.R.L. in ordine ai reato di cui all’art. 10 ter d.lvo 74\2000
per una somma corrispondente al credito dell’Erario, pari ad euro 162.993. 00.
Si trattava di sequestro preventivo funzionale alla confisca per
equivalente, come introdotta dall’art. 322 ter cp ed estesa ai reati di cui all’art.

Quanto al

fumus

esso venivo rinvenuto nel mancato versamento

dell’acconto IVA, dovuto per l’anno 2009 e non pagato entro il termine di
scadenza del 27.12.2010.
Il GIP riteneva che il concetto di estraneità al reato dovesse essere inteso
in senso ampio, come estraneità ai benefici derivanti dalla condotta illecita,
sicché si doveva ritenere che l’amministratore e presidente del consiglio di
amministrazione COSULICH Silvio, dotato di ampi poteri gestionali di ordinaria e
straordinaria amministrazione, avesse lo disponibilità dei beni societari e che il
mancato versamento dell’imposta costituiva un risparmio di spesa e quindi un

beneficio per lo società.
2.

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per riesame

CONSULICH Silvio.
Con ordinanza del 4-8/12/2012 il tribunale di Trieste riformava
l’ordinanza 9.11.2012 del GIP del Tribunale di Trieste escludendo dal vincolo del
sequestro la somma di euro 9.939,56, ferme le altre statuizioni.
3.

Avverso questa pronuncia l’indagato, anche quale legale

rappresentante della società SIMULWARE s.r.I., propone ricorso per cassazione
con quattro motivi e, in prossimità dell’udienza camerale, ha depositato
memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso ìt articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza o erronea
applicazione dell’art. 10 ter decreto legislativo n. 74 del 2000. Contesta la
sussistenza del fumus comrnissi delicti soprattutto perché sarebbe mancata la
motivazione in ordine alla indispensabile componente psicologica della fattispecie
di reato; ossia la volontarietà dell’omissione del versamento dell’imposta.
Con il secondo motivo il ricorrente deduce ancora l’inosservanza ed
erronea applicazione dell’art. 10 ter decreto legislativo n. 74 del 2000. Il
tribunale, pur prendendo atto del contenuto delle dichiarazioni del
commercialista dalle quali si evinceva che il mancato pagamento dell’imposta era
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10 ter d.lgs. n. 74 del 2000 dall’art. 1, comma 143, della legge 24.12.07 n. 244.

stato occasionalmente determinato da una contingente crisi di liquidità legata al
mancato incasso di alcuni crediti, non ha adeguatamente approfondito questo
profilo che incideva sulla condotta materiale del reato.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’inosservanza td, erronea
applicazione del concetto di profitto derivante dal reato e deduce la mancanza di
motivazione in ordine alla prova dell’esistenza del profitto stesso. Il profitto
derivante dal delitto previsto dall’articolo 10 ter citato si realizza

solo nella

misura in cui l’Iva sia stata previamente incassata e successivamente non

comprovare l’avvenuto incasso dell’Iva relativa all’anno 2009.
Con il quarto motivo il ricorrente censura l’interpretazione del concetto di
disponibilità dei beni sociali in capo all’indagato. Sostiene che è illegittimo il
sequestro finalizzato alla confisca per equivalente che abbia ad oggetto beni
appartenenti alla società, non essendo tale misura, di carattere sanzionatorio
penale, prevista dalla speciale disciplina della responsabilità degli enti. La
confisca per equivalente è prevista esclusivamente per i reati di cui all’articolo 24
della legge n. 231 del 2001, tra cui non sono compresi i reati tributari.
2. Il ricorso è parzialmente fondato.
3. I primi tre motivi sono manifestamente infondati. Il tribunale ha
adeguatamente motivato in ordine ai presupposti del sequestro per equivalente.
Come è noto uno dei presupposti legittimanti il sequestro preventivo è da
individuarsi nel fumus delicti. Infatti l’art. 321 c.p.p. non menziona gli indizi di
colpevolezza fra le condizioni di applicabilità del sequestro, né può ritenersi
applicabile l’art. 273 stesso codice, dettato per le misure cautelari personali e
non richiamato in materia di misure cautelari reali; ne consegue che, ai fini
dell’adozione del sequestro, è sufficiente la presenza di un fumus delicti, e cioè
l’ipotizzabilità in astratto della commissione di un reato; pertanto, il decreto che
dispone il sequestro preventivo non deve essere motivato in ordine alla
sussistenza degli indizi di colpevolezza, alla fondatezza dell’accusa e alla
probabilità di condanna dell’indagato.
Ne discende che in sede di valutazione di sequestro preventivo, il
tribunale deve stabilire l’astratta configurabilità del reato ipotizzato; tale
astrattezza, però, non limita i poteri del giudice, nel senso che questi deve
esclusivamente prendere atto della tesi accusatoria senza svolgere alcuna
attività, ma determina soltanto l’impossibilità di esercitare una verifica in
concreto della sua fondatezza; l’accertamento, pertanto, della sussistenza del
fumus commissi delicti deve essere compiuto sotto il profilo della congruità degli
elementi rappresentati, che non possono essere censurati sul piano fattuale, per
apprezzarne la coincidenza con le reali risultanze processuali, ma che vanno
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versata all’erario. Nella specie invece non sussistono elementi indiziari idonei a

