Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32936 del 19/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32936 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CATALANO LUCIANO N. IL 03/12/1933
ROGNINI MARCO N. IL 15/09/1960
avverso la sentenza n. 3934/2003 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 13/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 19/05/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA

Udito, p la parte civile, l’Avv
Udit difensor Avv.

Data Udienza: 19/05/2014

Il Procuratore generale della Corte di cassazione, dott.ssa Carmine Stabile, ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’appello di Bologna confermava quella del
Tribunale di Rimini del 10 aprile 2002, con la quale Catalano Luciano e Rognini

patrimoniale e documentale, aggravata dalla pluralità dei fatti, il primo quale
titolare di ditta individuale ed il secondo in qualità di socio di fatto dell’impresa
“Abbigliamento e calzature porto catena di Catalano Luciano”, dichiarata fallita dal
Tribunale di Rimini in data 3 febbraio 1998.
2. L’odierno ricorso, sottoscritto dal difensore dell’imputato, avv. Lorenzo Lillo, è
affidato ad un unico motivo, con il quale si deduce violazione dell’articolo 606
lettera E, cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità
della motivazione, in relazione alla posizione di Molesini Gianguido, amministratore
della N.B.S. s.r.I., succeduto al Catalano il 27 marzo 1997, appena due mesi dopo
l’affitto di ramo di azienda dei due negozi in Mantova in favore di detta società. A
giudizio del ricorrente, nel momento in cui si afferma che il Molesini potrebbe
essere un terzo concorrente nel reato, viene meno la logicità dell’affermazione di
responsabilità, poiché nulla impedisce di pensare che fu quest’ultimo a sottrarre la
merce ed i libri contabili, una volta venutone in possesso.
2.1 Con riferimento, poi, alla posizione del Rognini si censura la logicità della
motivazione, che lo indica come socio di fatto del Catalano, laddove valorizza la
circostanza che questi, essendo del luogo ed avendo svolto attività commerciale, sia
pure in diverso settore, aveva maggiori possibilità di ottenere fiducia.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
2. I ricorrenti giudicano contraddittoria

manifestamente illogica la motivazione

della decisione, nella parte in cui sottovaluta il ruolo del Molesini, divenuto
amministratore unico nel marzo 1997, ma sempre presente nei negozi anche in
epoca precedente, allorchè fu distratta la merce.
La doglianza è manifestamente infondata, poiché la sentenza impugnata fornisce
una risposta logica e congrua, laddove evidenzia che la ditta individuale del
Catalano è stata gestita proprio al fine di trarre lucro illecito mediante l’attività
2

Marco erano condannati alla pena di giustizia per il delitto di bancarotta fraudolenta

distrattiva e che a tale scopo sono state occultate (o non sono state mai tenute) le
scritture contabili: a breve distanza dall’apertura dei due negozi in Mantova fu
acquistata merce per 106 milioni di lire (pagata con due titoli entrambi protestati e
riconducibili ai due imputati) e per evitare il pignoramento della merce, le due
attività furono trasferite alla N.B.S. s.r.I., della quale era amministratore prima il
Catalano e poi, dal 27 marzo 1997, Molesini Gianguido. Se anche quest’ultimo
partecipò all’operazione finale, non può dubitarsi della responsabilità degli imputati,

con lo scopo di eludere il pignoramento.
2.1 Una simile motivazione non è incongrua, né illogica e la doglianza degli
imputati, dietro l’apparente vizio di motivazione, finisce con il sollecitare una
rivalutazione del giudizio motivatamente espresso dalla Corte territoriale, preclusa
al giudice di legittimità.
2.2 Analoghe considerazioni valgono in relazione alla doglianza riguardante
l’affermazione di responsabilità del Rognini, il quale risponde, secondo quanto
chiaramente espresso dalla motivazione della decisione impugnata, in quanto

“è

dimostrato che egli si occupava della gestione concreta dei due negozi”,
mantenendo peraltro l’intestazione dei contratti di locazione e delle utenze.
Anche rispetto a tale punto, dietro la censura di illogicità motivazionale, in realtà il
ricorrente sollecita una rivalutazione dei fatti.
3. In conclusione il ricorso degli imputati va dichiarato inammissibile. Alla
declaratoria di inammissibilità segue per legge, la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale
sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle
ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in € 1.000 per
ciascuno.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di €1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 19 maggio 2014
Il consigliere estensore

che va ricondotta alla gestione dei negozi, che è precedente alla cessione, attuata

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