Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32966 del 02/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 32966 Anno 2013
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMOROSO GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da Vita Giulia, n. Maratea il 28.7.1963
avverso l’ordinanza del 2.5.2012 del tribunale di Salerno
Udita la relazione fatta in camera di consiglio dal Consigliere Giovanni Amoroso;
Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. Mario Fraticelli che ha
concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi, per l’indagata, gli avv. Laura Clarizia e Rocco Colicigno che hanno concluso
per l’accoglimento del ricorso;
la Corte osserva:

Data Udienza: 02/05/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Gip del Tribunale di Vallo della Lucania disponeva, con decreto in
data 23.03.2012, sequestro preventivo dell’area demaniale abusivamente
occupata da Vita Giulia, legale rappresentante della società VITA s.n.c., con tutte
le opere ivi abusivamente realizzate (relative alla struttura balneare, denominata
“Smeraldo”, dalla medesima gestita).
Venivano provvisoriamente contestate alla Vita le seguenti ipotesi di
reato:

responsabili dell’UTC di Santa Marina di Policastro (Beretti, Guastalegname e
Galardo) succedutisi dal 2007 al 2011 nell’espletamento di detta funzione, dei
quali il primo rilasciava un permesso a costruire opere stagionali privo del
regolare nulla Osta della Soprintendenza, in quanto quello precedentemente
rilasciato era scaduto nell’anno 2008; il secondo ed il terzo, altresì, per avere
emesso in favore del gestore della struttura balneare successivi permessi a
costruire in assenza del necessario nulla osta paesaggistico-ambientale, essendo
scaduto nell’anno R008 l’originario nulla osta n. 38782, rilasciato nel 2003 e non
più rinnovato;
3) p. e p. dall’art 44, lett. c, d.p.r. 380/2001 per la realizzazione di opere
abusive (nello specifico, di un chiosco), in assenza di un valido permesso a
costruire in zona sottoposta a vincolo paesaggistico;
C e D) p. e p., rispettivamente, dagli artt 734 c.p. e art 181 dlgs
42/2004, avendo alterato le bellezze naturali e realizzato opere abusive in zona
sottoposta a speciale vincolo paesaggistico ambientale senza la prescritta
autorizzazione ambientale;
E) p. e p. dagli artt 54-1161 c. nav., avendo occupato abusivamente il
suolo demaniale marittimo, impedendone l’uso pubblico e realizzandovi le opere
abusive specificate al capo B , in assenza di concessione demaniale marittima
(essendo l’originaria concessione demaniale n. 2/2002 prorogata fino al
31.12.2009).
In particolare i CC della Stazione di Vibonati, nell’ambito di un’attività di
indagine e di controllo avente ad oggetto le strutture ricettive-balneari ricadenti
nel territorio di Santa Marina di Policastro ed all’esito di accertamenti presso
l’UTC di Santa Marina, espletati al fine di verificare la legittimità dei titoli
autorizzativi rilasciati in favore dei gestori di dette strutture, accertavano che per
esse e, in particolare, per quella gestita da Vita Giulia, già il primo originario
permesso a costruire (che autorizzava, in particolare, la realizzazione ad inizio
della stagione estiva di opere stagionali, denominate amovibile e precarie, da
rimuovere alla fine della stagione estiva), con validità di anni tre dalla data di
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A) p, e p. dagli artt 110 e 323 c.p. perché, in concorso con i vari

rilascio, non era corredato da efficace nulla oste paesaggistico, al pari dei
successivi permessi a costruire (in relazione ad ulteriori stagioni estive), emessi
senza che fosse acquisito nuovo nulla-osta) dovendosi ritenere scaduto, per
decorso del termine di cinque anni dalla data del suo rilascio, l’originario nulla
asta. Accertavano altresì che la struttura balneare in oggetto non era stata
rimossa come prevedevano i permessi a costruire rilasciati) in quanto
permaneva sulla porzione di demanio concessa; che la concessione demaniale
per l’occupazione del suolo risultava scaduta di validità; che il giorno degli

