Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32899 del 30/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32899 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE
DI SPOLETO
nei confronti di:
IACOLARE GAETANO N. IL 05/02/1961
avverso l’ordinanza n. 2920/2013 GIUD. SORVEGLIANZA di
SPOLETO, del 28/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentitele conclusioni del PG Dott.
C2tAa4rPo
43-et
>144,10
Ge49._ iVt/O-G1401 14,u1,14,

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 30/06/2014

Ritenuto in fatto

1. Iacolare Gaetano, detenuto nella Casa circondariale di Terni e sottoposto
al regime speciale di cui all’art. 41-bis Ord. Pen., proponeva reclamo al
Magistrato di sorveglianza di Spoleto avverso la disposizione impartita dalla
direzione di quell’istituto che escludeva per i detenuti nei cui confronti era stata
disposta la sospensione delle normali regole di trattamento penitenziario, la
possibilità di fruire, in sostituzione del colloquio mensile di un ora con i familiari,

10, d.P.R. n. 230 del 2000, qualora i familiari siano residenti in un comune
diverso da quello in cui ha sede l’istituto.

2.

Il Magistrato di sorveglianza adito procedeva nelle forme del

contraddittorio camerale, richiamandosi alla sentenza delle Sezioni Unite n.
25079 del 26/02/2003 – dep. 10/06/2003, Gianni, Rv. 224604, secondo cui i
provvedimenti dell’Amministrazione penitenziaria in materia di colloqui visivi e
telefonici dei detenuti e degli internati, in quanto incidenti su di una «posizione
soggettiva meritevole di tutela» (nello specifico più che la libertà di
comunicazione, quella di poter coltivare gli affetti familiari), sono sindacabili in
sede giurisdizionale mediante reclamo al magistrato di sorveglianza che decide
con ordinanza ricorribile per cassazione secondo la procedura indicata nell’art.
14-ter della legge 26 luglio 1975 n. 354 (cd. ordinamento penitenziario).
2.1 Nel merito, accoglieva il reclamo con ordinanza deliberata il 28 ottobre
2013, ritenendo, in estrema sintesi, che la sottoposizione del detenuto a regime
differenziato, conformemente al più recente orientamento di questa Corte di
legittimità (Sez. 1^ sentenza n. 39537 del 24 giugno 2013), non costituisce di
per sé ragione sufficiente per escludere la possibilità di usufruire del colloquio
“prolungato” sino ad ore due, ai sensi del d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, art. 37,
comma 10..

3. Avverso l’indicata ordinanza ha proposto impugnazione il Procuratore
della Repubblica di Spoleto chiedendone, l’annullamento senza rinvio,
deducendone l’illegittimità per violazione di legge.
Nel corso si sostiene, a sostegno di tale richiesta, che per il regime di cui
all’articolo 41 bis Ord. Pen. la materia dei colloqui è disciplinata interamente ed
esclusivamente da norme di rango primario, mentre la detenzione ordinaria è
rimessa in modo dettagliato alle previsioni di livello secondario del d.P.R.
230/2000, che non contiene alcuna disposizione riferita al regime speciale.
Alle medesime conclusioni si perviene, peraltro, secondo il Pubblico
ministero ricorrente, applicando alla fattispecie il principio di specialità, essendo

ove non espletato, di un colloquio prolungato sino a due ore, ex art. 37 comma

incontestabile il carattere speciale delle disposizioni dell’articolo 41 bis rispetto a
quelle generali contenute nel d.p.r. 230/2000.

Considerato in diritto

1. Il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Spoleto è infondato
per le ragioni di seguito precisate.
1.1 Al riguardo va anzitutto precisato che sulla specifica questione oggetto

