Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32962 del 29/05/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 32962 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PALUMBO ANTONINO N. IL 08/04/1963
avverso la sentenza n. 792/2012 CORTE APPELLO di PALERMO, del
19/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 29/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 29/05/2014

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giovanni D’Angelo, che ha chiesto l’annullamento della sentenza perché il reato
è estinto per prescrizione.
– Udito, per l’imputato, l’avv. Paolo Porzio, che ha insistito per l’accoglimento del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO

quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato Palumbo Antonino a pena di
giustizia per bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale commessa quale
amministratore della S.I.P.A.V. srl, dichiarata fallita il 10/11/1999, nonché al
risarcimento dei danni in favore della curatela.
il Palumbo è imputato, in particolare, di avere, in concorso con Vescovo Pietro
(imputato non appellante), distratto la somma di £ 360.898.720, utilizzata per
l’acquisto di due unità immobiliari, una delle quali intestata al Vescovo e l’altra
alla propria moglie; nonché di aver effettuato prelievi dalla casse sociali per £
11.500.000 a titolo di “anticipi in conto utili” nell’imminenza del fallimento.
Inoltre, di aver tenuto le scritture contabili in modo da non rendere possibile la
ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.

2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell’interesse
dell’imputato, l’avv. Paola Porzio, che si avvale di quattro motivi.
2.1. Col primo lamenta la illogicità e contraddittorietà della motivazione resa in
ordine alla prova della distrazione, in quanto non è stato considerato che
Palumbo Antonino era uscito dalla compagine amministrativa a gennaio del
1999, mentre le condotte asseritamente distrattive sono successive. Lamenta,
inoltre, che il giudice d’appello abbia “omesso di enunciare le ragioni per le quali
non sono state ritenute attendibili le prove contrarie”.
2.2. Col secondo denunzia un vizio di motivazione in ordine alla prova della
bancarotta documentale, ritenuta esistente sulla base di una incompleta
valutazione del materiale probatorio, senza tener conto del fatto che lo stesso
consulente dell’accusa ha riferito di aver ottenuto la consegna di tutti i libri e
scritture contabili in possesso della società e di aver ricostruito la contabilità
sociale sulla base del libro giornale. Deduce che l’anomalia dei trasferimenti per
cassa è stata presunta dal consulente sulla base del solo libro giornale e senza
esaminare le fatture e gli altri documenti della società. Lamenta che non si sia
tenuto conto delle dichiarazioni del teste Miceli, il quale ha spiegato che
l’annotazione per cassa delle ingenti entrate della società era dovuta alla
mancanza di un c/c bancario, essendo la società protestata.
2

1. La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 19/12/2012, a conferma di

2.3. Col terzo lamenta l’illogicità della motivazione spesa dalla Corte d’appello
per negare la configurabilità della bancarotta semplice, di cui all’art. 217 L.F.
Deduce che, sulla base di quanto affermato dallo stesso giudice d’appello, la
condotta distrattiva più consistente è stata accertata sulla base della
documentazione bancaria; il che avrebbe dovuto portare il giudice ad escludere
che si sia trattato di una condotta dolosa, posta in essere al fine rendere
impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari.
Sottolinea che il giudice d’appello ha parlato di “non corretta” tenuta delle

2.4. Col quarto si duole del giudizio di equivalenza tra aggravanti e attenuanti
generiche, motivato con la reiterazione delle condotte nonostante si riconosca
che la società ha avuto vita breve ed ha trattato un unico affare (la costruzione
di 12 villette).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati.
1. Il Palumbo è stato amministratore della società fino al mese di gennaio del
1999. E’ stato accertato – attraverso le dichiarazioni e l’esame della
documentazione bancaria – che la società fu costituita nel 1998 e che la sua
attività è consistita esclusivamente nella costruzione di dodici unità abitative
verso il corrispettivo di quattro miliardi di lire, interamente incassate. L’ultima
tranche del pagamento, per £ 360.898.720, fu corrisposta in data 29/4/1999 e
ritirata dall’amministratore pro tempore (Vescovo Pietro), il quale la utilizzò per
acquistare due unità abitative: una intestata a sé stesso e un’altra alla moglie
del Palumbo, suo socio. Altre somme i due si erano equamente attribuite “in
conto utili” nell’anno 1999: £ 11.500.000 ciascuno, indipendentemente dal ruolo
rivestito, sul momento, nella società.
In questa non contestata ricostruzione della vicenda societaria vi è la prova,
lapalissiana, della distrazione, posto che il ricorrente non ha nemmeno tentato di
spiegare a quale titolo si è reso acquirente, per interposta persona, di una unità
immobiliare, pagata con i soldi della società; e non ha spiegato quali fossero gli
“utili” che si è attribuito in conto anticipi, posto che, a quanto emerge dalla
sentenza impugnata, la società realizzò perdite per 205.000.000 milioni di lire
nel 1998 e per 71 milioni di lire 1999. Evidente, quindi, che l’imputato ha
strumentalizzato la società per il suo tornaconto: nel che consiste la distrazione.