responsabile locale (indagato per concorso in abuso di ufficio proprio in relazione
al rilascio di illegittimi titoli abilitativi in favore della struttura in oggetto) avviava
comunicazione di inizio del procedimento nei confronti del gestore della struttura
ricettiva in esame, per l’emissione di ordinanza di rimozione della struttura e di
messa in pristino dello stato dei luoghi, dando atto che il nulla osta era scaduto
di validità.
Sulla base di tali evenienze probatorie, il Gip del Tribunale di Vallo della
Lucania riteneva sussistente il fumus dei reati provvisoriamente contestati dalla
pubblica accusa e, segnatamente, ai fini dell’applicazione della misura cautelare
reale, rilevava che l’intervento edilizio verificato appariva integrare gli estremi
della fattispecie contravvenzionale di cui all’art 44 lett. c) d.p.r. 380/2001 e delle
ulteriori fattispecie enucleate alle lettere c, d ed e, dal momento che le opere
risultavano eseguite in zona sottoposta a vincolo paesaggistico-ambientale, in
assenza della pre$critta autorizzazione e che, per effetto delle stesse, era
risultata arbitrariaMente occupata l’area demaniale marittima nonostante la
scadenza della concessione demaniale in data 31.12.2009
Il Gip riteneva poi sussistente il periculum consistente nel fatto che la
libera disponibilità dei beni poteva aggravare le conseguenze dei reati contestati,
protraendo le loro conseguenze dei reati, il danno agli, interessi territoriali e
paesaggistico-ambientali del comune di Santa Marina.
2. Avverso il provvedimento del gip l’indagata ha proposto istanza di
riesame, che è stata rigettata dal tribunale di Salerno con ordinanza del 4
maggio 2012.
3. Questa pronuncia è impugnata dall’indagata con ricorso per cassazione
articolato in sette motivi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.. Il ricorso è articolato in sette motivi.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 324,
321 e 125, comma 3, c.p.p. per mancata esposizione degli elementi di fatto
ritenuti e posti a fondamento del giudizio. Riferisce la ricorrente che per la
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accertamenti svolti presso l’UTC del comune di Santa Marina (7.02.2012) il

struttura balneare in questione erano stati rilasciati i seguenti provvedimenti:
permesso di costruire n. 3 del 10 febbraio 2003; autorizzazione paesaggistica del
28 ottobre 2003; concessione demaniale marittima del 3 settembre 2002 valida
fino al 31 dicembre 2007 (ampliata con la concessione demaniale del 3
novembre 2003).
La ricorrente osserva poi che il provvedimento concessorio del Comune
ín questione ed era
prevedeva la smontabilità dello stabilimento balneare/
condizionato alla concessione demaniale marittima. Il permesso di costruire

della ricorrente la realizzazione dello stabilimento balneare aveva cristallizzato il
giudizio di compatibilità paesaggistica dell’intervento e quindi non trovava
applicazione il termine quinquennale di efficacia del nullaosta, termine riferibile
ad opere ancora da fare e non già a quelle già realizzate; la concessione
demaniale era stata prorogata per legge fino al 31 dicembre 2015.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 54 e
111 del codice della navigazione nonché dell’art. 1 del decreto-legge n. 400 del
1993 e dell’art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009. Sostiene la
ricorrente che erroneamente il gip aveva ritenuto che la concessione demaniale
fosse scaduta il 31 dicembre 2009, mentre era valida ed efficace. In particolare
invoca l’art. 1, comma 18, decreto-legge n. 194 del 2009 che – a suo dire – ha
prorogato tutte le concessioni demaniali in scadenza al 31 dicembre 2012 fino
alla 31 dicembre 2C115.
Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 146-181
del d.lgs. n. 42 del 2004. Sostiene che erroneamente il tribunale ha ritenuto che
il nullaosta rilasciato nella 2003 aveva cessato la sua efficacia per il decorso di
cinque anni dalla data del suo rilascio. Osserva la ricorrente che il termine di
cinque anni previsto dall’art. 146 del d.lgs. n. 42 del 2004 opera solo per
interventi ancora da eseguire; ma non anche per le opere già realizzate la cui
compatibilità paesaggistica è invece definitivamente accertata in ragione del
rilascio del nullaosta.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 44,
lettera C), del d.p.r. n. 380 del 2001. Sostiene che lo stabilimento balneare è
stato realizzato in forza dell’originario permesso di costruire che di per sé era
sufficiente ad escludere il carattere meramente temporaneo e contingente
dell’intervento. La concessione edilizia n. 3 del 2003, non conteneva affatto una
prescrizione di immediata rimozione a fine stagione estiva ma contemplava la
condizione che, se non rinnovata la concessione edilizia (o meglio, demaniale)
entro la data del 31 dicembre 2008 tutte le opere dovranno essere
definitivamente rimosse e ripristinato l’originario stato dei luoghi secondo i
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aveva una validità di tre anni dalla data del rilascio. Secondo la tesi difensiva

dettami previsti nella concessione demaniale. Sarebbe del resto irragionevole
richiedere al termine di ogni stagione estiva la rimozione dell’intero stabilimento
balneare, con costi eccedenti rispetto all’attività imprenditoriale svolta.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 734 c.p..
Erroneamente il tribunale per il riesame ha ritenuto che l’autorizzazione
paesaggistica fosse scaduta e quindi non sussisteva la contravvenzione prevista
dall’art. 734 c.p. citato.
Con il sesto motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 321

