Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32882 del 24/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32882 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAINA’ LUIGI N. IL 25/12/1969
avverso l’ordinanza n. 4832/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 03/10/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA
SILVIO BONITO;
lette/te le conclusioni del PG Dott.
xo Q ,

d-s2-12S1.—

Uditi difensor Avv.;

,

Q

Data Udienza: 24/06/2014

1. Con ordinanza del 3 ottobre 2013 il Tribunale di sorveglianza di
Roma rigettava l’istanza proposta da Lainà Luigi volta alla
sospensione della esecuzione della pena ai sensi dell’art. 147 c.p. ed
all’applicazione della detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47-ter
co. 1 0.P..
A sostegno della decisione il Tribunale argomentava: il Magistrato
di sorveglianza ha rigettato l’istanza del Lainà con provvedimento
del 20.8.2013 reso ai sensi dell’art. 684 c.p.p., motivando sulla non
incompatibilità del regime detentivo e sulla pericolosità sociale
dell’istante; analoga istanza del Lainà è stata respinta dal tribunale
in data 4.10.2012; le relazioni sanitarie in atti, l’ultima delle quali
quella del 26.9.2013, danno atto di una evoluzione peggiorativa
delle patologie, di indubbia gravità, ma rappresentative del loro
naturale decorso; non v’è pertanto mutamento sostanziale della
prognosi a carico dell’istante e la confermata gravità patologica non
lo pone in un immediato pericolo di vita, né influisce sulla
compatibilità col regime carcerario; il Lainà può essere
adeguatamente curato in carcere; neppure appare l’espiazione della
pena, nelle condizioni date, contraria al senso di umanità; va inoltre
confermato il giudizio di pericolosità sociale desumibile dalle 56
iscrizioni nel certificato penale e dai procedimenti in corso, due dei
quali per rapina; il condannato ha goduto numerose volte dei
benefici di legge sempre violandone le prescrizioni anche con la
consumazione di reati come quello di rapina; di qui la conclusione
che il Lainà è soggetto “ad elevatissima pericolosità sociale”.
2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento il detenuto,
assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse sviluppa
due motivi di impugnazione.
2.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente difetto di
motivazione in relazione all’art. 147 n. 2 c.p., in particolare
osservando: il provvedimento ignora del tutto e travisa i contenuti
delle relazioni mediche e dello stesso reparto specialistico del
Policlinico di Roma; i sanitari di Regina Coeli hanno sottolineato
che il detenuto corre pericolo di vita e che è impossibile curare in
ambiente carcerario la “fibrosi epatica”; di qui la incompatibilità
carceraria delle patologie accertate, tenuto contro, altresì, della
patologia psichiatrica diagnosticata ma ignorata dai giudicanti;
ignora altresì l’ordinanza la disponibilità espressa dagli zii del
detenuto ad accoglierlo e curarlo per non vederlo morire in carcere.

La Corte osserva in fatto ed in diritto:

