Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3293 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3293 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
BARONE Annibalo, nato ad Hagen (Germania) il 5.5.1979;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in data 18.7.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per l’indagato, l’Avv. Luigi Vulcano, quale sostituto processuale
dell’avv. Giovanni Allevato, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso;
RITENUTO IN FATTO

Con ordinanza del 27.6.2013, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di Barone
Annibalo, indagato per tre distinti episodi di cessione illecita di cocaina
(uno dei quali relativo ad una partita di gr. 100 del valore di C 5.000,00)
commessi nel luglio 2001.
Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed
il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 18.7.2013, annullò il

Data Udienza: 12/12/2013

provvedimento impugnato per l’episodio più grave (cessione di gr. 100 di
cocaina), ma lo confermò relativamente agli altri due episodi contestati.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione del
provvedimento impugnato in ordine alla sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato, per avere il Tribunale dato rilevo
acritico al contenuto delle conversazioni intercettate, unica fonte di

mancanza di riscontri, che il Barone fosse spacciatore di sostanze
stupefacenti, piuttosto che mero acquirente delle stesse per uso
personale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Col ricorso si lamenta la mancanza e illogicità della motivazione in
ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico
dell’indagato, ma appare evidente come il ricorrente sottoponga alla
Corte – sotto mentite spoglie – censure di merito, inammissibili in sede di
legittimità.
Va ricordato, infatti, che la valutazione delle prove è riservata, in via
esclusiva, all’apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in
cassazione; a meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità
della motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.
E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa
Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocu/i”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e

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prova, il cui linguaggio criptico non consentirebbe di ritenere, in

considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione (richiamando il contenuto di

ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le
suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare
che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore
dell’ordinanza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che
giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del
ricorrente sul punto.
Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono
compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito
nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto
tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti alternativa (quella secondo cui il Barone sarebbe
mero acquirente delle sostanza stupefacente per uso esclusivamente
personale) rispetto a quella dei giudici di merito.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della
Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la
ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di
procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),
dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare che se
costoro hanno dato conto delle ragioni della loro decisione e se il
ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del
provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole
e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato
riscontrare.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

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diverse conversazioni intercettate, da essi ritenute inequivoche); non si

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.

del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del
citato articolo 94.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’articolo 94 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, il 12.12.2013.

Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà

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