Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3295 del 12/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 2 Num. 3295 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 12/12/2013

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di BOUGDIR Yosef, alias Donky
Yosef, nato a Tunisi il 03.12.1981, attualmente in custodia cautelare
in carcere per questa causa, rappresentato e assistito dall’avv.
Pierfrancesco Continella avverso l’ordinanza n. 1055/2013 del
Tribunale di Catania in funzione di giudice del riesame in data
17.06.2013;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
sentita la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott.
Massimo Galli che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa in data 23.05.2013, il Giudice per le indagini

1

4

preliminari presso il Tribunale di Catania applicava nei confronti di
BOUGDIR Yosef, alias Donky Yosef la misura cautelare della custodia
in carcere per i reati di tentata estorsione, lesioni, resistenza a
pubblico ufficiale ed estorsione.
1.1. Avverso la predetta ordinanza, BOUGDIR Yosef, alias Donky
Yosef proponeva ricorso per riesame ed eccependo in via preliminare
la nullità dell’ordinanza impositiva della misura custodiale per

omessa traduzione della stessa nella lingua d’origine dell’indagato
nonché la violazione dell’art. 292 lett. b) cod. proc. pen. per omessa
sommaria descrizione dei fatti contestati avendo il provvedimento
impugnato riportato solo le norme violate rinviando sul punto alla
richiesta del pubblico ministero che tuttavia non era stata allegata
nella copia notificata al difensore; nel merito, chiedeva
l’annullamento del provvedimento per difetto dei gravi indizi di
colpevolezza.
1.2. Con ordinanza in data 17.06.2013, il Tribunale di Catania in
funzione di giudice del riesame rigettava il ricorso e confermava il
provvedimento impugnato.
1.3. Avverso detto provvedimento, veniva proposto ricorso per
cassazione con prospettazione di un unico motivo relativo alla
dedotta violazione dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen..
1.4. Sotto un primo profilo, lamenta il ricorrente, come il Tribunale di
Catania, nel respingere l’eccezione di nullità dell’ordinanza impositiva
della misura custodiale per omessa traduzione della stessa nella
lingua d’origine dell’indagato aveva percorso un iter logico normativo
in palese contrasto con i principi posti a base del nostro
ordinamento, ed in particolare con gli artt. 94 disp. att. cod. proc.
pen. e 143 cod. proc. pen. in relazione agli artt. 109 e 169 cod. proc.
pen., la cui inosservanza è stabilita a pena di nullità assoluta ex art.
178 lett. c) cod. proc. pen. per violazione del diritto di difesa;
invocava a tal fine la nota sentenza delle Sezioni Unite della
Suprema Corte (n. 5052 del 24/09/2003-dep. 09/02/2004,
Zalagaitis, rv. 226718), citata anche dal Tribunale di Catania, con la
quale era stata affermata la nullità dell’ordinanza custodiale
notificata al cittadino extracomunitario che non conosca la lingua
italiana senza la relativa traduzione.
Si evidenziava come nella fattispecie, l’indagato, sin dal momento

2

,

dell’arresto, aveva dichiarato di non parlare la lingua italiana, tanto è
vero che sia in sede di udienza di convalida che in sede di udienza
camerale avanti al Tribunale del Riesame era stata richiesta la
presenza dell’interprete: nonostante tale dichiarazione, i
provvedimenti relativi alla misura cautelare non erano stati tradotti
nella lingua d’origine dell’indagato.
1.5. Sotto un secondo profilo, lamenta il ricorrente, come il Tribunale

di Catania abbia illegittimamente disatteso l’eccezione di nullità
dell’ordinanza a norma dell’art. 292 lett. b) cod. proc. pen. ritenendo
che i fatti-reato fossero stati compiutamente contestati all’indagato
nel corso dell’udienza di convalida e che la descrizione del medesimo
si evincesse in modo chiaro dalla motivazione dell’ordinanza
cautelare. Osserva il ricorrente che il requisito della “descrizione
sommaria del fatto” ha la funzione di informare l’indagato o
l’imputato circa il tenore delle accuse che gli vengono mosse al fine
di consentirgli l’esercizio della difesa. Secondo tale prospettiva, le
specifiche esigenze si possono ritenere soddisfatte quando il giudice
abbia allegato all’ordinanza il foglio contenente le incolpazioni
formulate dal pubblico ministero nella richiesta di applicazione della
misura cautelare: nella fattispecie, l’omessa allegazione di tale
allegato nel corpo dell’ordinanza notificata al difensore aveva
determinato la mancata conoscenza del merito dell’accusa e,
conseguentemente, leso il diritto di difesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il ricorso è immeritevole di accoglimento.
3. BOUGDIR Yosef, alias Donky, ha proposto ricorso per Cassazione
avverso l’ordinanza emessa il 17 giugno 2013 dal Tribunale del
riesame di Catania, che ha confermato l’ordinanza emessa il giorno
23 maggio 2013 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Catania, applicativa nei confronti del predetto, persona sottoposta
alle indagini, per i reati di tentata estorsione, lesioni, resistenza a
pubblico ufficiale ed estorsione e tratto in arresto nella flagranza dei
medesimi, la misura cautelare della custodia in carcere.
4. Con un primo motivo, il ricorrente ha dedotto violazione di legge e
vizio di motivazione laddove i Giudici del riesame hanno disatteso

