Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32917 del 19/06/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 32917 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: MARINI LUIGI

SENTENZA
Sui ricorsi proposti da

GATTO Nicola, nato a Laureana di Borrello il 5/3/1959
GARIBOTTI Santino, nato a Castrezzato il 4/12/1957
VEZZOLI Carlo, nato a Rovato il 12/9/1957
SALVONI Moris, nato a Orzinuovi il 23/10/1972
SCARSETTI Dario, nato a Orzinuovi il 13/5/1960
PROTO Salvatore, nato a Minori il 20/11/1958
ZODA Ignazio, nato in Germania il 27/1/1971
avverso la sentenza emessa ai sensi dell’art.444 cod. proc. pen. in data
16/9/2013 dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia che ha
applicato agli imputati le pene concordate tra le rispettive parti in relazione ai
reati ex art.416 e 110, 81, 319, 321 e 326 cod. pen. nonché ex artt.10-quater,
2, 8 e 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, commessi negli anni 2008-2011;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Luigi Marini;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale, Alfredo Pompeo Viola, che ha concluso chiedendo dichiararsi

Data Udienza: 19/06/2014

inammissibili i ricorsi proposti per tutti gli imputati, ad eccezione del ricorso Zoda
limitatamente alla pronuncia in ordine alle pene accessorie, che deve essere
annullata con rideterminazione nella misura un anno e quatto mesi per la pena
dell’interdizione dai pubblici uffici e con eliminazione delle restanti sanzioni.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa ai sensi dell’art.444 cod. proc. pen. in data
16/9/2013 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Brescia ha

reati ex art.416 e 110, 81, 319, 321 e 326 cod. pen. nonché ex artt.10-quater,
2, 8 e 10 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74, commessi negli anni 2008-2011.
Avverso tale decisione gli imputati hanno proposto separati ricorsi, il sig. Gatto
personalmente e i restanti mediante i rispettivi difensori, in sintesi lamentando:
i sigg. Salvoni, Scarsetti e Proto, ciascuno con l’assistenza dell’avv.
Gianbattista Scalvi:
a. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. per avere il
giudicante omesso di dare conto delle ragioni che hanno condotto a non
applicare l’art.129 cod. proc. pen. pur in assenza di prove idonee a
ritenere il coinvolgimento degli imputati nell’attività illecita;
il sig. Gatto personalmente:
a. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. con
riferimento alla qualificazione del fatto ai sensi dell’art.320-bis cod. pen. e
alla omessa concessione delle circostanze attenuanti ex artt.62, n.4 e
322-bis cod. pen.;
b. vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con
riferimento alla mancata concessione delle circostanze attenuanti
generiche;
i sigg. Garibotti e Vezzoli, ciascuno con l’assistenza dell’avv. Giovanni
Orlandi:
a. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. in relazione
agli artt.444, comma 2, e 129 cod. proc. pen. . per avere il giudicante
omesso di dare conto delle ragioni che hanno condotto a non applicare
l’art.129 cod. proc. pen. pur in assenza di prove idonee a ritenere il
coinvolgimento degli imputati nella commissione dei reati diversi da
quello contestato al capo A;

2

applicato agli imputati le pene concordate tra le rispettive parti in relazione ai

b. vizio di motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con
riferimento alla contraddittorietà intrinseca della decisione in ordine al
ruolo effettivamente ricoperto dai singoli ricorrenti;
c. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. con
riferimento alla irrogazione delle pene accessorie, posto che per ciascuno
dei reati concorrenti a determinare la pena finale è stata applicata una
pena inferiore al limite di due anni di reclusione che consente
l’applicazione delle pene accessorie;

a. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. con
riferimento alla mancata applicazione dell’art.129 cod. proc. pen. in
assenza di prove in ordine alle ipotesi di corruzione e all’inserimento
“stabile e sistematico” dell’imputato all’interno della struttura criminosa;
b. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. e vizio di
motivazione ai sensi dell’art.606, lett.e) cod. proc. pen. con riferimento
alla durata della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici: i
fatti contestati risalgono all’anno 2011 ed epoca anteriore, così che non
può applicarsi la disposizione contenuta nell’arti, comma 75, della legge
6 novembre 2012, n.190, ma devono applicarsi gli artt.31 e 37 cod. pen.,
con la conseguenza che difetta ogni motivazione in ordine alla durata
della misura;
c. errata applicazione di legge ex art.606, lett.b) cod. proc. pen. per essere
state applicate al ricorrente le pene accessorie previste dall’art.12 del
d.lgs. 10 marzo 2000, n.74 senza che al ricorrente stesso sia stata mossa
contestazione, neppure a titolo di concorso, in ordine alle ipotesi di reato
previste dal d.lgs. 10 marzo 2000, n.74.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

La Corte ritiene che tutti i motivi concernenti la mancata applicazione

dell’art.129 cod. proc. pen., la qualificazione giuridica dei fatti e il trattamento
sanzionatorio debbano essere dichiarati inammissibili.
2. In primo luogo deve rilevarsi che la motivazione della sentenza di
applicazione della pena non può certo essere qualificata come meramente
formale e carente, avendo invece esaminato partitamente le singole imputazioni
e reso una sintetica ma chiara illustrazione delle ragioni che militano per
l’accoglimento della richiesta formulata congiuntamente dagli imputati e dal
Pubblico ministero.