tribunale del riesame anche in relazione al reato di abuso d’ufficio. Il tribunale ha
completamente omesso di esaminare la questione proposta, relativa a tale
specifica contestazione.
Con il settimo motivo la ricorrente denuncia ancora violazione degli artt.
321 125, comma 3, c.p.p.. In particolare censura l’ordinanza del tribunale del
riesame nella parte in cui ha ritenuto sussistente anche il pericolo in mora. Nella
specie si tratta di opere da tempo già ultimate e quindi non sussiste nella specie
un reale pregiudizio degli interessi attinenti alla territorio o un’ulteriore lesione
del bene giuridico protetto.
2. Il ricorso non può essere accolto per plurime ragioni..
3. Innanzitutto c’è da rilevare che il ricorso del 3 dicembre 2013 è stato
proposto oltre sei mesi dopo il deposito dell’ordinanza del tribunale del riesame
del 4 maggio 2012, che

risulta essere stata notificata in cancelleria alla

ricorrente personalmente in data 7 maggio 2012. Rispetto a questa data il
ricorso sarebbe ampiamente tardivo.
La difesa della ricorrente, pur assai diffusa, non si sofferma sul problema
della tempestività del riscorso; nulla dice in proposito limitandosi ad indicare
nella epigrafe del ricorso stesso che l’ordinanza del tribunale del riesame non è
mai stata notificata ai difensori di fiducia.
In realtà non occorre la notifica dell’ordinanza del tribunale ai sensi
dell’art. 311, comma 1, c.p.p.; è sufficiente la comunicazione dell’avviso di
deposito ai difensori. Però i difensori della ricorrente, negando l’avvenuta
notifica dell’ordinanza, implicitamente negano anche che l’adempimento di
cancelleria, consistente nella comunicazione dell’avviso di deposito, sia stato
effettuato; e negli atti trasmessi a questa Corte non risulta tale comunicazione.
E’ vero che l’effettiva conoscenza del provvedimento impugnato da parte
dei difensori dell’indagata sanerebbe l’eventuale omissione della comunicazione
dell’avviso di deposito del provvedimento stesso. Ma neppure risulta che
l’indagata, avuta la notifica dell’ordinanza, si sia posta in contatto con i suoi
difensori di fiducia per proporre – oltre sei mesi dalla notifica – il ricorso per
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125, comma 3, c.p.p.. Il sequestro è stato disposto dal gip è confermato dal

cassazione che poi è stato effettivamente depositato dai suoi difensori. Né questi
ultimi nel loro ricorso indicano quando hanno avuto conoscenza dell’ordinanza
che censurano.
Quindi, in questa situazione, anche per un favor impugnationis, non può
dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per difetto di tempestività.
4. Nel merito il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente ricordare che il ricorso è ammissibile solo per
violazione di legge, trattandosi di misura cautelar reale, e che quindi ogni

Corte non ha accesso agli atti del procedimento, cosicché si palesano del tutto
inconferenti i ripetuti richiami ad atti amministrativi ed altri documenti effettuati
in ricorso.
In ragione di tale circoscritta cognizione, una ricostruzione sommaria della
vicenda processuale può essere effettuata solo attraverso l’esame dei limitati
contenuti del provvedimento impugnato e del ricorso, dai quali emerge, tuttavia,
una diversa valutazione dell’iter procedimentale seguito per la realizzazione dello
stabilimento balneare. Le divergenze attengono, sostanzialmente, alla validità ed
ai contenuti del permesso di costruire, alla permanenza dell’efficacia
dell’autorizzazione paesaggistica rilasciata nel 2003 e considerata anche ai fini
del rilascio dei permessi di costruire successivi al primo ed alla validità della
concessione demaniale.
In proposito giova premettere che l’originaria concessione edilizia aveva
ad oggetto la realIzzazione di uno stabilimento balneare quale opera precaria
destinata ad essere rimossa. La concessione quindi era suscettibile, in ragione
della natura dell’opera autorizzata, di rinnovazione. Ciò del resto è ammesso
espressamente dalla ricorrente stessa che nel ricorso (a pagina 32) riconosce
che la concessione del 2003 conteneva la condizione che se non fosse stata
rinnovata entro il 31 dicembre 2008 tutte le opere autorizzate, in quanto
precarie, avrebbero dovuto essere rimosse con ripristino dell’originario stato dei
luoghi.
In sostanza era la stessa concessione edilizia – come riferisce la stessa
ricorrente – a prevedere il suo necessario rinnovo; quindi l’opera autorizzata
aveva natura precaTia per il fatto di richiedere un successivo rinnovo, mentre è
pacifico che la concessione edilizia del 2003 non sia mai stata rinnovata.
Tale considerazione sarebbe in realtà decisiva perché vi è certo l’abuso
edilizio che costituisce titolo sufficiente per legittimare il sequestro preventivo.
Comunque sussiste anche il reato di occupazione abusiva di area
demaniale perché la concessione demaniale in questione pur rinnovata fino al 31