3

Ir

l’eccezione di nullità della ordinanza cautelare impugnata perché non
tradotta integralmente nella lingua dell’indagato, cittadino tunisino,
riconoscendo implicitamente che sia il verbale di interrogatorio che
l’ordinanza erano stati sottoscritti dall’interprete, circostanza, questa,
che, secondo la ricorrente, non valeva a dimostrare l’avvenuta
traduzione ed in ogni caso l’effettiva conoscenza del contenuto del
provvedimento da parte dell’indagato.

Il motivo è infondato.
Invero, quand’anche si volesse valorizzare la censura sulla base
dell’avvenuta nomina di un interprete a dimostrazione della dedotta
mancata conoscenza della lingua italiana, va osservato che, in tema
di provvedimenti applicativi di misure cautelari personali, l’omessa
traduzione nella lingua madre dell’indagato alloglotta dell’ordinanza
con la quale il giudice per le indagini preliminari dispone, all’esito
dell’udienza di convalida dell’arresto in flagranza, la custodia
cautelare in carcere, non può essere ricompresa ne’ fra le tassative
cause di nullità previste dall’art. 292, comma 2-ter cod. proc. pen.,
ne’ fra le nullità di ordine generale di cui all’art. 178, lett. c) cod.
proc. pen., in relazione all’art. 143 cod. proc. pen. (Cass., Sez. 6, n.
2275 del 17/12/2002, Bohm). Tutto questo è perfettamente in linea
con la più recente giurisprudenza di questa Suprema Corte (Cass.,
Sez. 1, n. 33058 del 14/07/2011-dep. 02/09/2011, Ben Nasr, rv.
250380; Cass., Sez. 1, n. 35878 del 19/06/2012-dep. 19/09/2012,
Bindac, rv. 253283), secondo la quale, il giudice che emette
ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di imputato
che ignori la lingua italiana non è tenuto alla traduzione della stessa
nella lingua a quest’ultimo nota. Detta conclusione viene tratta sulla
base della “garanzia” offerta dall’art. 94 disp. att. cod. proc. pen. che
prevede l’obbligo del direttore dell’istituto penitenziario di accertare,
se del caso con l’ausilio dell’interprete, che l’interessato abbia precisa
conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e di
illustrargliene, ove occorra, i contenuti. Pertanto, non può che
ribadirsi, contrariamente a quanto sostenuto da altra pregressa
giurisprudenza pure avallata dalle Sezioni Unite (sent. n. 5052 del 24
settembre 2003), la sufficienza di tale meccanismo di tutela dal
momento che ciò che rileva è che lo Stato – e, quindi, l’apparato
pubblico – si adoperi per assicurare la traduzione dell’atto non

4

prevedendo alcuna norma che un obbligo del genere finisca per
gravare sul giudice che ha emesso il provvedimento: e,
l’accertamento – di natura amministrativa – affidato al direttore
dell’istituto penitenziario è diretto a verificare che l’indagato abbia
precisa conoscenza del provvedimento non potendosi ritenere che
detto incombente, per le rilevanti conseguenze che ne possono
derivare, possa risolversi in un adempimento di carattere sommario.

