Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32954 del 23/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32954 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOZZATO ORNELLA N. IL 04/03/1969
avverso la sentenza n. 909/2003 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
13/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 23/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA

Udito, per 1 arte civile, l’Avv

Data Udienza: 23/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Mario Fraticelli, ha
concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

d’appello di Bologna il 13 luglio 2012, il Tribunale di Forlì condannava
Mozzato Ornella alla pena di giustizia per il delitto di sequestro di persona,
in danno di Tiuca Elena Luminita, commesso in concorso con il coniuge
della vittima, Tiuca Arel ed altro soggetto. L’imputata era accusata di aver
fornito un contributo causale alla realizzazione del reato, sia sul piano
morale, accompagnando i complici nel locale notturno ove la vittima
svolgeva l’attività di intrattenitrice e dal quale fu prelevata, con azione
violenta e minacciosa; sia sul piano materiale, mettendo a disposizione la
propria autovettura sulla quale la persona offesa fu trasportata contro la
sua volontà in altro luogo, dal quale poi, con la vettura del marito, fu
portata in una casa di Bologna, ove fu trovata dalla polizia.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputata, con atto
del proprio difensore, avv. Andrea Zamperlin, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera C,
cod. proc. pen., in relazione all’art. 603 cod. proc. pen., per la mancata
rinnovazione del dibattimento in appello: era stata infatti chiesta
l’escussione della persona offesa, sottrattasi all’esame dibattimentale nel
giudizio di primo grado. La ricorrente deduce che il giudice di primo grado
ha dato lettura delle dichiarazioni di Tiuca Elena Luminita, ai sensi
dell’articolo 512 e 515 cod. proc. pen., in ragione dell’irreperibilità della
teste, condizione che però andava accertata e che doveva permanere
anche in grado di appello, secondo la corretta interpretazione dell’articolo
526, comma 1 bis, cod. proc. pen. fornita dalla Suprema Corte (Sez. 1, n.
44158 del 23/09/2009, Marinkovic, Rv. 245556), alla luce dell’articolo 6
CEDU.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera C,
cod. proc. pen., in relazione all’art. 526, comma 1 bis, cod. proc. pen. e 6
CEDU, per l’utilizzazione delle dichiarazioni della Tiuca, ex art. 512 cod.

2

1. Con la sentenza resa in data 28 ottobre 2002, confermata dalla Corte

proc. pen., giacché la norma che disciplina la utilizzabilità ai fini della
decisione delle prove è in realtà l’art. 526, comma 1 bis, cod. proc. pen., a
mente della quale “la colpevolezza dell’imputato non può essere provata
sulla base delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto all’esame dell’imputato e del suo difensore”,

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, per tardività.
1.1 Ai sensi dell’art. 585 cod. proc. pen., comma 2, lett. C, il termine per
proporre impugnazione (di quarantacinque giorni, nel caso di deposito della
sentenza nel termine assegnato in dispositivo, ai sensi dell’articolo 544,
comma 3, cod. proc. pen.) decorre dalla scadenza del termine stabilito
dalla legge o determinato dal giudice, per l’imputato presente.
1.2 Orbene, nel caso in esame risulta dalla attestazione della cancelleria,
che la sentenza è stata depositata il 10 settembre 2012, entro il termine di
90 giorni assegnato in dispositivo, che scadeva 1’11 ottobre 2012. Poiché
dalla sentenza e dal verbale del 13 luglio 2012 risulta la presenza
dell’imputata in udienza, il termine di 45 giorni veniva a scadenza il 26
novembre 2012.
1.3 II ricorso proposto in data 13 febbraio 2013 è, pertanto, tardivo e
dunque inammissibile, ai sensi dell’art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett.
C.
2.