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censura afferente al merito della misura è inammissibile, tanto più che questa

dicembre 2009 ha perso di efficacia perché non c’è affatto l’automatica proroga
fino al 2015.
L’art. 18 d.l. 30-12-2009 n. 194, conv. in legge 26 febbraio 2010, n. 25,
prevede sì che il termine di durata delle concessioni in essere alla data di
entrata in vigore del medesimo decreto e in scadenza entro il 31 dicembre 2015
sia prorogato fino al 31 dicembre 2020. Ma ciò vale per le concessioni in essere a
tale data e tale non era più quella della ricorrente,
Deve altresì osservarsi che la ricorrente allega in punto di fatto che la

2002 fino al 31 dicembre 2007. La stessa concessione sarebbe stata prorogata
una prima volta fino al 31 dicembre 2009, poi fino al 31 dicembre 2010 e infine,
in data 23 giugno 2011, fino al 31 dicembre 2011. Quindi neppure la ricorrente
sostiene di essere titolare di una concessione demaniale marittima in essere alla
data del 31 dicembre 2012, ciò che costituisce il presupposto per la proroga
legale prevista dall’art. 1, comma 18, del decreto-legge n. 194 del 2009, citato.
Pertanto, a tacere della fondatezza o meno della tesi in diritto articolata dalla
ricorrente, mancava proprio il presupposto di fatto per poter beneficiare della
proroga legale.
5. Si deve poi anche ricordare, a tale proposito, come questa Corte abbia
già avuto modo di osservare che l’accertamento della correttezza dei
procedimenti amministrativi per il

rilascio di titoli abilitativi edilizi è

sostanzialmente riservata al giudice di merito, poiché presuppone
necessariamente la verifica di atti della pubblica amministrazione, mentre il
controllo in sede di legittimità concerne la correttezza giuridica dell’accertamento
di merito sul punto, Deve peraltro tenersi conto della natura sommaria del
giudizio cautelare, la quale impedisce una esaustiva verifica della regolarità dei
procedimenti amministrativi, in quanto l’accertamento dell’esistenza del fumus
dei reati è fondato sulle prospettazioní della pubblica accusa, che non appaiano
errate sul piano giuridico ovvero non siano contraddette in modo inconfutabile
dalla difesa (così Sez. III n.20571, 1 giugno 2010),
6. Date tali premesse, deve osservarsi che il primo motivo di ricorso, pur
facendo riferimento alla violazione degli artt, 321 e 125 cod. proc. pen.,
ipotizzandosi una motivazione soltanto apparente, in realtà pone in discussione
la ricostruzione dei fatti operata dai giudici, lamentando carenze argomentative
che devono, però, ritenersi inammissibili in quanto riferite ad un supposto vizio
di motivazione e ciò in quanto il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza
emessa in sede di riesame di provvedimenti di sequestro (probatorio o
preventivo) può essere proposto esclusivamente per violazione di legge e non
anche con riferimento ai motivi di cui all’art. 606, lettera e) cod. proc. pen. che,
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concessione demaniale marittima del 2003 aveva decorrenza dal 1° gennaio

peraltro, il ricorrente espressamente richiama, unitamente ad altre disposizioni,
nell’intestazione del motivo (v. SS.UU. n. 5876, 13 febbraio 2004. Conf. Sez. V
n. 35532, 1 ottobre 2010; Sez. VI n. 7472, 20 febbraio 2009; Sez. V n. 8434, 28
febbraio 2007).
In ogni caso, le argomentazioni prospettate attengono ad aspetti che
verranno poi approfonditi nei successivi motivi.
Resta da osservare che la ricostruzione dei fatti è stata effettuata dai
giudici del riesame con espresso riferimento dapprima alla comunicazione della

successivamente, all’esame diretto degli atti allegati, sul contenuto dei quali essi
si basano per confutare le tesi difensive, sviluppando un percorso argomentativo
del tutto adeguato che non può certo definirsi meramente apparente.

