Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32939 del 19/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32939 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PENNA ANTONINO N. IL 11/05/1945
avverso la sentenza n. 996/2010 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
Stzt.. 1,Lt
che ha concluso per
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L

Udito, p a parte civile, l’Avv

Data Udienza: 19/05/2014

Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 05/04/2013 la Corte d’appello di Milano ha confermato la
decisione di primo grado che aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia
Antonino Penna, avendolo ritenuto responsabile del reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, per avere, quale amministratore della s.r.l. Coge Italia,
dichiarata fallita in data 08/02/2004, distratto i beni aziendali presenti nel libro
cespiti e non rinvenuti in sede concorsuale.
La Corte territoriale ha disatteso la doglianza difensiva, secondo la quale tali beni

connotata da superficialità, valorizzando il fatto che i cespiti in questione
(macchinari e attrezzatura varia) non erano beni di consumo e che comunque
spettava all’imputato l’onere di provarne la destinazione.
La sentenza impugnata ha poi disatteso la richiesta di concessione delle
circostanze attenuanti generiche, alla luce dei numerosi precedenti penali
dell’imputato, dal 1967 al 2006, anche per i reati di truffa, appropriazione
indebita e falso, idonei a rivelare una duratura inclinazione a delinquere, nonché
dell’assenza di particolari elementi di meritevolezza.
2. Nell’interesse del Penna è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, per
un verso, criticando la considerazione della Corte territoriale, secondo la quale
spettava all’imputato l’onere di dimostrare la destinazione dei beni non rinvenuti,
laddove, al contrario, l’affermazione di responsabilità avrebbe piuttosto richiesto
la prova dell’asportazione dei beni in danno dei creditori; e, per altro verso,
sottolineando la mancata considerazione della deduzione difensiva, secondo la
quale la gestione dell’impresa era stata dilettantesca e pressappochista, ma non
sorretta né dal dolo specifico di trarre un vantaggio a detrimento dei creditori, né
dal dolo generico, ossia dalla previsione e volontà dell’evento rappresentato dalla
dichiarazione di fallimento.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta vizi motivazionali, per avere la
Corte territoriale motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche,
valorizzando i soli precedenti a carico dell’imputato, senza fare riferimento agli
altri elementi di cui il giudice avrebbe dovuto tenere conto ai sensi degli artt. 133
e 62 bis cod. pen.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso.
Posto che il ricorrente non pone in discussione l’attendibilità delle annotazioni
contabili – che, anzi, presuppone, nel momento in cui assume che i beni non
rinvenuti si erano verosimilmente consumati durante la gestione aziendale -,
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sarebbero stati verosimilmente consumati durante la gestione aziendale,

appare evidente l’inconferenza del richiamo a Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006,
Abbate, Rv. 235767, laddove, al contrario, una volta che si muova dalla
incontestata premessa della previa esistenza dei beni, è certamente esatto che,
secondo il consolidato orientamento di questa Corte, a fronte del dato oggettivo
del mancato rinvenimento, all’atto dell’inventario, di beni e valori societari che
dovrebbero figurare nella disponibilità della società fallita, spetta all’imputato
rendere spiegazione in ordine alla loro destinazione, ai fini del necessario
accertamento della relativa utilizzazione per fini della società o per ragioni ad

inversione dell’ordinario onus probandi (cfr., tra le altre, Sez. 5, n. 3400 del
15/12/2004 – dep. 02/02/2005, Sabino, Rv. 231411; Sez. 5, n. 22894 del
17/04/2013, Zanettin, Rv. 255385).
Quanto poi alle censure che investono la sussistenza dell’elemento soggettivo, va
ribadito che, nonostante l’isolata decisione di Sez. 5, n. 47502 del 24/09/2012,
Corvetta, Rv. 253493, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che
il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo
generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia
consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo
scopo di recare pregiudizio ai creditori (Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012 – dep.
22/01/2013, Rossetto, Rv. 253932). Occorre piuttosto che la condotta
distrattiva, idonea a determinare uno squilibrio tra attività e passività – ossia un
pericolo per le ragioni creditorie – risulti assistita dalla consapevolezza di dare al
patrimonio sociale, o ad alcune attività, una destinazione diversa rispetto alla
finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori:
occorre, in altre parole, che l’agente, pur non perseguendo direttamente tale
danno, sia quantomeno in condizione di prefigurarsi una situazione di pericolo
(Sez. 5, n. 40726 del 06/11/2006, Abbate, Rv. 235767).
E ciò è proprio quanto, nel caso di specie, con motivazione che non palesa alcuna
manifesta illogicità la Corte territoriale ha ritenuto.
2. Inammissibile è il secondo motivo di ricorso.
Al riguardo, va ribadito che secondo l’orientamento di questa Corte, condiviso dal
Collegio, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della
relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento,
in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in
considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto
del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di
detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da
dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di
giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è
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essi estranee, senza che un siffatto regime dimostrativo possa integrare indebita

la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi
l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli
elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio (Sez. 2, n. 38383 del 10/07/2009, Squillace e altro, Rv. 245241;
Sez. 1, n. 3529 del 22/09/1993, Stelitano, Rv. 195339).
Nella specie, a fronte dell’ampio apparato argomentativo utilizzato dalla Corte
territoriale, il ricorrente in modo del tutto generico invoca la mancata valutazione
di non specificati elementi presi in considerazione dagli artt. 132 e 133 cod. pen.

ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 19/05/2014

Il Componente estensore

3. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del

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