Il ricorso sarebbe comunque inammissibile anche per manifesta

infondatezza di entrambi i motivi.
2.1 Con rifermento al primo motivo, va considerato che il ricorrente in
appello si è limitato a chiedere di ripetere le ricerche di Tiuca Elena
Luminita ed eventualmente sentirla, invocando un principio affermato da
una sentenza della Prima Sezione di questa Corte.
Secondo la decisione invocata (Sez. 1, n. 44158 del 23/09/2009,
Marinkovic, Rv. 245556), deve essere disposta la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello, a fronte della specifica
richiesta difensiva, con la quale si adduce che sia venuta meno la

3

come appunto è avvenuto nel caso di specie.

condizione di irreperibilità del soggetto le cui dichiarazioni predibattimentali
sono state acquisite per sopravvenuta impossibilità di ripetizione.
In altri termini, quando la prova torna ad essere acquisibile in appello e la
possibilità di assumerla sia oggetto di specifica deduzione e richiesta
difensiva, la necessità della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale

Cost., comma 4 e dalla natura di eccezione, non estensibile oltre i limiti
posti dalle ragioni che la giustificano, della deroga costituita dalla
impossibilità oggettiva.
Ciò significa che la parte ha diritto ad ottenere la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale, al fine di dimostrare che il dichiarante è
nuovamente reperibile, se la prova di tale fatto è sopravvenuta o scoperta
dopo il giudizio di primo grado.
2.2 Nel caso di specie, invece, il ricorrente aveva chiesto di esperire
nuovamente le ricerche della teste, sul presupposto (errato) che
l’irreperibilità dovesse comunque essere accertata anche in grado di
appello.
3.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, poiché la

decisione impugnata esclude la volontaria sottrazione della teste all’esame
dibattimentale (essendo dimostrata solo l’irreperibilità successiva, peraltro
non prevedibile all’epoca della denuncia, né ragionevolmente ipotizzabile,
essendo la donna residente in Emilia Romagna, identificata con carta
d’identità di Comune di Bologna ed in possesso di stabile occupazione
lavorativa), per cui non si è avuta violazione dell’art. 526 bis cod. proc.
pen.; va peraltro anche considerato che su richiesta della difesa sono state
acquisite le sommarie informazioni del 29.5.2000, rese in epoca successiva
alla denuncia (del 22.4.2000), nelle quali la donna dichiara di confermare
ogni circostanza esposta nella denuncia stessa, per cui il consenso delle
parti rende comunque utilizzabili le dichiarazioni di Tiuca Elena Luminita.
4. Per le ragioni esposte il ricorso è inammissibile.
4.1 Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di
causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del
ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al

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discende dalla incondizionata ampiezza dei principi fissati nell’art. 111

versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si
ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.
4.2 In proposito il Collegio non ritiene di condividere l’orientamento
espresso in talune pronunce di questa Corte (ved. per tutte, Sez. 6, n.
31435 del 24/04/2012, Ighune, Rv. 253229), secondo cui, qualora il

indicate nell’art. 591 c.p.p., non si applicherebbe la sanzione pecuniaria
prevista dall’art. 616 c.p.p., riguardando tale previsione soltanto i casi in
cui l’inammissibilità sia dichiarata ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p..
Questo orientamento appare in contrasto con il letterale tenore del citato
art. 616 c.p.p., il quale, nello stabilire l’applicazione di detta sanzione “se il
ricorso è dichiarato inammissibile”,

non distingue affatto tra le varie

possibili cause di inammissibilità; e, d’altra parte, attesa la peculiarità del
mezzo di impugnazione, non appare affatto illogico che anche le ordinarie
cause di inammissibilità, quali previste dall’art. 591 c.p.p., diano luogo ad
una sanzione che non trova, invece, applicazione quando esse riguardino
un’impugnazione di diverso tipo, dovendosi semmai riguardare come
difficilmente giustificabile, sul piano logico, che, a parità di
“rimproverabilità” alla parte privata dell’avvenuta proposizione del ricorso
rivelatosi inammissibile, la stessa parte sia o non sia soggetta al
pagamento della sanzione a seconda che la causa di inammissibilità sia
riconducibile alle previsioni di cui all’art. 606, comma 3, c.p.p. o a quelle di
cui all’art. 591 c.p.p. (tra le ultime, Sez. 5, n. 36372 del 13/06/2013,
Rosati, Rv. 256953).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2014
Il consigliere estensore

eside e

ricorso per cassazione sia dichiarato inammissibile per taluna delle cause

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