2.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia ancora la difesa
ricorrente difetto di motivazione in relazione agli artt. 147 n. 2 c.p.
e 74-ter, co 1-ter 0.P., sul rilievo che: l’ordinanza ha travisato il
provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza, ai sensi
dell’art. 684 c.p.p., in data 20.8.2013; con detto provvedimento il
giudice territoriale non ha affatto rigettato l’istanza del detenuto, ma
ha rimesso ogni decisione al provvedimento definitivo del tribunale
in considerazione della mancata acquisizione delle risultanze
sanitarie e della ormai imminente udienza davanti ad esso tribunale.
3. Il P.G. in sede, con argomentata requisitoria scritta, concludeva
per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
4. La doglianza è fondata.
Ed invero non può sottacere il Collegio che l’ordinanza in scrutinio
si appalesa motivata in termini giuridicamente non corretti e
logicamente incoerenti attese le risultanze procedimentali.
Va preliminarmente chiarito che il differimento della pena, secondo
la disciplina portata dagli artt. 146 e 147 c.p., può essere
provvedimento necessitato ovvero facoltativo e ciò, evidentemente,
sulla base della ricorrenza o meno di determinati requisiti.
Nel caso in esame il giudice a quo ha rigettato l’istanza del
ricorrente giacchè le risultanze diagnostiche acquisite non erano nel
senso della incompatibilità delle condizioni di salute
dell’interessato con lo stato di detenzione. Siffatta affermazione,
peraltro, non è stata poi supportata dalla descrizione delle patologie
che hanno consentito al tribunale di escludere che, nel caso di
specie, ricorra sia l’ipotesi di differimento obbligatorio disciplinato
dall’art. 146 n. 3 c.p., peraltro non richiesto dall’interessato, sia
quella del differimento facoltativo di cui al successivo art. 147 n. 2
c.p., posto che è proprio il requisito della incompatibilità detentiva
con lo stato di salute dell’istante quello distintivo tra la prima e la
seconda ipotesi, in cui il codificatore ha contemplato la fattispecie
secondo la quale, pur potendosi astrattamente ritenere la
compatibilità tra patologie accertate e stato di detenzione,
purtuttavia la presenza di una “grave infermità fisica” può
consentire il differimento di quest’ultima.
Ne consegue che la questione di diritto posta dalla disciplina
relativa al differimento facoltativo è quella di definire i confini della
riconosciuta discrezionalità (“L’esecuzione della pena può essere
differita” recita la norma di riferimento).
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Orbene, sul punto non è mancata l’adeguata elaborazione
giurisprudenziale di questa Corte, la quale ha ripetutamente
affermato il principio che il giudice investito della delibazione della
domanda per l’applicazione dell’art. 147 c.p. deve tener conto,
indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità colle
possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, anche
dell’esigenza di non ledere comunque il fondamentale diritto alla
salute e il divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti
dagli artt. 32 e 27 Cost., circostanza questa che ricorre, ad esempio,
allorché, nonostante la fruibilità di adeguate cure anche in stato di
detenzione, le condizioni di salute accertate diano luogo ad una
sofferenza aggiuntiva, derivante proprio dalla privazione dello stato
di libertà in sè e per sè considerata, in conseguenza della quale
l’esecuzione della pena risulti incompatibile coi richiamati principi
costituzionali (cfr. Cass., Sez. I^, 28/09/2005, n.36856; Sez. l”,
28.10.1999, Ira). E ciò considerando, inoltre, che detta sofferenza
aggiuntiva è comunque inevitabile ogni qual volta la pena debba
essere eseguita nei confronti di soggetto in non perfette condizioni
di salute, di tal che essa può assumere rilievo solo quando si
appalesi, presumibilmente, di entità tale — in rapporto appunto alla
particolare gravità di dette condizioni — da superare i limiti della
umana tollerabilità (Cass., Sez.1^, 20.05.2003, n. 26026;
10.12.2008, n. 48203).
Ed invero, il giudice a quo ha apoditticamente affermato che una
gravissima patologia epatica, ormai ingravescente verso l’esito
esiziale, non è contraria al senso di umanità, peraltro ignorando in
tale conclusione una seconda grave patologia accertata a carico del
detenuto, quella psichiatrica, della quale il Tribunale non fa cenno
alcuno.
In ogni caso appare di palese evidenza che il sillogismo decisorio
articolato dal tribunale si fonda su una serie di evidenti travisamenti
delle risultanze processuali: le relazioni sanitarie, contrariamente a
quanto affermato dal tribunale, indicano per il detenuto pericolo di
vita; dette patologie non sono curabili adeguatamente in struttura
carceraria; lo stato patologico del detenuto sta involvendo (per il
tribunale questo è nulla più che un “naturale corso delle patologie”)
verso l’esito esiziale.
Del tutto illogico si appalesa altresì l’argomentare del tribunale là
dove perviene alla conclusione che il Lainà, sia soggetto “ad
elevatissima pericolosità sociale”, sia perché lo stato di salute
attuale del predetto esclude qualsivoglia possibilità di autonome
condotte delittuose, sia perché non è dal numero delle iscrizioni nel

5. L’ordinanza va pertanto irrimediabilmente cassata con rinvio al
tribunale di sorveglianza di Roma affinché riesamini la domanda
del detenuto dando conto degli esiti relativi agli accertamenti
sanitari in atti, ivi compresa la patologia psichiatrica, di poi
argomentando compiutamente in ordine alla compatibilità delle
patologie in atto, considerata la loro natura ingravescente, col
regime carcerario anche in relazione al senso di umanità che per la
nostra carta costituzionale deve permeare il regime detentivo.
Quanto poi alla pericolosità del ricorrente, provvederà il giudice di
rinvio a darne adeguata dimostrazione attraverso la qualificazione
criminale delle condotte commesse e la apprezzabilità in concreto
di un pericolo attuale di recidivanza.
P. T. M.
la Corte, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al
Tribunale di sorveglianza di Roma
Così deciso in Roma, addì 24 giugno 2014
Il res dera\
Il cons. est.

casellario giudiziale, ovvero dai carichi pendenti, che può
desumersi la pericolosità sociale del ricorrente, il quale in realtà
negli anni ha commesso, stando al provvedimento in esame, reati
tipici del delinquente di strada. La pericolosità sociale della
persona, soprattutto se di livello “elevatissimo”, può e deve
legittimamente essere desunta dalla qualità criminale delle condotte
delittuose commesse, qualità non apprezzabile se si indica il furto
ovvero l’evasione, ovvero la rapina in assenza di qualsivoglia
ulteriore indicazione circa le modalità ed i contesti nei quali le
condotte vennero consumate. Sul punto del tutto silente appare
l’ordinanza impugnata salva la conclusione innanzi indicata, per
questo da giudicarsi sostenuta con motivazione tipicamente
apparente.

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