Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32937 del 19/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32937 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STANCIU COSTEL CATALIN N. IL 15/03/1985
avverso la sentenza n. 5727/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 12/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA
enera e

Udito, per 1a(parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 19/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dr. Carmine Stabile, ha
concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

Bologna il 12 aprile 2013, il Tribunale di Forlì condannava Stanciu Costei Catalin
alla pena di giustizia, all’esito di rito abbreviato, per il delitto di furto, in danno
del supermercato Conad, di beni per un valore complessivo di €886,99; entrambi
i giudici di merito ritenevano sussistere le due aggravanti contestate, dell’aver
agito su cose esposte alla pubblica fede e dell’uso di un mezzo fraudolento, con
riferimento all’espediente di occultare i beni all’interno di una borsa rivestita di
carta stagnola, per eludere la rilevazione delle barre antitaccheggio all’uscita del
negozio.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l’imputato, con atto del
proprio difensore, avv. Antonio Piccolo, con il quale si deduce violazione
dell’articolo 606, lettere B ed E, cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125,
comma 2 e 192, comma 2 cod. proc. pen..
2.1 D ricorrente lamenta mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di
assoluzione, trattandosi di furto commesso per necessità, come si desumeva dai
beni oggetto della sottrazione e dall’utilizzo di una tecnica rudimentale (l’utilizzo
di una borsa schermata), diffusa tra chi commette questo tipo di reato.
2.2 Viene inoltre censurato il diniego della sospensione condizionale della pena,
in considerazione di due precedenti di polizia, ed il mancato riconoscimento
dell’attenuante di cui all’art. 625 bis cod. pen., avendo l’imputato indicato il
nominativo del complice.
2.3 Infine è censurata l’eccessività della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile, essendo tutte le censure formulate manifestamente
infondate.
2.

In particolare lo stato di necessità era chiaramente da escludere in

considerazione dell’oggetto della sottrazione, non certamente di tipo

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1. Con la sentenza resa in data 2 aprile 2012, confermata dalla Corte d’appello di

”alimentare” (61 confezioni di lamette e 2 confezioni di assorbenti, per un valore
complessivo di €886,99); oltretutto il ricorrente non indica alcuna ragione per la
quale i giudici di merito avrebbero dovuto riconoscere la scriminante prevista
dall’art. 54 cod. pen., se non la tecnica adoperata (l’utilizzo di una tecnica
rudimentale), l’oggetto (generi alimentari) e l’esiguo valore, elementi tutti

riconoscimento della scriminante egli aveva un preciso onere di allegazione degli
elementi necessari ad integrarla (il pericolo attuale di un danno grave alla
persona, l’assoluta necessità della condotta e l’inevitabilità del pericolo).
2.1 Nell’ordinamento processuale penale, infatti, non è previsto un onere
probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del processo civile,
ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù del quale
l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi necessari
all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove riscontrati, a
volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le cause di
giustificazione (Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng, Rv. 255916).
2.2 Anche ai fini della sussistenza dell’ipotesi attenuata del furto commesso in
stato di bisogno, disciplinato dall’art. 626, comma 1, n. 2 cod. pen., è
necessario, in primo luogo, che la cosa sottratta sia di tenue valore in senso
oggettivo, evenienza che nel caso di specie sicuramente deve escludersi,
considerato il valore rilevante delle cose sottratte (pari ad €886,99) ed in
secondo luogo che la sottrazione sia diretta al soddisfacimento di un bisogno
primario, non solo sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, ma anche
da un punto di vista oggettivo, essendo necessario che la cosa sottratta sia
effettivamente destinata a soddisfare tale bisogno.
Sulla base di tale impostazione, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto di
dovere escludere la possibilità di fare degradare l’imputazione da furto comune a
furto lieve in presenza di un generico stato di bisogno o di miseria del colpevole,
ritenendosi invece necessaria una situazione di grave ed indilazionabile bisogno,
alla quale non possa provvedersi se non sottraendo la cosa (Sez. 2, n. 42375 del
05/10/2012, Michelucci, Rv. 254348).
3. Con riferimento al diniego dell’attenuante di cui all’art. 625 bis cod. pen., per
aver l’imputato consentito prima del giudizio l’individuazione dei correi attraverso
l’indicazione del nominativo di un complice, la motivazione della decisione è

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insussistenti nel caso concreto e comunque insufficienti, poiché ai fini del

congrua e per niente illogica, laddove afferma che la mera indicazione di un
nominativo non è condotta sufficiente a consentire di individuare i correi, nel
senso richiesto dalla norma del codice penale; in proposito è opportuno ricordare
che il giudice, nell’apprezzare il contributo dell’imputato, può riconoscere la
sussistenza dell’attenuante solo allorchè ne riconosca motivatamente l’efficienza

discrezionale di valutazione, censurabile in sede di legittimità nei limiti consentiti
dall’art. 606, lettera E, cod. proc. pen..
Nel caso di specie deve escludersi la configurabilità di alcuna violazione di legge
o di un vizio di motivazione, atteso che la Corte di appello di Bologna ha
congruamente illustrato le ragioni delle sue determinazioni, sottolineando
l’insufficienza delle indicazioni fornite dallo Stanciu.
4. Anche il diniego della sospensione condizionale della pena appare logicamente
motivato, con il richiamo a due recentissimi precedenti di polizia, sintomatici di
una personalità incline a commettere reati contro il patrimonio negli esercizi
commerciali (tre in venti giorni); come è noto, ai sensi dell’art. 164, comma 1,
cod. pen., la sospensione condizionale della pena è ammessa solo se, avuto
riguardo alle circostanze indicate nell’art. 133 cod. pen., il giudice presume che il
colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati; il giudice non è obbligato a
prendere in esame tutti gli elementi indicati nel citato art. 133, ma può limitarsi
a far menzione di quelli ritenuti prevalenti, sia per negare che per concedere il
beneficio (Sez. 4, n. 22045 del 10/05/2012, Ciobanu, Rv. 252972) e tra questi
può fondarsi sui precedenti di polizia (Sez. 2, n. 18189 del 05/05/2010, Vaglietti,
Rv. 247469), espressamente presi in considerazione dal n. 2 del comma 2
dell’art. 133 tra gli indici dai quali il giudice deve desumere la capacità a
delinquere del colpevole.
5. Quanto alla pena, censurata perché eccessiva, correttamente il giudice di
appello osserva che si tratta di sanzione prossima al minimo edittale, per cui, in
ossequio al costante orientamento di questa Corte, quando questa venga
compresa nel minimo o in prossimità del minimo, la motivazione non deve
necessariamente svilupparsi in un esame dei singoli criteri elencati nell’art. 133
cod. pen., essendo sufficiente il riferimento alla necessità di adeguamento al
caso concreto (Sez. 2, n. 43596 del 07/10/2003, Iunco, Rv. 227685), oppure
l’uso di espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”,

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e la concretezza. In una tale prospettiva, egli gode di un ampio potere

ovvero si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Sez. 3, n.
33773 del 29/05/2007, Ruggieri, Rv. 237402). In ogni caso la sentenza fornisce
una specifica motivazione sul punto, richiamando le modalità del fatto,
espressione di una certa professionalità, oltre ai due recenti precedenti di polizia.
6. In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile, con le conseguenze di cui

escludere ogni profilo di colpa, l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria,
il cui importo stimasi equo fissare in €1.000,00.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2014
Il consigliere estensore

all’art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad

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