7. Passando all’esame del secondo motivo di ricorso, concernente la
validità della concessione demaniale, deve rilevarsi che Io stesso, avuto riguardo
agli elementi offerti dal ricorso e dal provvedimento, si palesa infondato.
La questione riguarda la scadenza della concessione medesima, che il
Tribunale, riportandosi a quanto rilevato dal G.I.P., colloca al 31.12.2011 e che
in ricorso, pur dandosi atto che quella rilasciata in data 1.5.2008 con scadenza al
31.12.2009 era stata poi prorogata al 31.12.2010 e, dopo ancora, al
31.12.2011, viene invece individuata in un momento successivo (31.12.2015) in
forza delle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 2 d.l. 5.10.1993 n. 400,
convertito nella legge 4.12.1993, n. 494 e l’art. 1, comma 18 dl. 30.12.2009, n.
194, convertito nella legge 26.2.2010 n. 25.
Il comma 2 dell’art.1 d.l. 400/1993, abrogato dall’art. 11, comma 1, della
legge 15 dicembre 2011 n. 217 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi
derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee – Legge comunitaria
2010) stabiliva che «Le concessioni di cui al comma 1, indipendentemente dalla
natura o dal tipo degli impianti previsti per lo svolgimento delle attività, hanno
durata di sei anni. Alla scadenza si rinnovano automaticamente per altri sei
anni e così successivamente ad ogni scadenza, fatto salvo il secondo comma
dell’art. 42 del codice della navigazione. Le disposizioni del presente comma non
si applicano alle concessioni rilasciate nell’ambito delle rispettive circoscrizioni
territoriali dalle autorità portuali di cui alla legge 28 gennaio 1994, n. 84».
L’abrogazione, come espressamente chiarito dalla legge 217/2011 che vi
provvedeva, si era resa necessaria per chiudere la procedura di infrazione n.
2008/4908 avviata ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento
dell’Unione europea e per rispondere all’esigenza degli operatori del mercato di
usufruire di un quadro normativo stabile che, conformemente ai principi

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notizia di reato dalla quale ha tratto origine il procedimento penale e,

comunitari, consentisse lo sviluppo e l’innovazione dell’impresa turisticobalneare-ricreativa.
L’instaurazione della procedura d’infrazione e la successiva abrogazione
della norma erano conseguenza di un contrasto della normativa interna con la
direttiva n. 2006/123/CE nella parte in cui, con l’art. 12, comma 2, esclude il
rinnovo automatico della concessione, oltre che con i principi del Trattato in tema
di concorrenza e di libertà di stabilimento.
L’art. 1, comma 18 d.l. 194/2009 ha prorogato i termini di scadenza delle

al 31.12.2005, come ricordato in ricorso e, successivamente, con le modifiche
apportate dal d.l. 18 ottobre 2012, convertito nella legge 17 dicembre 2012, n.
221, al 31.12.2020.
Come rilevato dalla Corte Costituzionale (sent. 213, 18 luglio 2011) nel
valutare la legittimità costituzionale di alcune disposizioni regionali in tema di
proroga automatica di concessioni demaniali, il menzionato art. 1, comma 18
d .1. 194/2009 ha «carattere transitorio in attesa della revisione della legislazione
in materia di rilascio delle concessioni di beni demaniali marittimi da realizzarsi,
quanto ai criteri e alle modalità di affidamento, sulla base di una intesa da
raggiungere in sede di Conferenza Stato-Regioni, nel rispetto dei principi di
concorrenza, di libertà di stabilimento, di garanzia dell’esercizio, dello sviluppo,
della valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti,
nonché in funzione del superamento del diritto di insistenza di cui al citato art.
37, secondo comma, cod. nav. La finalità del legislatore è stata, dunque, quella
di rispettare gli obblighi comunitari in materia di libera concorrenza e di
consentire ai titolari di stabilimenti balneari di completare l’ammortamento degli
investimenti nelle more del riordino della materia, da definire in sede di
Conferenza Stato-Regioni».
8. Ciò posto, deve rilevarsi che in ricorso, come si è già detto, si ritiene
che la concessione demaniale sia stata dapprima prorogata per 6 anni, alla
scadenza del 31.12.2008, fino al 31.12.2014 (in base al disposto del d.l. 400/93)
e, successivamente, per l’entrata in vigore del d.l. 194/2009, al 31.12.2005
(termine che, seguendo il ragionamento prospettato in ricorso, sarebbe ora
ulteriormente postipipato al 31.12.2020 a seguito delle modifiche apportate
all’originaria formulazione del decreto).
Tale assunto, tuttavia, non può essere condiviso.
In primo luogo, non si spiegherebbe come mai, pur in presenza di una
proroga ex lege della concessione demaniale, siano state comunque richieste e
rilasciate, come riconosciuto in ricorso, le due ulteriori proroghe, di cui si è detto
in precedenza, con autonomi provvedimenti.
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concessioni di beni demaniali marittimi con finalità turistico-ricreative dapprima

