Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3290 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3290 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
COSTANTINO Fabio, nato a Vibo Valentia il 3.2.1977;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in data 30.4.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per l’indagato, l’Avv. Guido Contestabile, che ha concluso
chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di n. 38
persone, tra cui Costantino Fabio, indagato per i reati di associazione
mafiosa (quale partecipante alla cosca Mancuso della “ndrangheta”
calabrese), usura, estorsione, reati-fine aggravati tutti dall’art. 7 D.L. n.
152/1991.

Data Udienza: 12/12/2013

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed
il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 30.4.2013, confermò il
provvedimento impugnato.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:
1) la omessa motivazione circa la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza in ordine al delitto di usura, per non avere il Tribunale
tenuto conto delle argomentazioni difensive che segnalavano la

condotta usuraria e per non avere spiegato come la condotta del Muscia
possa essere riferita all’indagato;
2) la omessa motivazione della ordinanza impugnata relativamente
alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/1991;
3) la mancanza e illogicità della motivazione circa la sussistenza di
gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di partecipazione ad
associazione mafiosa, con particolare riferimento alla condivisione del
programma criminoso del sodalizio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Con i tre motivi di ricorso, il ricorrente lamenta la mancanza e
illogicità della motivazione dell’ordinanza impugnata in ordine alla
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per il reato di usura, in ordine
alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152/1991;
critica che il giudice di merito abbia ritenuto sussistenti, sulla base degli
elementi di prova acquisiti, i gravi indizi di colpevolezza del Mancuso in
ordine al contestato delitto di partecipazione ad associazione mafiosa; si
duole che i giudici di merito non abbiano recepito, e neppure tenuto conto
delle deduzioni difensive avanzate con la richiesta di riesame, con le quali
si prospettava una alternativa ricostruzione dei fatti.
A giudizio del Collegio, appare evidente come il ricorrente sottoponga
alla Corte – sotto mentite spoglie – censure di merito relative alla
valutazione delle prove, che sono inammissibili in sede di legittimità. E
invero, la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva,
all’apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione;

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mancanza di un ruolo specifico del Costantino in ordine alla contestata

a meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della
motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.
Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito più volte
che «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha
un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti

delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocu/i”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti e tenendo conto dei rilievi della difesa, le ragioni della loro
decisione (richiamando – p. 14 ss. dell’ordinanza impugnata – le
dichiarazioni accusatorie di Currò Marina, persona informata sui fatti che
riconosce anche in fotografia Costantino Fabio, nonché il contenuto delle
intercettazioni telefoniche, che evidenziano come l’indagato e il Muscia
siano tenuti a rendere il conto del recupero dei crediti al Mancuso
Giovanni, alle cui direttive operano); non si ritiene, peraltro – per ovvi
motivi – di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni,
sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono
manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore dell’ordinanza si è
puntualmente attenuto ad una coerente e ordinata esposizione dei fatti,
degli elementi di prova e delle conseguenti argomentazioni necessarie a
giustificare la decisione adottata, che resiste perciò alle censure del
ricorrente sul pu nto 1 4« At -tA20,&.41.42 dirctsyt.0″0.4 coi, è L %0941, cito°
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Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono

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della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza

compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito
nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto
tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della
Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la
ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di

della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),
dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare che se
costoro hanno dato conto delle ragioni della loro decisione e se il
ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del
provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti dei ragionevole
e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato
riscontrare.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà
del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del
citato articolo 94.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione

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procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’articolo 94 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, il 12.12.2013.

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