confronti risultano sospese le normali regole di trattamento dei detenuti ed
internati di fruire ex art. 35 Ord. Pen. – in alternativa al colloquio mensile di
un’ora coi familiari, non svolto – di un colloquio prolungato sino a due ore, ex art.
37 comma 10, d.P.R. n. 230 del 2000, qualora i familiari siano residenti in un
comune diverso da quello in cui ha sede l’istituto) questa Corte, di recente, ha
già avuto occasione di pronunciarsi, riconoscendo l’applicabilità del disposto
normativo di cui all’art. 37 comma 10 d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230, anche ai
detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. (in tal
senso, Sez. 1, 24 giugno 2013, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Reggio Emilia in proc. Mandalà; Sez. 1, n. 49726 del 26/11/2013 – dep.
10/12/2013, Ministero Della Giustizia in proc. Catello, Rv. 258421).
Orbene da tali decisioni questo Collegio, condividendole pienamente, ritiene
di non doversi discostare.
1.2 Ed invero il principale se non esclusivo argomento addotto dal ricorrente
per sostenere l’illegittimità del provvedimento impugnato, si risolve
sostanzialmente nell’assunto che la definizione dei contenuti dello speciale
regime carcerario ex art. 41 bis Ord. Pen. risulterebbe demandata in toto alla
competenza ministeriale da una regolamentazione di rango primario, che si
sovrapporrebbe a quella ordinaria vigente in materia di colloqui, derogandovi
espressamente, con la conseguenza che il prolungamento della durata del
colloquio, previsto dall’art. 37 comma 10, d.P.R. 30 giugno 2000 n. 230 sarebbe
sì applicabile ai detenuti sottoposti al regime differenziato di cui all’art. 41 bis
Ord. Pen. ma solo in presenza di “eccezionali circostanze” e non anche in caso di
mancato svolgimento del colloquio con i familiari.
1.3 Tale tesi, però, non può trovare accoglimento, basandosi su delle
argomentazioni astratte che non trovano effettiva e logica giustificazione
nell’esegesi del novellato art. 41 bis Ord. Pen..
1.3.1 Al riguardo va infatti osservato, in primo luogo, che se è pur vero che
l’art. 41 bis Ord. Pen. attribuisce al Ministro della Giustizia il potere di
sospendere – si badi “in tutto o in parte” – l’applicazione delle normali regole di
trattamento dei detenuti ed internati, in correlazione con una “pericolosità
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del presente giudizio (assoluta e generale impossibilità per un detenuto nei cui

qualificata” degli stessi, sta di fatto, però, che tale norma – che già la Corte
Costituzionale, nella sentenza 28 luglio 1993 n. 349, ebbe a definire di “non
felice formulazione” – non risulta affatto “demandare in toto alla competenza
ministeriale” i contenuti del trattamento applicabile ai detenuti portatori di una
“pericolosità qualificata”, né ha dettato una regolamentazione “speciale”
dell’istituto, che si sovrapponga totalmente a quella ordinaria.
1.3.2 Al contrario, come correttamente osservato in dottrina, “la novella
legislativa sull’art. 41- bis reca il merito di avere posto chiarezza in ordine alla

più diffuso nell’applicazione”, provvedendo, nel contempo, “a dare certezza
regolando i contenuti del regime, la cui definizione, per troppo tempo, era stata
rimessa interamente, ed “in bianco”, all’autorità amministrativa”.
1.3.3 D contenuto del “regime detentivo speciale”, pertanto, come a ragione
osservato in dottrina, risulta regolato dalla legge con previsioni operanti su un
doppio livello.
Un primo livello, per così dire “generale”, caratterizzato dalla regola della
proporzionalità, in virtù della quale sono ammesse solo restrizioni al regime
ordinario che siano necessarie agli scopi di prevenzione cui la misura e
finalizzata. Il secondo livello di regole, invece, indica i contenuti del regime, e
per quanto attiene la materia dei colloqui, che in questa sede specificamente
interessa: ne stabilisce il numero (uno al mese); le modalità, da svolgersi ad
intervalli di tempo regolari ed in locali attrezzati, in modo da impedire il
passaggio di oggetti, vietando, nel contempo, i colloqui con persone diverse dai
familiari e conviventi, salvo casi eccezionali determinati volta per volta dal
direttore dell’istituto ovvero, per gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di
primo grado, dall’autorità giudiziaria competente.
La norma, prevede altresì, che í colloqui vengono sottoposti a controllo
auditivo ed a registrazione, previa motivata autorizzazione dell’autorità
giudiziaria competente; solo per coloro che non effettuano colloqui può essere
autorizzato, con provvedimento motivato del direttore dell’istituto ovvero, per gli
imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, dall’autorità
giudiziaria competente, e solo dopo i primi sei mesi di applicazione, un colloquio
telefonico mensile con i familiari e conviventi della durata massima di dieci
minuti sottoposto, comunque, a registrazione. I colloqui sono comunque
videoregistrati. Queste limitazioni, per altro, non si applicano ai colloqui con i
difensori, per i quali la norma prevedeva invece specifiche limitazioni, ritenute
per altro costituzionalmente illegittime dalla Consulta, con sentenza 20 giugno
2013 n° 143.
1.4 Ciò posto, evidenziato che l’art. 41 bis Ord. Pen., nulla stabilisce sulla
durata massima del colloquio e che il parametro di riferimento della norma è
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stabilità nel sistema di un istituto considerato figlio dell’emergenza, ma sempre