2. Priva di illogicità o di incongruenza è la spiegazione fornita dalla Corte di
merito per affermare il concorso di Palumbo nella distrazione. Quest’ultimo fu,
3

scritture, a comprova del fatto che si sia trattato di una condotta negligente.

infatti, amministratore fino al mese di gennaio del 1999, allorché fu sostituito dal
Vescovo. Entrambi erano soci della società e operarono sempre di conserva:
furono d’accordo nel distribuirsi gli “utili”, in pari ammontare; furono concordi nel
dirottare verso sé stessi, in ugual maniera e in pari ammontare, le risorse sociali
(il corrispettivo finale dei lavori fu “tagliato” a metà e fatto proprio da entrambi).
Nessuna censura merita, pertanto, la sentenza impugnata, che ha ricondotto alla
volontà di entrambi l’appropriazione delle risorse sociali, posto che le condotte
sopra descritte sono effettivamente indicative di una comunanza di intenti e di

volontà distrattiva, che li rende compartecipi dei fatti delittuosi loro attribuiti.

3. L’inattendibilità delle scritture contabili – e l’impossibilità di ricostruire, in base
ad esse, il patrimonio e il movimenti degli affari – è stata affermata in base alle
dichiarazioni del curatore fallimentare e dei consulenti tecnici della procedura, i
quali hanno evidenziato l’esistenza di trasferimenti anomali per cassa per
centinaia di milioni di lire, nonché la registrazione di costi e ricavi per oltre 650
milioni di lire senza alcuna giustificazione contabile. A nulla rileva, pertanto, che
la distrazione dell’ultima tranche del prezzo dell’appalto sia stata accertata in
base alla documentazione bancaria, giacché ciò che rileva, nella bancarotta
documentale, è l’impossibilità di pervenire ad una esatta rappresentazione
dell’evento economico – relativo alla gestione di impresa e agli esiti della stessa in modo completo ed esatto.

Invero, in tema di bancarotta fraudolenta

documentale, la norma incriminatrice ingloba in sé ogni ipotesi di falsità, anche
ideologica, in quanto è preordinata a tutelare l’agevole svolgimento delle
operazioni della curatela e a proscrivere ogni manipolazione documentale che
impedisca o intralci una facile ricostruzione del patrimonio del fallito o del
movimento dei suoi affari, considerato che a questo risultato si frappone non
solo la falsità materiale dei documenti, ma anche e soprattutto quella ideologica
– anche nella forma omissiva – che fornisce un’infedele rappresentazione del
dato contabile (Cass., n. 3115 del 17/12/2010). Nessuna censura merita,
pertanto, anche sotto il profilo in esame, la sentenza impugnata, che ha preso
atto dell’impossibilità di pervenire ad una completa ricostruzione dei movimenti
contabili e ha tratto la prova dell’elemento soggettivo – oltre che dalle accertate
distrazioni – dalle importanti e reiterate omissioni relative alla documentazione
delle operazioni sociali, siccome sintomatiche della coscienza e volontà di
sottrarre l’operato degli amministratori alla verifica degli organi fallimentari.

4. L’ultima censura esula dal novero dei motivi consentiti dall’art. 606 c.p.p., in
quanto volta a criticare il giudizio di bilanciamento tra circostanze. Trattasi,
invero, di statuizioni che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di
4

interessi, perseguiti nell’ambito di una gestione caratterizzata da comune

merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità, quando la
decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel
caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la propria decisione
sul punto, con l’evidenziare il grave disvalore del fatto, considerata, da un lato,
la reiterazione delle condotte criminose di distrazione (nonostante la vita breve
della società e lo svolgimento di un unico affare) e, dall’altro, la fraudolenta
predisposizione di scritture contabili artificiosamente inattendibili e tali da
mascherare l’accertamento delle reiterate condotte distrattive dal medesimo

Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura; né vale contrapporvi
argomentazioni intese a sollecitare, con valutazione di puro merito, una revisione
circa la gravità della condotta ascritta all’imputato e la sua durata.

5. Non può accedersi alla richiesta, formulata dal Pubblico Ministero
d’udienza, di declaratoria della estinzione del reato, dal momento che la
sentenza d’appello è intervenuta prima dello spirare del termine massimo di
prescrizione (che è maturato, tenuto conto del periodo di mesi sette e giorni 19
di sospensione della prescrizione, il 29/12/2012). Trova quindi applicazione il
principio affermato da questa Corte (Sezioni Unite, sent. n. 32 del 2000, De
Luca), secondo cui l’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla
manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto
di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.

5. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché — ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento
a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così
equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 29/5/2014

poste in essere.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA