Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32965 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32965 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ONOFRIO NICOLA N. IL 14/06/1971
avverso la sentenza n. 841/2010 CORTE APPELLO di MESSINA, del
05/11/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 29/05/2014

- Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione,
dr. Giovanni D’Angelo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. D’Onofrio Nicola è stato condannato dalla Corte d’appello di Messina, con
sentenza del 5/12/2012, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per aver

verità di quanto in esso contenuto, di aver ricevuto da Di Dio Calderone Antonino
l’importo di due assegni (ognuno di C 3.000) precedentemente protestati e da
Salmeri Rosa l’importo di un assegno, di C 100, in precedenza anch’esso
protestato (art. 483 cod. pen.), e di avere, in questo modo, indotto il Tribunale
di Barcellona Pozzo di Gotto a pronunciare la riabilitazione di Di Dio Antonino e
Salmeri Rosa (artt. 48 e 479 in relazione all’art. 476 cod. pen.).

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Luisella Mancuso, con tre motivi.
2.1. Col primo deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., laddove la Corte d’appello ha inteso affermare – contrariamente al vero che D’Onofrio “ha ammesso il fatto”.
2.2. Col secondo lamenta l’erronea applicazione dei principi che regolano il falso
per induzione, contestando, in particolare, che la sentenza possa definirsi “atto
pubblico fidefacente” e che l’imputato, al momento di rendere la falsa
dichiarazione, avesse la consapevolezza di provocare l’emanazione di un atto
falso (la sentenza).
2.3. Col terzo si duole dell’entità della pena irrogata, applicata in misura
notevolmente superiore al minimo edittale e senza tener conto del contributo
minimo dato dall’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento.
1. Il primo motivo è inammissibile per la sua assoluta genericità e irrilevanza. Il
ricorrente non specifica nemmeno quale sia “il fatto” che la Corte d’appello ha erroneamente – ritenuto ammesso. D’altra parte, non è contestata – nemmeno
col ricorso a questa Corte – la falsità della dichiarazione resa a favore di Di Dio
Calderone Antonino e Salmeri Rosa, per cui la doglianza si appalesa del tutto
eccentrica rispetto al thema decidendum.

2

falsamente dichiarato, in due diverse occasioni, in atto destinato a provare la

2. Il secondo motivo è anch’esso inammissibile, perché sollevato per la prima
volta in cassazione. Dalla lettura dell’atto d’appello si evince che D’Onofrio si
doleva – col gravame – della mancata concessione delle attenuanti generiche e
dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen., oltre che, comunque, dell’entità della
pena inflitta. Nessuna questione egli faceva sulla natura dell’atto pubblico
“indotto” con la sua dichiarazione, né sull’elemento soggettivo del reato.
Entrambi i punti sono divenuti, pertanto, irretrattabili.

applicata è quella prossima ai minimi edittali e gli aumenti sono stati contenuti in
mesi quattro per il secondo reato (quello di cui all’art. 48-479 cod. pen.) e mesi
due per ognuno degli altri reati (di cui all’art. 483 cp.). La giurisprudenza di
questa Corte è ferma nel ritenere che, allorché la pena venga graduata verso il
minimo e siano contenuti gli aumenti per la continuazione, l’obbligo
motivazionale è assolto con l’indicazione dei parametri di legge applicati. Nella
specie, i giudici di merito hanno giustificato l’irrogazione di una pena
moderatamente superiore ai minimi edittali e i pur contenuti aumenti per la
continuazione in considerazione della gravità dei reati, della loro reiterazione e
della personalità dell’imputato. Inoltre, hanno escluso la minima partecipazione
al fatto per la natura, essenziale, del contributo dell’imputato, che ha posto in
essere un presupposto indefettibile per la perpetrazione del reato più grave
(quello di cui agli artt. 48 e 479 cod. pen.). Trattasi di motivazione ampia,
congrua e logica, che fa puntuale applicazione dei criteri posti dall’art. 133 cod.
pen. e si sottrae a qualsiasi censura, anche perché le doglianze del ricorrente ai limiti dell’ammissibilità – ripropongono valutazioni già confutate dai giudicanti
senza che, rispetto ad esse, il ricorrente evidenzi incongruenze suscettibili di
apprezzamento in questa sede di legittimità.

4. Consegue a tanto che il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/5/2014

3. Il motivo concernente il trattamento sanzionatorio è infondato. La pena base

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