3

il sig. Zoda con l’assistenza dell’avv. Renzo Nardin:

3. In secondo luogo la Corte richiama i limiti che la giurisprudenza ha fissato
circa l’interpretazione degli artt.129 e 444 cod. proc. pen. e circa l’obbligo di
motivazione del giudice; si tratta di limiti puntuali e costanti a far data dalla
decisione delle Sez.Un. Penali n.10732 del 27 settembre 1995, Serafino (rv
202270), secondo cui la motivazione può limitarsi a dare conto degli estremi del
materiale probatorio dal cui esame il giudice ha tratto la convinzione che non
emergono gli estremi di non procedibilità ex art.129 cod. proc. pen. così che in
presenza dell’accordo delle parti non sono necessari ulteriori approfondimenti
(Sez.Unite Penali, sentenza n.3 del 1999, udienza 25 Novembre 1998, Messina,

rv 212437).
4. A tali consolidati principi consegue che le parti che hanno sottoscritto e
proposto l’accordo sull’applicazione della pena accolto dal giudice non sono
legittimate a mettere in discussione con successiva impugnazione i presupposti
dell’accordo medesimo (principio costantemente affermato fin dalla sentenza
della Sez.1, n.1549 del 1995, Sinfisi, rv 201160), con la conseguenza che il
controllo di legittimità in ordine alla sentenza di applicazione della pena può
avere ad oggetto la motivazione soltanto nel caso che dal provvedimento emerga
l’evidenza dell’esistenza di una delle condizioni indicate dall’art.129 c.p.p. (per
tutte, sentenza della Sez.3, Sezione n.2309 del 1999, Bonacchi, rv 215071) e
che il ricorrente adempia all’onere di fornire puntuale indicazione dell’errore
compiuto dal giudicante.
5. Venendo all’esame del motivo proposto dai sigg. Garibotti e Vezzoli in
ordine alle pene accessorie, si è in presenza di censura manifestamente
infondata alla luce dell’entità della pena inflitta, posto che in caso di reato
continuato occorre avere riferimento alla pena complessivamente irrogata
(Sez.5, n.35148 del 7/7/2010) e che questa è ampiamente superiore al limite
fissato dall’art.12 del d.lgs. 10 marzo 2000, n.74.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono i ricorsi dei citati ricorrenti
devono essere dichiarati inammissibili , con conseguente onere per ciascuno di
essi, ai sensi dell’art.616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto,
poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000,
n.186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi siano stati
presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata
in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
7. Meritano, invece, accoglimento le censure proposte dal sig. Zoda in
relazione alla errata applicazione delle pene accessorie dell’interdizione dagli
uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese; dell’interdizione dalle

4

a*

funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria; dell’incapacità di
contrattare con la pubblica amministrazione e dell’interdizione dall’ufficio di
componente di commissione tributaria; nonché in relazione alla durata
dell’interdizione dai pubblici uffici. Posto che il reato ex art.319 cod. pen. non era
all’epoca dei fatti ricompreso nell’elenco contenuto nell’art.317-bis cod. pen. e
che debbono trovare applicazione gli artt.31 e 37 cod. pen., con conseguente
parametrazione alla durata della pena principale, considerata la diminuzione ex
art.444 cod. proc. pen., l’interdizione dai pubblici uffici deve essere rideterminata

essere eliminate, non sussistendone i presupposti in assenza di condanna per
reato previsto dal d.lgs. 10 marzo 2000, n.74.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Zoda Ignazio
limitatamente alla durata della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici
uffici, che ridetermina in anni uno e mesi quattro, nonché all’applicazione della
pene accessorie dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e
delle imprese; dell’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in
materia tributaria; dell’incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione
e dell’interdizione dall’ufficio di componente di commissione tributaria,
applicazione che elimina. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso dello Zoda.
Dichiara inammissibili i ricorsi dei restanti imputati e condanna ciascuno di loro al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.500,00 alla Cassa
delle Ammende.
Così deciso il 19/6/2014

nella misura di un anno e quattro mesi. Le restanti pene accessorie debbono

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