valutati così come esposti ai fine di verificare se essi consentano di sussumere
l’ipotesi formulata in quella tipica; il tribunale non deve quindi instaurare un
processo nel processo, ma svolgere l’indispensabile ruolo di garanzia tenendo nel
debito conto le contestazioni difensive sull’esistenza della fattispecie ed
esaminando sotto ogni aspetto l’integrabilità dei presupposti del sequestro.
Quindi la valutazione che il Tribunale deve effettuare in tale sede è quella
di verificare se l’attività posta in essere dall’indagato possa essere astrattamente
sussunta nelle ipotesi in contestazione.

art. 321, primo comma, c.p.p. prevede che requisito del vincolo sia il pericolo
che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o
protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati.
Il secondo comma stabilisce, invece, che il giudice può disporre il sequestro delle
cose di cui è consentita la confisca.
Deve poi aggiungersi che la giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez.
un., 29 maggio 2008 – 26 giugno 2008, n. 25932; Cass., sez. V, 13 ottobre
2009 – 11 novembre 2009, n. 43068) ha più volete affermato in proposito che il
ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro
preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione
dovendosi comprendere sia gli “errores in iudicando” o “in procedendo”, sia quei
vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a
sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere
comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice.
Quindi è soltanto a mancanza assoluta di motivazione o la presenza di
una motivazione meramente apparente, in quanto correlate all’inosservanza di
precise norme processuali, ma non l’illogicità manifesta, che può denunciarsi in
sede di legittimità soltanto tramite lo specifico ed autonomo motivo di ricorso di
cui all’art. 606, comma primo, lett. e), cod. proc. pen. (Cass., sez. VI, 21
gennaio 2009 – 20 febbraio 2009, n. 7472; Cass., sez. VI, 4 aprile 2003 – 4
giugno 2003, n. 24250).
Con specifico riferimento al caso di specie il tribunale, con valutazione
tipicamente di merito, ha ritenuto sussistente sia fumus commissi delicti, che il
periculum in mora.
Nella specie infatti il tribunale ha osservato che, dalle indagini e dalle
segnalazioni della Agenzia delle Entrate, risultava effettivamente omesso il
versamento dell’IVA nell’anno 2009.
Può pertanto dirsi che nella specie, proprio applicando tali principi
generali, il Tribunale motivatamente è pervenuto al convincimento che nel caso
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Quanto poi al periculum in mora, come è noto il sequestro preventivo ex

in esame sussiste l’astratta configurabilità dei reati ipotizzati

(fumus commissi

delicti), attesa la congruità degli elementi rappresentati che depongono per

l’ipotizzabilità in astratto della ipotesi criminose contestate non dovendo il
sequestro preventivo essere motivato in ordine alla individuazione degli indizi di
colpevolezza, alla fondatezza dell’accusa e alla probabilità di condanna
dell’indagato; valutazione questa che il tribunale ha operato non disgiuntamente
dalla verifica dell’ulteriore presupposto del periculum.
4. Va invece accolto il quarto motivo dovendo farsi applicazione della

n. 25774) che ha affermato che il sequestro preventivo, funzionale alla confisca

per equivalente, previsto dall’art. 19, comma secondo, del D.Lgs. 8 giugno 2001,
n. 231, non può essere disposto sui beni immobili appartenenti alla persona
giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale
rappresentante della società, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato DIgs. non
prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l’adozione del
provvedimento, con esclusione dell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca
un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti. A questo
orientamento ha dato continuità Cass., sez. III, 23 ottobre 2012 – 2 aprile 2013,
n. 15349.
5. Pertanto il ricorso va accolto nei limiti in cui il sequestro preventivo
riguarda beni nella disponibilità della società ricorrente; il ricorso va invece
rigettato nel resto.
Conseguentemente l’ordinanza impugnata va annullata nei limiti del
motivo accolto con rinvio al tribunale di Trieste perché limiti il sequestro
preventivo ai beni nella disponibilità dell’indagato.

P.Q.M.
la Corte annulla l’ordinanza impugnata limitatamente al sequestro dei
beni societari con rinvio al tribunale di Trieste; rigetta nel resto.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2013
Il Consigliere estensore

giurisprudenza di questa Corte (Cass., Sez. III, 14 giugno 2012 – 4 luglio 2012,

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