Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32958 del 26/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32958 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DEL VESCOVO GAETANO N. IL 23/08/1960
avverso la sentenza n. 931/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
03/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. eiAt. 4„,, Se. Imikm
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che ha concluso per ek

Data Udienza: 26/05/2014

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 03/05/2013 la Corte d’appello di Milano ha confermato la
decisione di primo grado che aveva condannato Gaetano Del Vescovo alla pena
ritenuta di giustizia, avendolo ritenuto responsabile del reato di bancarotta
fraudolenta documentale, perché, in qualità di amministratore unico della s.r.l.
La Fortezza, dichiarata fallita in data 17/11/2005, con lo scopo di procurare a sé
o ad altri un ingiusto profitto, aveva sottratto i libri e le altre scritture contabili in
modo da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento

La Corte territoriale ha rilevato: a) che dalla relazione del curatore era emerso
che il Del Vescovo, ultimo amministratore della società, era stato nominato in
data 09/09/2002; b) che, pertanto non vi era motivo di credere che potesse
essersi fidato delle rassicurazioni della commercialista Cappelletti, da lui
interpellata, anche perché costei, era stata sostituita nell’incarico di tenuta delle
scritture contabili, sin dalla fine del 2002; c) che l’imputato non era stato in
grado di giustificare il suo operato, solo da ultimo rammaricandosi di avere
taciuto per le minacce provenienti da persone vicine a Vincenzo e Angelo
Valentino; d) che l’imputato, all’epoca degli accertamenti del curatore, non era
stato rintracciato, nonostante la richiesta di intervento della Forza pubblica da
parte del giudice delegato del 21/12/2005;
2. Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato
ad un unico motivo, con il quale si lamenta violazione dell’art. 216, comma
primo, n. 2, I. fall., per avere la Corte territoriale: a) omesso di considerare che
l’imputato non aveva ricoperto la carica di amministratore sino alla data del
fallimento, ma solo sino all’aprile del 2003; b) trascurato di rilevare che
l’imputato, per il breve periodo in cui era stato amministratore della società
fallita, era stato un mero prestanome, come emergeva sia dalla presenza del
reale

dominus

(Vincenzo Valentino) al compimento degli atti di cessione

societaria realizzati tra il 2002 e il 2004, sia dalla deposizione della teste
Cappelletti, commercialista della società, la quale aveva dichiarato di non
ricordare a chi avesse consegnato le scritture contabili, in occasione della
cessazione del suo incarico e aveva aggiunto che il suo interlocutore principale
era stato il Valentino e non l’imputato. In definitiva, non era emersa alcuna
prova né dell’elemento oggettivo (anche in ragione del fatto che il Del Vescovo
non aveva avuto notizia del fatto di essere stato cercato dal curatore) né
dell’elemento soggettivo del reato.
Considerato in diritto
1. L’articolato motivo di ricorso è infondato.

1

degli affari.

In particolare, seguendo l’ordine delle censure prospettate, osserva la Corte: a)
che la deduzione del ricorrente di avere ricoperto la carica di amministratore solo
sino all’aprile del 2003 è smentita dal fatto che sia nella sentenza impugnata, sia
nello stesso atto di appello si dà atto che la società fallita, ancora in data
29/07/2004, era rappresentata dall’imputato in un atto di cessione d’azienda; b)
che il ruolo di mero prestanome dell’imputato non ne elide la responsabilità,
giacché, in tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del
reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa

solo formalmente dell’amministrazione della società fallita, in quanto sussiste il
diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le
predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta
consapevolezza del loro stato (Sez. 5, n. 642 del 30/10/2013 – dep. 10/01/2014,
Demajo, Rv. 257950); c) che, nella specie, la commercialista Cappelletti ha
riferito che il Del Vescovo si era recato presso il suo studio sia in occasione della
nomina ad amministratore, sia per sottoscrivere il bilancio relativo all’esercizio
del 2002 e ha aggiunto che ella aveva interrotto la collaborazione proprio con
quell’esercizio; d) che, in definitiva, anche per l’assenza di censure specifiche sul
punto, deve ritenersi che il ricorrente fosse ben al corrente dell’esistenza delle
scritture e abbia, con la sua condotta omissiva, concorso alla loro sottrazione.
In conclusione, non è dato cogliere nell’atto di impugnazione critiche specifiche e
pertinenti quanto all’esistenza degli elementi materiali della condotta contestata
e del necessario elemento soggettivo.
2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna
del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 26/05/2014

Il Componente estensore

tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili, anche laddove sia investito

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