In secondo luogo, deve dubitarsi anche dell’applicabilità ed efficacia del
d.l. 400/93, tenendo conto di quanto rilevato recentemente dalla giurisprudenza
amministrativa (Cons. Stato Sez. VI n. 525, 29 gennaio 2013).
Ricorda infatti il giudice amministrativo come la Corte Costituzionale abbia
ripetutamente rilevato (sentenze nn, 213/2011, 340/2010, 233/2010 e
180/2010) che le disposizioni le quali prevedono proroghe automatiche di
concessioni demaniali marittime violano l’art. 117, comma 1 Cost. per contrasto
con i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario in tema di diritto di

proroga della concessione determina una disparità di trattamento tra gli
operatori del settore, violando i principi di concorrenza, poiché a coloro che in
precedenza non gestivano il demanio marittimo ne é preclusa, alla scadenza
della concessione, la possibilità di prendere il posto del precedente gestore, se
non nel caso in cui questi ometta di richiedere la proroga o la chieda senza un
valido programma di investimenti.
In tale contrasto il giudice amministrativo rinviene un obbligo di
disapplicazione della norma per il periodo in cui è stata in vigore, con
conseguente annullamento dei provvedimenti adottati in ragione del venir meno
del presupposto normativo su cui si fondavano.
9.

CollocanCio dunque la scadenza della concessione demaniale al

31.12.2011, come ha fatto il Tribunale del riesame, restava da risolvere
l’ulteriore questione concernente l’applicabilità, nella fattispecie, del d .1.
194/2009, che i giudici hanno escluso sul presupposto che mancherebbe una
espressa richiesta da parte del soggetto interessato, richiesta che in ricorso si
assume non dovuta perché non prevista dalla legge.
Ritiene il Collegio che le considerazioni svolte dal Tribunale siano
condivisibili.
Invero, come osservato in ricorso, la disposizione richiamata non prevede
espressamente la necessità di una richiesta di proroga, ma la necessità di tale
requisito si ricava dal tenore generale della disposizione ed è espressamente
riconosciuto dalla giurisprudenza amministrativa.
In effetti, come osservato nel provvedimento impugnato, la proroga è
applicabile soltanto ad alcune tipologie di concessione, il che impone una verifica
da parte dell’amministrazione competente ed, inoltre, il termine fissato dalla
legge deve ritenersi come un termine massimo che non preclude la possibilità,
per il concessionario, di richiedere ed ottenere che, per sue esigenze, l’efficacia
della proroga sia contenuta entro un termine inferiore.
Va inoltre considerato, in linea generale, che la proroga, riguardando una
concessione valida ed ancora in essere, presuppone la verifica di tale condizione
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stabilimento e di tutela della concorrenza e ciò in quanto l’automatismo della

e la permanenza dei requisiti richiesti per il suo rilascio, il che implica, ancora
una volta, l’esigenza di una verifica.
La necessità’ di una espressa richiesta, come si è detto, è esplicitamente
riconosciuta in atti

e

nei provvedimenti richiamati anche in ricorso.

In particolare, la Circolare del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti
n. 6105 del 6.5.2010, che il ricorso menziona, nel fornire alle amministrazioni
destinatarie alcuni suggerimenti interpretativi ed applicativi, individua gli organi
competenti al rilascio del titolo, cosicché è evidente che detti organi debbano

proroga venga dato atto con annotazione sul provvedimento concessorio
mediante l’apposizione della dicitura «Validità prorogata sino al 31 dicembre
2015 ai sensi dell’art. 1, comma 18, del decreto-legge 30 dicembre 2009, n.
194, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2010, n. 25»,
prevedendo dunque, anche in questo caso, che l’interessato si attivi in tal senso.
La stessa annotazione è richiesta anche dalla Circolare n. 46 del
21.3.2012 che la difesa ha menzionato nel corso della discussione e che
riguarda, tuttavia, le concessioni diverse da quelle riferite all’uso o scopo
turistico – ricreativo.
Anche la giurisprudenza amministrativa richiamata in ricorso e nel
provvedimento impugnato (ad esempio, TAR Campania Salerno sent. 1582,
1583, 1584, 1585, 1586, 1587, 1588, 1589, 1590) ritiene scontata la richiesta di
proroga da parte del privato, atteso che le ricordate pronunce riguardano proprio
l’impugnazione di provvedimenti reiettivi di «richiesta di proroga automatica fino
al 31-12-2005» e la legittimità della procedura seguita dall’amministrazione non
viene posta minimamente in dubbio in relazione alla necessità di una istanza del
concessionario finalizzata al rilascio della proroga.
10. Ne consegue che il Tribunale, in assenza di specifiche allegazioni da
parte della ricorrente, ha del tutto correttamente individuato la data di scadenza
della concessione demaniale e ritenuto sussistente il

