Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32941 del 19/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32941 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARBIERI VINCENZO N. IL 25/04/1978
avverso la sentenza n. 2422/2009 CORTE APPELLO di BARI, del
27/02/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA

Data Udienza: 19/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Carmine Stabile, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa in data 17 febbraio 2009, confermata dalla Corte d’appello

abbreviato condizionato all’espletamento di formale ricognizione di persona,
condannava alla pena di giustizia Barbieri Vincenzo, per il delitto di furto con
strappo di una borsa contenente denaro ed effetti personali, sottratta con
violenza a Morisco Teresa, dopo aver aperto lo sportello anteriore, lato
passeggero, dell’autoveicolo da lei condotto.
1.1 In particolare entrambi i giudici di merito ritenevano certa l’identificazione
dell’imputato, fondata sulla immediata individuazione fotografica ad opera della
persona offesa, in fase investigativa, e sulla successiva ricognizione personale.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato, con atto
sottoscritto dal difensore, avv. Nicola Quaranta, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettera E, in
relazione all’art. 213 cod. proc. pen., con riferimento all’efficacia probatoria della
ricognizione formale, da ritenersi nulla, per l’omissione degli atti preliminari
previsti dalla norma processuale; sul punto si contesta il richiamo alla
giurisprudenza affermatasi in tema di incidente probatorio, non applicabile al
caso di specie.
Quanto all’individuazione fotografica, si rinnova la censura di inattendibilità del
suo esito, poiché alla denunciante fu mostrata una foto scattata successivamente
al momento dei fatti. Inoltre si censura la mancata acquisizione del documento,
ai sensi dell’articolo 441, comma 5, cod. proc. pen., inutilmente sollecitata al
giudice di primo grado; inoltre si censura la motivazione del giudice di appello sui
dubbi espressi in sede di impugnazione, che non sono stati efficacemente fugati.
2.2 Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione della decisione di
appello, in ordine alla qualificazione giuridica del reato, il quale correttamente
doveva essere ricondotto al furto commesso con destrezza, essendo quello il
reato progettato dall’imputato; poiché la resistenza della vittima è insorta solo
successivamente, allorché la donna si accorse della sottrazione della borsa, ciò
non consentiva di configurare l’ipotesi di furto ex art. 624 bis cod. pen..

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di Bari il 27 febbraio 2013, il G.U.P. del Tribunale di Bari, all’esito di rito

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso va rigettato.
1.1 II primo motivo di ricorso è infondato, anche se i vizi denunciati sono da
escludere per ragioni diverse da quelle indicate nella sentenza impugnata.

disposizione) che l’inosservanza della procedura descritta dall’art. 213 cod. proc.
pen. determina la nullità della ricognizione: il giudice invita chi deve eseguire la
ricognizione a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda; gli
chiede poi se sia stato in precedenza chiamato a eseguire il riconoscimento; se,
prima e dopo il fatto per cui si procede, abbia visto, anche se riprodotta in
fotografia o altrimenti, la persona da riconoscere; se la stessa gli sia stata
indicata o descritta e se vi siano altre circostanze che possano influire
sull’attendibilità del riconoscimento. Anche per questo il secondo comma prevede
che il verbale dia atto degli adempimenti previsti dal comma 1 e delle
dichiarazioni rese.
1.2 La giurisprudenza richiamata dalla Corte d’appello di Bari non è quindi
applicabile alla fattispecie concreta, poiché riguarda il riconoscimento informale,
comunemente definito “individuazione di persona” (proprio per distinguerlo dalla
“ricognizione di persona”), al quale pacificamente non si applica la disciplina
dell’art. 213 cod. proc. pen., trattandosi di prova atipica, inquadrabile tra le
prove non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 cod. proc. pen..
1.3 Piuttosto va considerato che secondo la migliore dottrina la violazione
dell’art. 213, comma 1, cod. proc. pen. determina una nullità relativa della
ricognizione, per cui, essendo intervenuta davanti al giudice dell’udienza
preliminare, in presenza del difensore, essa andava eccepita “prima del suo
compimento, ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo”,

ai sensi

dell’art. 182, comma 2, cod. proc. pen., motivo per cui, in caso di mancata
tempestiva eccezione, l’atto rimane efficace.
Nel caso di specie il ricorrente ha dedotto il vizio per la prima volta solo con l’atto
di appello, sicchè la nullità della ricognizione è rimasta sanata e, di conseguenza,
la prima censura è infondata.
1.4 Quanto poi all’inattendibilità del riconoscimento, la censura è apodittica e,
comunque, attinente al “merito” dell’individuazione, in quanto relativa al suo

