Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32938 del 19/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32938 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DI SANTO CARMINE ANTONIO N. IL 29/04/1957
avverso la sentenza n. 8594/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 12/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
del

Udito, per la i arte civile, l’Avv

Data Udienza: 19/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Carmine Stabile, ha
concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

di Bologna il 12 marzo 2013, il G.U.P. del Tribunale di Rimini, all’esito di rito
abbreviato, condannava alla pena di giustizia Di Santo Carmine Antonio, per il
delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, aggravata dalla
pluralità dei fatti e dal danno patrimoniale di ingente entità. L’imputato era
accusato, quale amministratore di fatto della Titan Wash s.r.I., dichiarata fallita
dal Tribunale di Rimini con sentenza del 17 dicembre 2007, di aver distratto beni
strumentali (biancheria, tovaglioli, coprimacchia e tovaglie) per un valore di C
434.855,00 oltre alla somma di C 6.405,00, ricevuta da Rinaldini Marcello
tramite assegni bancari, in restituzione di un precedente prestito, negoziandoli
con Di Santo Mirko. Erano comunque riconosciute all’imputato le attenuanti
generiche, giudicate equivalenti alle aggravanti contestate ed alla recidiva
specifica, infraquinquennale e reiterata.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione il Di Santo, con atto del
proprio difensore, avv. Carlo Alberto Zaina, affidato a tre motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettere B ed E, cod.
proc. pen., in relazione al riconoscimento dell’aggravante del danno di rilevante
entità, poiché la Corte territoriale non ha tenuto conto del progressivo degrado
dei beni strumentali distratti, che non potevano essere considerati nel loro valore
assoluto, in quanto già usati e locati a terzi. In ogni caso, anche in termini
assoluti, il valore di circa C 400.000 non integra, a giudizio del ricorrente, il
rilevante danno patrimoniale, che può essere solo quello che esula dai normali
limiti economici.
2.2 Con il secondo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettere B ed E,
cod. proc. pen., in relazione all’omessa indicazione dei parametri in base ai quali
è stato negato il giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, fondato su
una condotta post factum caratterizzata da una “preordinata elusione di ogni
regola di correttezza commerciale”;

il ricorrente censura tale valutazione,

ritenendola meramente apparente e priva del necessario carattere di specificità,

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1. Con la sentenza resa in data 8 marzo 2011, confermata dalla Corte d’appello

poiché l’elemento valorizzato rappresenta un dato essenziale della fattispecie,
considerato impropriamente una seconda volta quale indice di una spiccata
pericolosità. I giudici di appello non hanno tenuto nella dovuta considerazione la
sfortuna dell’imprenditore nella gestione dell’impresa, che avrebbe invece
giustificato un giudizio di prevalenza delle attenuanti.

proc. pen., in relazione all’omessa esclusione della recidiva, siccome facoltativa,
sulla base di elementi riguardanti esclusivamente il fatto è trascurando, così, il
giudizio sulla personalità dell’autore, che avrebbe permesso di formulare un
giudizio completo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso va rigettato.
1.1 D primo motivo è infondato. La giurisprudenza assolutamente prevalente
osserva che l’entità obiettiva del danno provocato dai fatti configuranti
bancarotta patrimoniale va commisurata al valore complessivo dei beni che sono
stati sottratti all’esecuzione concorsuale, piuttosto che al pregiudizio3offerto da
ciascun partecipante al piano di riparto dell’attivo, ed indipendentemente dalla
relazione all’importo globale del passivo (Sez. 5, n. 49642 del 02/10/, Olivieri,
Rv. 245822).
La Corte distrettuale ha mostrato di volersi attenere a siffatto criterio,
sottolineando che nessun bene era stato rinvenuto nell’inventario e che i beni
mobili avrebbero costituito l’unico provento attivo di rilievo della massa; il
danno è stato determinato in oltre €400.000, pari al valore dei beni, con
riferimento al valore indicato nel registro dei beni ammortizzabili; proprio questa
ultima circostanza dimostra l’infondatezza della ulteriore doglianza, poichè, come
è noto, il registro dei beni ammortizzabili indica rispetto ai singoli beni (o a
categorie di beni mobili) il costo originario, eventuali casi di rivalutazione e/o
svalutazione, il coefficiente di ammortamento effettivamente praticato nel
periodo d’imposta e la quota annuale di ammortamento.
2. Il secondo motivo è inammissibile, poichè il giudizio di bilanciamento delle
attenuanti generiche con le aggravanti è una statuizione che l’ordinamento
rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il

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2.3 Con il terzo motivo si deduce violazione dell’articolo 606, lettere B ed E, cod.

sindacato di legittimità, quando la decisione sia motivata in modo conforme alla
legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’appello non ha
mancato di motivare la propria decisione (in maniera peraltro diversa da quanto
affermato in ricorso), osservando che la stabile e lecita attività lavorativa

post

factum, posta a fondamento del riconoscimento delle attenuanti generiche, è a

dell’aggravante ad effetto speciale e le tre precedenti condanne per bancarotta
fraudolenta sono di particolare incidenza, impedendo un giudizio di sub valenza.
2.1 Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo
adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è
necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda
singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen.,
essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che assumono
eminente rilievo nel discrezionale giudizio complessivo (Sez. 2, n. 3609 del
18/01/2011, Sermone, Rv. 249163).
3. Analogo ragionamento va operato con riferimento alla recidiva. E’ vero che il
giudice può attribuire effetti alla recidiva unicamente quando la ritenga
effettivamente idonea ad influire sul trattamento sanzionatorio del fatto per cui si
procede ed è quindi, tenuto a verificare se il nuovo episodio criminoso sia
“concretamente significativo – in rapporto alla natura e al tempo di commissione
dei precedenti ed avuto riguardo ai parametri indicati dall’art. 133 cod. pen. sotto il profilo della più accentuata colpevolezza e della maggiore pericolosità del
reo” (Corte cost., sent. n. 192 del 2007); nel caso di specie, però, le modalità di
commissione del reato (la falsa assunzione, quale dipendente; la raccolta di
pagamenti in nero, preordinata all’accumulo di debito erariale; l’uso della veste
sociale a scopo predatorio), rapportate alle precedenti condanne per bancarotta,
rendono evidente l’accentuata pericolosità personale di cui il reato commesso è
espressione, in ossequio all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte,
che richiedono appunto uno specifico dovere di motivazione del giudice, sia ove
egli ritenga sia ove egli escluda la rilevanza della recidiva, al di là del mero e
indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali (Sez. U, n.
5859 del 27/10/2011 – dep. 15/02/2012, Marcianò, Rv. 251690; Sez. U, n.
35738 del 27/05/2010, Celibe, Rv. 247838).
4. In conclusione il ricorso dell’imputato va rigettato, con conseguente condanna

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ben considerare requisito minimo esigibile da chiunque, mentre l’incidenza

dello stesso al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il consigliere estensore

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2014

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