fumus del reato di cui

all’art. 1161 Cod. Nav.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, tale reato si configura
non soltanto attraverso l’occupazione del suolo demaniale in assenza di
concessione, ma apche quando l’occupazione, effettuata sulla base di una
autorizzazione stagionale, si protragga oltre il termine della stagione balneare,
ciò in quanto la natura pluriennale del titolo abilitante esonera il concessionario
dalla richiesta annuale, ma non esclude l’obbligo di rimuovere quanto collocato al
termine del periodo di utilizzo previsto (Sez. III n. 19962, 23 maggio 2007; Sez.
III n. 17062, 18 maggio 2006) nonché quando l’occupazione del demanio si
protrae oltre la scadenza della concessione sino al rilascio della nuova, pur già
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11

c.c. 2 maggio 2013

essere attivati dal privato interessato e specifica, ulteriormente, che della

richiesta (Sez. III n.29910, 26 luglio 2011; Sez. III n. 16495, 28 aprile 2010;
Sez. III n. 16570, 2 maggio 2007; Sez. III n. 3535, 24 gennaio 2003; Sez. III n.
2545, 17 marzo 1997).
11. Il terzo e quarto motivo di ricorso, concernenti il permesso di
costruire e l’autorizzazione paesaggistica, possono essere unitariamente trattati,
in considerazione dell’intima correlazione esistente tra i due provvedimenti,
costituendo l’autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo un
presupposto dell’efficacia del titolo abilitativo edilizio.

affermare in ricorso, deve escludersi ogni dipendenza tra tali titoli abilitativi e la
concessione demaniale, diversi essendo i presupposti per il rilascio, in quanto il
permesso di costruire legittima l’esecuzione di interventi di trasformazione
urbanistica ed edilizia del territorio secondo la relativa disciplina e dando
concreta attuazione alle scelte operate con gli strumenti di pianificazione,
l’autorizzazione paesaggistica concerne una valutazione circa l’incidenza di un
intervento sull’originario assetto dei luoghi soggetti a particolare protezione,
mentre la concessione demaniale consente il godimento del bene demaniale
entro i limiti stabiliti dal provvedimento.
Occorre poi ricordare che il permesso di costruire è senz’altro richiesto per
l’esecuzione di opere stagionali, differenziandole da quelle precarie che, per la
loro stessa natura e destinazione, non comportano effetti permanenti e definitivi
sull’originario assetto del territorio tali da richiedere il preventivo rilascio di un
titolo abilitativo.
L’opera stagionale, diversamente da quella precaria, non è, infatti,
destinata a soddisfare esigenze contingenti ma ricorrenti, sia pure soltanto in
determinati periodi dell’anno e, per tale motivo, è soggetta a permesso di
costruire (Sez. III n. 34763, 26 settembre 2011; Sez. III n. 23645, 13 giugno
2011; Sez. III n. 22868, 13 giugno 2007; Sez. III n. 13705, 19 aprile 2006;
Sez. III n. 11880, 12 marzo 2004).
La sua mancata rimozione allo spirare del termine stagionale configura,
inoltre, il reato di cui all’art. 44 d.P.R. 380/01 poiché, in tale ipotesi, la
responsabilità discende dal combinato disposto del medesimo art. 44 e dell’art.
40, comma secondo, cod. pen., per la mancata ottemperanza all’obbligo di
rimozione insito nel provvedimento autorizzatorio temporaneo (Sez. III n.
23645/2011, cit. Sez. III n. 42190, 29 novembre 2010; Sez. III n. 29871, 11
settembre 2006).
12.

Ciò premesso, deve rilevarsi che il Tribunale assume, nel

provvedimento impugnato, che il titolo edilizio rilasciato nella fattispecie riguarda
esclusivamente opere stagionali da installarsi annualmente all’inizio della
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c. c. 2 ‘nage.) 2013

Va in primo luogo rilevato che, contrariamente a quanto sembra volersi

stagione estiva per essere rimosse al termine della stessa con un limite di
validità di tre anni, allo spirare del quale sono stati rilasciati altri due permessi di
costruire ritenuti tuttavia non validi perché emessi in base all’autorizzazione
paesaggistica riferi0 al primo titolo abilitativo e considerata ormai scaduta per il
decorso del termine quinquennale.
A tale osservazioni si oppone, in ricorso, che la legge non prevede termini
di efficacia per i richiamati titoli abilitativi se non per i lavori ancora da eseguire
e non anche per quelli ormai ultimati.

