Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32904 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32904 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LI BERGOLIS FRANCO N. IL 11/11/1978
avverso l’ordinanza n. 3530/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di
MILANO, del 19/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/ne le conclusioni del PG Dott. A,m,c, Rry-j., preso V, G,Ez2,-)
GyA-422.t Lo- ae/h o d9 2-i. 1231;

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 02/07/2014

Ritenuto in fatto

1. Con ordinanza deliberata il 19 giugno 2013 il Tribunale di Sorveglianza di
Milano rigettava li reclamo proposto da Li Bergolis Franco ex art. 18 ter Ord. Pen
avverso il provvedimento in data 8 aprile 2013 del Magistrato di Sorveglianza di
Milano che prorogava nei suoi confronti, per la durata di mesi tre, il controllo
sulla corrispondenza e la limitazione alla ricezione e acquisto della stampa locale.
1.1 Ciò in base alla elevatissima pericolosità sociale del reclamante, persona

concreta possibilità per lo stesso di mantenere, anche in costanza di detenzione,
collegamenti con il sodalizio criminoso di appartenenza, operante nel Gargano, in
violenta contrapposizione con il clan Primosa-Alfieri, sul quale si è affermato
dopo una serie di omicidi, ferimenti e conflitti a fuoco, che continua a perseguire
le proprie attività delittuose relative al traffico di stupefacenti, contrabbando di
tabacco lavorato estero, estorsioni e che ancora esercita un controllo del
territorio nel quale opera.
2. Ricorre per cessazione il Li Bergolis, personalmente, deducendo: (1)
violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo al controllo della
corrispondenza, atteso che la proroga è stata disposta dal Tribunale senza
specificamente argomentare in merito all’attualità dei collegamenti con la
criminalità organizzata, limitandosi a riprodurre sul punto, argomentazioni
stereotipate e sfornite di prova; (2) violazione di legge e il vizio di motivazione,
sempre con riguardo al controllo della corrispondenza, con riferimento al
requisito della “pericolosità” richiesto per la sottoposizione al controllo; (3)
violazione di legge con riguardo alle misure limitative concernenti la ricezione dei
quotidiani locali; (4) violazione dell’articolo 666, comma 4 cod. proc. pen., per
non essere stata disposta la regolare citazione per l’udienza avendo il tribunale
omesso di disporre la sua traduzione; (5) violazione dell’articolo 127, comma 7,
cod. proc. pen. per essere stata notificata l’ordinanza impugnata solo “dopo 36
giorni dal deposito della stessa”.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta dal Li Bergolis è inammissibile in quanto basata
su motivi manifestamente infondati.
1.1 Quanto ai dedotti vizi procedurali, gli stessi risultano insussistenti in
quanto, anche volendo ritenere pienamente applicabile il modello procedimentale
delineato dall’art. 666 cod. proc. pen. malgrado l’ambigua formulazione dell’art.
18 comma 6, Ord. Pen., occorre comunque considerare, come correttamente
evidenziato dal Procuratore Generale nella sua requisitoria scritta, che il
1

con ruolo di responsabilità nell’organizzazione criminale del Montanari, ed alla

detenuto ha ricevuto comunicazione dell’udienza fissata per la trattazione del
reclamo e non risulta aver richiesto di essere sentito personalmente (in termini,
Sez. 1, n. 25891 del 17/04/2001 – dep. 26/06/2001, Ferrara, Rv. 219104).
1.1.2 Irrilevante si rivela, altresì, anche l’ulteriore deduzione del ricorrente
circa il ritardo nella comunicazione del provvedimento di rigetto del reclamo,
posto che nessuna norma fissa i termini perentori entro i quali deve essere
notificato il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza, non potendo tale
natura perentoria essere desunta dal disposto del comma 7 dell’art. 127 cod.

provvedimenti svoltisi in camera di consiglio, in quanto la sua genericità non la
rende rapportabile al concetto di termini perentori (Sez. 1, n. 4014 del
13/10/1992 – dep. 18/12/1992, Malorgio ed altri, Rv. 195093).
1.2 Quanto poi alle censure mosse dal ricorrente relativamente al merito del
provvedimento impugnato, va anzitutto rilevato, con riferimento alla proroga del
visto di controllo, che ai sensi della legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 18 ter,
comma 1, lett. b), commi 3 e 5, introdotto con la legge 8 aprile 2004, n. 95, art.
1, su richiesta del pubblico ministero o su proposta del direttore dell’istituto, il
magistrato di sorveglianza può disporre che la corrispondenza dei detenuti sia
sottoposta a visto di controllo e che sia trattenuta per esigenze attinenti alle
indagini, per esigenze investigative, di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni
di sicurezza o di ordine dell’istituto penitenziario.
Detta norma, per altro, va necessariamente coordinata con quella di cui alla
medesima legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 41 bis, comma 2 sull’ordinamento
penitenziario, la quale, nel disciplinare le limitazioni cui può essere sottoposto il
detenuto, prevede espressamente, al comma 2 quater, lett. e), la sottoposizione
a visto di censura della corrispondenza per esigenze di ordine o di sicurezza
pubblica e per impedire i collegamenti del detenuto con l’organizzazione
criminale esterna, di cui sia ritenuto tuttora intraneo.
In tale contesto, i giudici di merito hanno ritenuto, con sintoniche decisioni,
che la cessazione del controllo sulla corrispondenza del ricorrente potesse
compromettere l’ordine e la sicurezza dell’istituto, atteso che, senza la sua
proroga, il Li Bergolis, soggetto di elevatissima pericolosità sociale ed elemento
di vertice dell’organizzazione criminale dei Montanari, avrebbe potuto in qualche
modo tenersi in contatto con il gruppo criminale di appartenenza, operante
all’esterno. Le censure addotte dal ricorrente, concernenti in effetti la
motivazione ritenuta insufficiente dell’ordinanza impugnata,

si

rivelano

manifestamente infondate. Si ritiene infatti che la motivazione dell’impugnato
provvedimento, pur nella sua concisione, sia invero sufficiente ed adeguata.

2

Le,LA

proc. pen. che impone comunicazioni o notificazioni “senza ritardo” alle parti dei

Va al riguardo affermato, infatti, che l’obbligo della motivazione può ritenersi
assolto qualora, come nel caso in esame, emerga che il giudice abbia preso in
esame gli elementi versati in atti e li abbia valutati con modalità non
palesemente illogiche.
La motivazione di un provvedimento ben può essere sintetica, specie in una
materia che, come quella in esame, presuppone non già l’esistenza di una prova
positiva circa l’esistenza di collegamenti con il sodalizio di appartenenza quanto
la possibilità per il detenuto, in assenza di un preventivo controllo, di attivare

già mediante ricorso a formule stereotipe, ma attraverso il puntuale rinvio a dati
fattuali desumibili dal decreto ministeriale di sottoposizione del ricorrente al
trattamento penitenziario ex art. 41 bis ord. pen., provvedimento ben conosciuto
dal detenuto e che non risulta abbia formato oggetto di revoca.
Nessun profilo di illegittimità è infine ravvisabile con riferimento alla
limitazione nella ricezione della stampa locale imposta al ricorrente, posto che
tale provvedimento, in realtà, lungi dal comprime in modo assoluto il
fondamentale diritto d’informazione del detenuto, comunque assicurato dalla
ricezione della stampa nazionale, realizza un equilibrato contemperamento di
tale diritto con le esigenze di sicurezza pubblica, risultando del tutto in linea con
la lezione interpretativa di questa Corte di legittimità, univoca nel ritenere
legittimo il provvedimento di limitazione nella ricezione della stampa locale
emesso nei confronti di detenuto sottoposto a regime speciale ex art. 41 bis Ord.
Pen. qualora detta ricezione, come ritenuto nel caso in esame, possa funzionare
«da canale di collegamento con l’esterno», atto a consentirgli di dialogare con
sodalizio criminale di appartenenza (in tal senso, ex multis, Sez. 1, n. 6322 del
11/01/2013 – dep. 08/02/2013, Pesce, Rv. 254949).
2. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la condanna
del ricorrente, per legge, al pagamento delle spese processuali ed al versamento
alla Cassa delle ammende, in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di
colpa (Corte Cost, sent. n. 186 del 2000), di una somma, congruamente
determinabile in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, il 2 luglio 2014.

canali di comunicazione, eventualità ritenuta sussistente nel caso in esame, non

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