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È infatti innegabile (essendo testualmente previsto dal comma 3 della

risultato è l’affermazione che il riconoscimento sarebbe stato inficiato dalla
distanza temporale del fatto, Va considerato che la vittima ha reiteratamente
riconosciuto l’imputato come l’autore del reato (in sede investigativa,
nell’immediatezza dei fatti, sulla base della visione delle foto segnaletiche,
peraltro descrivendone anche le caratteristiche fisiche; in udienza preliminare,
attraverso la ricognizione formale) e che la doglianza di falsità dell’immagine

in cui fu mostrata alla persona offesa) non ha alcun riscontro negli atti
processuali, così come accettati dall’imputato con la richiesta di giudizio
abbreviato ,subordinato solo alla ricognizione di persona.
1.4 Quanto alla doglianza di mancata riapertura dell’istruttoria, proprio al fine di
acquisire tale foto, va ricordato che la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale,
ex art. 603, comma 2, cod. proc. pen., è doverosa in caso di nuove prove
sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado, salvo il limite costituito
da richieste di prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti;
diversamente, nell’ipotesi contemplata dall’art. 603, comma 1, cod. proc. pen.,
la rinnovazione è subordinata alla condizione che il giudice ritenga, nell’ambito
della propria discrezionalità, “di non poter decidere allo stato degli atti” ed una
tale impossibilità può sussistere solo quando i dati probatori già acquisiti siano
incerti, nonché quando l’incombente richiesto rivesta carattere di decisività, nel
senso che lo stesso possa eliminare le eventuali suddette incertezze ovvero sia di
per sè oggettivamente idoneo ad inficiare ogni altra risultanza (Sez. 2, n. 31065
del 10/05/2012, Lo Bianco, Rv. 253526; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, Di
Gloria, Rv. 233391). La rinnovazione dell’istruzione nel giudizio di appello ha
natura di istituto eccezionale rispetto all’abbandono del principio di oralità nel
secondo grado, ove vige la presunzione che l’indagine probatoria abbia raggiunto
la sua completezza nel dibattimento già svoltosi.
Va anche richiamata la costante giurisprudenza di questa Corte in tema di
giudizio abbreviato: poichè l’imputato, presentando richiesta di rito abbreviato,
ha accettato che il procedimento si svolga sulla base degli elementi istruttori
acquisiti al fascicolo del Pubblico Ministero, egli non può poi dolersi della mancata
assunzione di nuova prova, nemmeno se sopravvenuta e decisiva (tra le ultime,
Cass., Sez. 2, n. 25659 del 18/06/2009, Rv. 244163); infatti, se è sempre
possibile, da parte dell’imputato che abbia richiesto il rito abbreviato, sollecitare
il giudice di appello all’esercizio del potere di ufficio di cui all’art. 603 cod. proc.

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mostrata alla Morisco (la foto sarebbe stata scattata in epoca successiva a quella

pen., comma 3, la non incompatibilità del rito speciale con le assunzioni
probatorie comporta che all’assunzione d’ufficio di nuove prove o alla
riassunzione delle prove già acquisite agli atti si proceda solo quando e nei limiti
in cui il giudice di appello lo ritenga assolutamente necessario ai fini della
decisione (Cass., Sez. 6, 24 novembre 1993 n. 1944, ric. De Carolis). In
definitiva deve ritenersi escluso che la parte conservi un diritto proprio a prove,

con la conseguenza che deve escludersi che il mancato esercizio da parte del
giudice d’appello dei poteri d’ufficio sollecitati possa tradursi in un vizio
deducibile mediante ricorso per cassazione (Sez. 6, n. 7485 del 16/10/2008,
Monetti, Rv. 242905) e che deve ulteriormente negarsi un obbligo per il giudice
di motivare il diniego di tale richiesta (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone,
Rv. 249161).
2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
La qualificazione giuridica dei fatti è assolutamente corretta, poiché la decisione
rileva che se è vero che in un primo tempo l’imputato intendeva commettere un
furto con destrezza, introducendosi nell’auto senza farsi notare dalla conducente,
nel momento in cui la donna si è accorta della sua presenza ed ha opposto
resistenza, tentando di trattenere la borsa, l’imputato, anziché desistere dal
proposito criminoso, ha strappato la cosa di mano alla vittima, imprimendo
violenza sulla borsa; in tal modo si è consumato un furto con strappo, punito
dall’art. 624 bis cod. pen..
La motivazione adottata sul punto dalla Corte territoriale, pertanto, non è né
illogica, né contraddittoria.
3. Per tutte le considerazioni svolte, il ricorso dell’imputato va rigettato, con
conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2014
Il consigliere estensore

alla cui acquisizione ha rinunciato per effetto della scelta del giudizio abbreviato,

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