Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32960 del 26/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32960 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: POSITANO GABRIELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DISERO’ MARIO N. IL 13/05/1969
avverso la sentenza n. 4574/2010 CORTE APPELLO di TORINO, del
22/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO

Udito, p la parte civile, l’Avv

Data Udienza: 26/05/2014

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dr Eugenio Selvaggi, ha concluso chiedendo
il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il difensore di Diserò Mario propone ricorso per cassazione contro la sentenza emessa
dalla Corte d’Appello di Torino in data 22 maggio 2013, che ha parzialmente riformato
la decisione adottata dal Tribunale di Verbania il 23 febbraio 2010, la quale aveva
condannato l’imputato, per furto pluriaggravato, alla pena di mesi sei di reclusione ed

quantitativo del gas consumato per uso domestico, attraverso la rimozione dei sigilli
dell’immobile del quale era conduttore, con le circostanze aggravanti di avere usato
violenza sulle cose, di essersi avvalso di un mezzo fraudolento e di avere commesso il
fatto su cose destinate a pubblico servizio o pubblica utilità, con la recidiva reiterata. Il
giudice di appello ha accolto solo la doglianza relativa all’aggravante del mezzo
fraudolento, ritenendola insussistente, per essersi l’imputato limitato a manomettere i
sigilli, senza compiere altre operazioni sull’impianto. La Corte territoriale, però, ha
ritenuto che la esclusione dell’aggravante non modificasse il giudizio di bilanciamento
operato dal giudice di primo grado, confermando quello di equivalenza, in
considerazione dei precedenti penali e delle condanne riportate dall’imputato, anche
successivamente (tra le quali una per furto), oltre che per la residua aggravante.
2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il difensore di Diserò Mario
lamentando:

violazione di legge per avere il giudice di secondo grado ribadito il giudizio di
equivalenza, utilizzando un elemento di fatto che non era stato oggetto della
valutazione del giudice di primo grado;

violazione di legge, con riferimento al principio di divieto di reformatio in pejus, per
avere la Corte d’Appello necessariamente operato una valutazione della residua
circostanza aggravante, più grave rispetto al giudizio del Tribunale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata non merita censura.

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa dell’imputato rileva una violazione di legge per
avere la Corte territoriale operato un nuovo bilanciamento con la recidiva, facendo
riferimento ad una condanna successiva al reato per cui si procede, costituente
elemento di fatto che non era stato oggetto di valutazione nella decisione di primo
grado.
2. La doglianza è del tutto destituita di fondamento. La Corte d’Appello ha fatto corretta
applicazione dei principi in materia, prendendo doverosamente in esame l’ulteriore
episodio di furto, divenuto irrevocabile il 20 settembre 2012, ai fini del giudizio di
bilanciamento delle circostanze e della recidiva, senza che tale ulteriore valutazione

euro 154 di multa. A Diserò era stato contestato di essersi impossessato del

abbia determinato un aumento di pena (quest’ultimo, non consentito in sede di
appello).
3. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge poiché, in assenza di impugnazione
del Pubblico Ministero, i giudici di secondo grado avrebbero implicitamente valutato in
maniera più grave la circostanza aggravante residua e gli altri elementi utili per definire
la personalità del reo, ai fini della commisurazione della sanzione, rispetto a quanto
fatto dal giudice di primo grado e ciò in deroga al principio espresso dalle Sezioni Unite

elementi del calcolo della pena.
4. Il motivo è infondato, avendo la Corte d’Appello applicato i principi da ultimo affermati
dalle Sezioni Unite della Cassazione. Infatti, “il giudice di appello, dopo aver escluso una
circostanza aggravante o riconosciuto un’ulteriore circostanza attenuante in
accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nel divieto di
“reformatio in peius”, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio
di equivalenza tra le circostanze, purchè questo sia accompagnato da adeguata
motivazione” (Sez. U, Sentenza n. 33752 del 18/04/2013 Ud. (dep. 02/08/2013 ) Rv.
255660). Tale giudizio è soggetto alla sola verifica di adeguatezza ai sensi dell’art. 606
comma primo lett. e) e, sotto tale profilo, la motivazione della Corte territoriale è
assolutamente congrua, per il riferimento specifico ai precedenti penali, alle condanne
riportate dall’imputato anche successivamente (il riferimento è all’ulteriore episodio di
furto sopra citato) e alla residua aggravante. Conseguentemente va ribadito che
l’argomentata affermazione, secondo cui il peso delle circostanze attenuanti generiche
non può superare il giudizio di equivalenza, non viola il divieto di “reformatio in peius”,
in ossequio al principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui la
violazione non ricorre nell’ipotesi, sussistente nel caso di specie, in cui il giudice di
appello, nell’escludere una aggravante, confermi il trattamento sanzionatorio ed il
giudizio di comparazione del primo giudice (Sez. 6, n. 41220 del 03/10/2012 – dep.
22/10/2012, Caravelli, Rv. 254261)

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26/05/2014
Il Consigliere estensore

della Corte di Cassazione secondo cui il divieto di reformatio in pejus riguarda anche gli

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