provvedimento impugnato, che gli interventi autorizzati riguardavano opere
stagionali, le quali andavano quindi rimosse alla fine di ogni stagione balneare,
non essendo altrimenti possibile il rilascio di un permesso di costruire soggetto a
termine.
La mancata rimozione al termine della stagione, pure accertata in fatto,
come indicato dal Tribunale, configura, di per sé, come già ricordato, il reato
urbanistico, così come questo sarebbe configurabile nel caso in cui le opere
realizzate consistessero in strutture permanenti , incompatibili con il ricordato
concetto di «stagionalità» (né potrebbe ritenersi valido, a tale proposito, il
riferimento, effettuato in ricorso, a strutture amovibili – ombrelloni, sdraio etc. che per la loro natura e consistenza non richiederebbero alcun titolo abilitativo).
Va ulteriormonte considerato che, in presenza di opere diverse da quelle
assentite, verrebbe a configurarsi anche la violazione paesaggistica.
Quanto ai riferimenti, effettuati in ricorso, riguardanti i termini indicati
nell’art. 15 d.P.R. 380/01 e 146 d.lgs. 42/2004, deve dirsi che l’osservazione è
pertinente, perché i limiti di efficacia temporale previsti dall’art.15 del d.P.R.
380/01 riguardano la data di inizio e di ultimazione dei lavori e, riferendosi tale
titolo abilitativo a trasformazioni del territorio prevedibilmente connotate da
stabilità, deve escludersi la possibilità di una efficacia temporalmente limitata.
Altrettanto pertinente risulta il rilevo formulato con riferimento
all’autorizzazione paesaggistica poiché, anche in questo caso, la previsione di un
termine di efficacia riguarda esclusivamente lavori da eseguire, come emerge dal
tenore letterale dell’art. 146 d.lgs. 42/2004, il quale prevede un termine di
cinque anni, scaduto il quale «l’esecuzione dei progettati lavori deve essere
sottoposta a nuova autorizzazione».
La efficacia dell’autorizzazione paesaggistica verrebbe dunque meno in
caso di mancata esecuzione dell’intervento autorizzato nel termine, ma anche in
caso di esecuzione di interventi ulteriori o diversi da quelli autorizzati.
Va però rilevato, sempre sulla base della limitata cognizione di questa
Corte, cui non è consentito l’accesso agli atti, che tali osservazioni paiono
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c.c. 2 maggio 2013

Occorre rilevare, in primo luogo, sulla base di quanto emerge dal

inconferenti, risultando determinate, come si è detto, la realizzazione di opere
stabili o, comunque, la mancata rimozione delle opere stagionali, configurandosi,
in tal caso, interventi avulsi dal titolo abilitativo edilizio e da quello paesaggistico.
In ogni caso, tali aspetti concernono la validità dei titoli abilitativi, che
dovrà essere oggetto di valutazione da parte del giudice del merito, come dianzi
ricordato e, comunque, la misura cautelare reale resta comunque applicabile in
presenza del fumus del reato di cui all’art. 1161 Cod. Nav.
13.

Per quanto riguarda il quinto e sesto motivo di ricorso deve rilevarsi

reati contestati ai capi b) ed e) della rubrica (violazione edilizia e violazione
dell’art. 1161 Cod. Nav.) ai fini della valutazione sulla sussistenza dei
presupposti di applicabilità del sequestro, cosicché non rileva la mancanza di un
espressa verifica del fumus degli ulteriori reati contestati e, segnatamente, dei
reati di cui agli artt. 323 e 734 cod. pen.
19. Per ciò che attiene, infine, al periculum in mora, di cui tratta il
settimo motivo di ricorso, osserva il Collegio che il Tribunale lo ha ravvisato, in
primo luogo, «nell’impatto ambientale, anche visivo non indifferente» causato
dalla presenza delle opere ritenute abusive e tale aspetto risulta senz’altro
significativo se si considera la permanente presenza di opere che avrebbero
dovuto essere rimosse al termine di ogni stagione balneare.
In secondo luogo, i giudici del riesame giustificano la misura anche in
considerazione della natura permanente del reato di occupazione del suolo
demaniale e della necessità di impedire il protrarsi di tale illecita situazione.
Tale affermazione appare conforme a legge e perfettamente in linea con
la giurisprudenza di questa Corte, la quale ha ripetutamente riconosciuto la
possibilità di procedere al sequestro al fine di impedire il protrarsi di una illecita
occupazione di SU* pubblico che la sottrae alla fruizione pubblica (Sez. III n.
12504, 3 aprile 2012; Sez. III n. 34101, 12 ottobre 2006, Sez. VI n. 3947, 31
gennaio 2001).
10. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 2 maggio 2013
Il Consigliere estensore

Il Pr

i.

ente

che il Tribunale, nel confermare la misura reale, ha specificamente richiamato i

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