5. Nella specie risulta, comunque, che l’indagato sia stato assistito, sia
in sede di udienza cautelare che in quella camerale avanti al
Tribunale di Catania, da un interprete, la cui funzione era quella di
tradurre quanto veniva affermato, richiesto e disposto nelle predette
udienze, incluso il testo sia della ordinanza custodiale che quello
della ordinanza dei giudici del riesame.
6. Con un secondo motivo di doglianza, il ricorrente ha dedotto i
medesimi vizi di legittimità denunciati a sostegno del primo motivo,
con riferimento alla motivazione della ordinanza impugnata in
relazione alla dedotta omessa completa contestazione dei fatti. La
doglianza investe due distinti aspetti: invero, si eccepisce da un lato
la nullità dell’ordinanza cautelare impositiva della misura ex art. 292
lett. b) cod. proc. pen. sotto il profilo della mancata esposizione del
fatto essendo stati indicati solo gli articoli di legge violati e, dall’altro,
la mancata allegazione della richiesta del pubblico ministero
all’ordinanza cautelare notificata al difensore nonostante che nella
medesima venisse fatto esplicito riferimento a detta allegazione.
7. Il primo aspetto afferisce ai limiti del potere d’integrazione del
Tribunale del riesame rispetto al provvedimento impositivo della
misura.
Al riguardo non può che farsi richiamo alla giurisprudenza – ormai
sedimentatasi – della Suprema Corte a cui questo Collegio presta
totale adesione, secondo cui, in tema di misure cautelari personali, il
coordinamento fra il disposto dell’art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis)
e quello dell’art. 309 cod. proc. pen. consente di affermare che al
tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice
collegiale e di merito sulla vicenda “de libertate”, onde allo stesso
non é demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto,
quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi,
primariamente la soluzione del contrasto sostanziale tra libertà del

5

singolo e la necessità coercitiva, con la conseguenza che la
dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva deve essere relegata
a ultima “ratio” delle determinazioni adottabili. Tale nullità può
pertanto essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia
mancante di motivazione in senso grafico ovvero, qualora, pur
esistendo una motivazione, essa si risolva in una clausola di stile,
onde non sia possibile, interpretando e valutando l’intero contesto,

individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue
(Cass., Sez. 4, n. 45848 del 08/07/2004-dep. 26/11/2004, Chisari,
rv. 230415).
Non vi può essere dubbio pertanto sul fatto che la decisione adottata
dal Tribunale del riesame debba essere sorretta da adeguata
motivazione, sebbene si discuta sui caratteri che tale
argomentazione debba possedere per potersi definire completa ed
esaustiva. Infatti, le circostanze che il giudizio di riesame, pur
essendo un procedimento di gravame, abbia un carattere totalmente
devolutivo e la proposizione del relativo ricorso da parte della difesa
non richieda necessariamente la formulazione di specifici motivi a
supporto, costituiscono profili che incidono sugli obblighi
motivazionali gravanti sul giudice de libertate.
Sull’argomento, un primo punto fermo è rappresentato dalla
affermazione che l’argomentazione della pronuncia di riesame può
dirsi effettivamente sussistente solo se la motivazione del
provvedimento giudiziale non si limiti ad una mera elencazione
descrittiva di elementi di fatto, apoditticamente affermati come
indizianti, senza alcuna argomentazione valutativa di essi,
occorrendo invece che ci si soffermi in primo luogo sulle ragioni per
cui possano dirsi fondati i singoli elementi indiziari e
successivamente sulle ragioni per cui i diversi elementi accusatori,
complessivamente considerati, siano idonei a dar vita ai gravi indizi
richiesti dall’art. 273 cod. proc. pen.: in buona sostanza, la sopra
menzionata natura ed il carattere totalmente devolutivo del mezzo di
impugnazione del riesame riverbera particolari effetti anche in ordine
all’apparato razionale della decisione in parola perché impone che la
stessa ripercorra l’iter motivazionale che può portare all’adozione di
un provvedimento cautelare (cfr., Cass., Sez. 5, n. 12679 del
24/01/2007-dep. 27/03/2007, Mercadante, rv. 235985; Cass., Sez.

6

4, n. 19338 del 16/02/2005-dep. 20/05/2005, Belsole ed altri, rv.
231554). Detta asserzione può essere meglio compresa
evidenziando come gli obblighi motivazionali gravanti sul tribunale
del riesame siano diversi a seconda della decisione che lo stesso
assume, ovvero a seconda che il giudice del gravame accolga o
rigetti il ricorso. Infatti, allorquando tale decisione sia di conferma
del provvedimento impugnato – e quindi di rigetto del ricorso – la

