Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32963 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32963 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MERRINO CONCETTA N. IL 07/10/1941
ZANGHI’ GIUSEPPE N. IL 25/06/1935
avverso la sentenza n. 55/2011 TRIBUNALE di MESSINA, del
16/12/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

ovL

Data Udienza: 29/05/2014

Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice di pace di Messina, con decisione confermata in data 16/12/2011
dal Tribunale competente, in funzione di giudice d’appello, ha condannato

ingiuria e minaccia commessi in danno di Romeo Santa, oltre al risarcimento dei
danni patiti da quest’ultima.
Alla base della resa statuizione vi sono le dichiarazioni della persona offesa,
nonché del teste D’Arrigo.

2. Hanno presentato personalmente ricorso per Cassazione entrambi gli imputati
per violazione di legge e vizio di motivazione. Lamentano che la loro
responsabilità sia stata affermata sulla base delle dichiarazioni lacunose e
contraddittorie della sola persona offesa, non confermate da quelle di D’Arrigo e
smentite dal verbale della Polizia redatto nello stesso giorno, acquisito su
accordo delle parti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato. Premesso che, per costante
giurisprudenza, la prova del reato può essere integrata dalle dichiarazione della
sola persona offesa, purché sottoposte a rigoroso vaglio di attendibilità, nella
specie la prova dei reati è data non solo dalle dichiarazioni della persona offesa,
ma anche di un teste estraneo (D’Arrigo), che ebbe a percepire esattamente le
espressioni ingiuriose rivolte dai due alla donna (“prima ho sentito una
donna…poi un uomo…1’h° visto dire pazza ed altra che non ricordo”). Il teste ha
confermato, quindi, non solo le singole espressioni, ma anche la dinamica del
fatto descritto dalla p.o., confermando in pieno il racconto di quest’ultima (prima
una donna affacciata al balcone, che gridava contro di lei; poi un uomo, che si
aggregava alla prima; quindi le autonome espressioni ingiuriose). Racconto,
peraltro, nemmeno smentito dai testi a difesa, i quali hanno confermato, anzi, il
contesto conflittuale in cui si svolsero i fatti, rafforzando, in tal modo, il racconto
di coloro che ebbero a percepire il senso delle espressioni utilizzate.
Quanto agli argomenti difensivi, incentrati sul “travisamento” della prova,
le stesse frasi – riferite al teste D’Arrigo – riportate in ricorso confermano la
lettura data dal giudicante al contenuto della prova (“Ad un certo punto ho
2

Merrino Concetta e Zanghì Giuseppe a pena di giustizia per autonomi reati di

sentito una voce profferire insulti. Non ho sentito minacce, non ricordo. Prima ho
sentito una donna e non ho capito cosa diceva. Poi un uomo e mi sono affacciato
e l’ho visto dire pazza ed altro che ora non ricordo”), onde il “travisamento della
prova” – da parte del giudicante – rappresenta solo una personale deduzione dei
ricorrenti, essendo notorio che la realtà, soprattutto quella “verbale”, non viene
percepita alla stessa, identica maniera dagli astanti, ma viene filtrata attraverso i
sensi ed è compromessa dalla memoria, per cui differenze di percezione o di
trasmissione del ricordo non sono affatto segno di mendacità ma, il più delle

era al fianco della Romeo quando avvennero i fatti, ma si trovava all’interno
dell’appartamento, per cui è perfettamente comprensibile che non abbia
percepito la prima parte delle offese (all’onore e alla tranquillità) rivolte alla
donna ed abbia ritenuto solo ciò che sentì dopo aver teso l’orecchio a quanto
avveniva all’esterno. Quanto alla relazione del sovrintendente Sciortino, non è
dato – nemmeno a questa Corte – comprendere la sua significativa valenza,
posto che si tratta di relazione stilata da soggetto che intervenne dopo i fatti e
che non contiene – nemmeno a quanto riportato dai ricorrenti – alcuna rilevante
notizia per la ricostruzione dell’occorso, salvo alcune marginali divergenze di
racconto, anch’esse spiegabili con la concitazione del contesto in cui furono rese.
Pertanto il giudizio espresso dai giudici di merito, che hanno proceduto ad una
disamina esaustiva e penetrante delle fonti di prova e delle contrapposte
versioni, non merita alcuna censura, a fronte della riproposizione di doglianze
dirette alla rivalutazione di circostanze di fatto già correttamente esaminate in
sede di merito.
Il ricorso è perciò inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma a
favore della Cassa delle ammende, che, in ragione dei motivi di ricorso, si reputa
equo quantificare in C 1.000 ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/5/2014

volte, di genuinità. E ciò senza contare che, per ammissione di tutti, D’Arrigo non

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