comunque rappresentato dalle “normali regole di trattamento dei detenuti”, deve
allora senz’altro condividersi il principio di diritto che è a base della precedente
decisione di questa Corte in argomento, secondo cui l’ampiezza della previsione
normativa in materia di colloqui è tale da indurre a ritenere «che ulteriori
limitazioni, al di là di quelle previste, non siano possibili, salvo che derivino da
un’assoluta incompatibilità della norma ordinamentale – di volta in volta
considerata – con i contenuti normativi tipici del regime differenziato».
Meglio definendo tale principio, questo Collegio ritiene allora possa

nel decreto ministeriale, anche per il detenuto sottoposto al regime di cui all’art.
41 bis Ord. Pen., possono trovare applicazione le norme dell’ordinamento
penitenziario non oggetto di sospensione.
1.5 In particolare, premesso che l’art. 37 comma 10 d.P.R. 30 giugno 2000
n.230 prevede – in via generale e per tutti i detenuti – due ipotesi di
«ampliamento» della durata del colloquio, la prima correlata a «eccezionali
circostanze» da valutarsi, dunque, caso per caso, la seconda correlata a due
condizioni obiettive rappresentate dalla extraterritorialità del luogo di detenzione
rispetto a quello di residenza dei congiunti, unita alla circostanza della mancata
fruizione del colloquio nella «settimana precedente» e sempre che le esigenze e
l’organizzazione dell’istituto lo consentano, va qui ribadita la validità di quanto
affermato da questa Corte nelle sue precedenti decisioni in argomento, nel senso
che, «è evidente che mentre la prima previsione (circostanze eccezionali) non
può dirsi in alcun modo in contrasto con le previsioni normative caratterizzanti il
regime differenziato (e risulta dunque sempre applicabile, ferma restando la
valutazione della eccezionalità del caso) la seconda previsione va «adattata» alle
caratteristiche ontologiche della detenzione «conformata» ai sensi dell’art. 41 bis
ord. pen.. Occorre considerare, in particolare, che ricorrendo tendenzialmente in
modo stabile il presupposto della extraterritorialità (data l’allocazione dei
detenuti sottoposti al regime del 41 bis), è evidente che l’interpretazione del
secondo presupposto (mancanza di colloquio nella settimana precedente) non
può essere riferita a tale particolare «categoria» di detenuti, essendo per
definizione assente il colloquio settimanale, sostituito da quello mensile. Detta
parte della norma potrà dunque – secondo un criterio interpretativo logicosistematico – trovare applicazione lì dove il detenuto sottoposto al regime
differenziato di cui all’art. 41 bis Ord. Pen. non abbia effettuato il previsto
colloquio nel «mese» antecedente.

2. In conclusione, esclusa l’esistenza di un divieto assoluto, per ì detenuti
nei cui confronti sia stata disposta che la sospensione delle normali regole di
trattamento, di fruire in alternativa al colloquio mensile di un’ora coi familiari,
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affermarsi, in buona sostanza, che in assenza di specifiche previsioni contenute

l’ordinanza impugnata deve ritenersi legittima, con conseguente rigetto del
ricorso.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 30 giugno 2014.

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