giurisprudenza ha da tempo chiarito che «in tema di motivazione dei
provvedimenti sulla libertà personale, l’ordinanza applicativa della
misura e quella che decide sulla richiesta di riesame sono tra loro
strettamente collegate e complementari, sicché la motivazione del
tribunale del riesame integra e completa l’eventuale carenza di
motivazione del provvedimento del primo giudice, e viceversa», per
cui il tribunale del riesame può riformare o confermare l’ordinanza
impugnata per ragioni anche totalmente diverse da quelle indicate
nella motivazione del primo provvedimento (cfr., per tutte, la
risalente Cass., Sez. un., n. 7 del 17/04/1996-dep. 03/07/1996,
Moni). Tale complementarietà fra provvedimento restrittivo della
libertà personale ed ordinanza che decide il riesame ha permesso di
ritenere che:
1) la decisione del tribunale del riesame possa essere determinata
esclusivamente dagli argomenti addotti dalle parti nel corso
dell’udienza;
2) il tribunale del riesame ha la facoltà di fissare esso stesso la
durata della misura cautelare, laddove la stessa sia stata disposta
per ragioni di carattere probatorio;
3) il potere del tribunale del riesame di integrare la motivazione del
provvedimento impugnato può giungere fino ad indicare, rimediando
così all’omissione dell’ordinanza cautelare, l’esigenza cautelare al cui
soddisfacimento la misura è finalizzata, ovvero a sostituire l’esigenza
cautelare indicata nella misura con altra (Cass., Sez. 4, n. 26317 del
29/03/2007-dep. 06/07/2007, Caboni, rv. 237567);
4) il tribunale del riesame può porre a fondamento della misura non
solo ragioni diverse da quelle rinvenute dal giudice delle indagini
preliminari, ma financo ragioni fondate su elementi emersi
successivamente alla misura in corso di esecuzione (Cass., Sez. 2, n.
9532 del 22/01/2002-dep. 08/03/2002, Borragine, rv. 221000, con

7

riferimento a sentenze relative ad altri coimputati);
5) il tribunale del riesame può sanare, mediante la motivazione della
sua decisione, l’eventuale contrasto tra motivazione e dispositivo
dell’ordinanza cautelare.
La possibilità di una integrazione biunivoca della motivazione della
misura cautelare, ad opera tanto dell’originario provvedimento,
quanto della decisione del tribunale del riesame, trova comunque

alcune limitazioni. In primo luogo, la decisione sulla impugnazione per giurisprudenza ormai pacifica di questa Suprema Corte – deve
necessariamente contenere esposizione dei fatti e dell’accadimento
storico in ossequio allo schema formale di cui all’art. 192, comma 2,
cod. proc. pen.: tale esposizione risulta essenziale per il suo profilo
euristico, in vista del possibile ricorso per cassazione, giacché
nell’esercizio del controllo di legittimità sull’adeguatezza, congruità e
logicità della motivazione del provvedimento impugnato, la Corte di
Cassazione deve rifarsi, in via esclusiva, alla ricostruzione storica
della vicenda processuale fornita dal giudice di merito ed ai giudizi
sul fatto circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza
del dato in cognizione, sicché, in assenza di una ricostruzione sulle
vicende storiche sostrato della decisione, la Suprema Corte è
impossibilitata a decidere della correttezza del provvedimento. In
secondo luogo, può riconoscersi rilevanza e valenza alla motivazione
del giudice del riesame, rispetto a lacune e contraddizioni proprie del
provvedimento impugnato, solo laddove quest’ultimo risulti
comunque assistito da una esposizione delle ragioni che hanno
determinato la relativa adozione (Cass., Sez. 6, n. 52 del
10/01/2000-dep. 25/01/2000, Iadadi, rv. 215433). Deve infatti
ritenersi condivisibile l’orientamento giurisprudenziale prevalente
secondo cui il tribunale del riesame non può confermare il
provvedimento restrittivo per motivi diversi da quelli addotti dal
giudice, laddove il provvedimento risulti radicalmente nullo, dovendo
in tal caso provvedere esclusivamente alla pronunzia di nullità
dell’atto (cfr., Cass., Sez. 3, n. 41569 del 11/10/2007-dep.
12/11/2007, Verdesan, rv. 237903; Cass., Sez. 2, n. 1102 del
04/12/2006-dep. 17/01/2007, Blasi ed altro, rv. 235622; contra
Cass., Sez. 6, n. 35993 del 14/06/2004-dep. 07/09/2004, P.G. in
proc. Iuzzolino, rv. 229763, che nega la possibilità per il Tribunale

8

del riesame di annullare il provvedimento impugnato per difetto di
motivazione «in quanto solo al giudice di legittimità è riconosciuto il
potere di pronunciare l’annullamento a fronte delle nullità comminate
per omessa motivazione»). La possibilità dell’integrazione biunivoca
fra le due motivazioni può venir meno in conseguenza del particolare
contenuto della richiesta di riesame. Secondo diverse pronunce della
Cassazione, cui ha aderito la Corte Costituzionale, allorquando con la

richiesta di riesame siano stati addotti specifici motivi di gravame,
potrà riconoscersi che la decisione del tribunale del riesame di rigetto
dell’istanza abbia correttamente assolto all’obbligo di motivazione,
solo ove si sia provveduto ad esaminare e rispondere a tutti i singoli
motivi che sorreggevano l’impugnazione (Cass., Sez. 1, n. 14374 del
09/01/2001-dep. 09/04/2001, Cianciarusso, rv. 219093).
In particolare, ove la richiesta di riesame contesti la presenza dei
gravi indizi di colpevolezza, fornendo una prospettazione in fatto
degli elementi indiziari posti a fondamento della misura, alternativa
alla prospettazione fatta dalla pubblica accusa ed accolti dal giudice,
la decisione di rigetto dell’impugnazione deve motivare
puntualmente sulle ragioni che hanno portato a disattendere la
prospettazione proveniente dalla difesa, dando ad ogni deduzione
una puntuale risposta: in questo caso, dunque, «l’obbligo di
motivazione non può ritenersi adempiuto qualora l’ordinanza di
riesame contenga una motivazione per relationem che si risolva nel
mero richiamo alle argomentazioni svolte nel provvedimento
impugnato» (Cass., Sez. 1, n. 43464 del 01/10/2004-dep.
05/11/2004, Perazzolo, rv. 231022).
Fermo quanto precede, non può contestarsi come nella fattispecie
l’ordinanza impugnata, nel dar pienamente conto degli elementi
fattuali che hanno condotto all’arresto dell’indagato e all’emersione
degli elementi indiziari posti alla base della contestazione, ad
integrazione di una motivazione già ampiamente esistente contenuta
nell’ordinanza impositiva (come implicitamente ma
inequivocabilmente dimostrato dalla proposizione del gravame anche
per motivi di merito avanti al Tribunale del riesame, condotta che
inevitabilmente presupponeva una cognizione sufficiente dell’oggetto
delle contestazioni), ha messo la parte nella condizione di poter
comprendere ancor meglio i profili dell’accusa e, conseguentemente,

9

di poter spiegare le proprie difese.
8. Il secondo aspetto afferisce all’ipotizzata lesione del diritto di difesa
in conseguenza della mancata allegazione della richiesta del pubblico
ministero all’ordinanza cautelare notificata al difensore. Nulla precisa
il ricorrente sui tempi in cui detta notifica sarebbe dovuta avvenire.
Al riguardo occorre premettere che nessuna norma attribuisce al
difensore di indagato in stato di arresto per ritenuta por flagranza di

cautelare avendo il medesimo il diritto a ricevere, a norma dell’art.
293, comma 3 cod. proc. pen., il solo avviso di deposito conseguente
alla notificazione o all’esecuzione della misura stessa: adempimento
in relazione al quale la difesa nulla ha dedotto.
Peraltro questa Corte, con argomentazioni pienamente condivise dal
Collegio, ha affermato che in tema di misure cautelari personali, nel
caso in cui la relativa ordinanza sia adottata all’esito dell’udienza di
convalida disciplinata dall’art. 391 cod. proc. pen., sicché
l’interrogatorio dell’indagato precede l’applicazione della misura, non
è configurabile alcun dovere di deposito precedente l’interrogatorio,
attesa la contestualità della enunciazione da parte del pubblico
ministero dei motivi dell’arresto o del fermo, delle sue richieste in
ordine alla libertà personale, dello svolgimento dell’interrogatorio ed
infine dell’audizione del difensore abilitato ad interloquire in merito
alla domanda cautelare: ne consegue che la notificazione dell’avviso
di deposito dell’ordinanza e degli atti di cui al terzo comma dell’art.
293 cod. proc. pen. rileva, nella specie, solo per la decorrenza del
termine per la proposizione della richiesta di riesame e non ai fini del
pieno dispiegarsi della difesa (Cass., Sez. 4, n. 13171 del
18/01/2007-dep. 30/03/2007, Albanese, rv. 236380).
Su queste premesse è logico concludere come alcuna notifica
dovesse essere fatta al difensore a ragione della peculiarità del rito e
della sua diretta partecipazione all’udienza.
9. Il rigetto del ricorso comporta, per il disposto dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali. A cura della cancelleria devono, altresì, disporsi gli
adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc.
pen.

i

reato di ricevere la notifica del provvedimento impositivo di misura

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Si provveda a norma dell’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc.
pen..

Così deliberato in Roma il 12.12.2013

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA