Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3288 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3288 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
MANCUSO Giovanni, nato a Limbadi (VV) 1’1.1.1941;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in data 23.4.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
Uditi, per l’indagato, gli Avv.ti Giuseppe Di Renzo e Giovanni Aricò, che
hanno concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di n.
38 persone, tra cui Mancuso Giovanni, indagato per i reati di associazione
mafiosa (quale partecipante alla cosca “Mancuso” della “ndrangheta”
calabrese), estorsione aggravata, usura, abusiva attività finanziaria,
reati-fine aggravati tutti dall’art. 7 D.L. n. 152/1991.
Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed
il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 23.4.2013, pur annullando

Data Udienza: 12/12/2013

l’ordinanza del G.I.P. con riferimento al reato di abusiva attività
finanziaria, confermò nel resto il provvedimento impugnato, ivi compresa
la disposta custodia cautelare in carcere.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:
1) la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
gravità indiziaria, nonché la elusione delle censure difensive con le quali
si prospettava la inattendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di

indagini;
2) la mancanza di motivazione della ordinanza impugnata, che – a
dire del ricorrente – avrebbe recepito acriticamente la motivazione del
P.M. e del G.I.P. e non avrebbe motivato sulle censure mosse dalla difesa
con l’istanza di riesame.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Con i due motivi di ricorso, il ricorrente lamenta la mancanza e
illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza; critica che il giudice di merito abbia ritenuto sussistenti,
sulla base degli elementi di prova acquisiti, i gravi indizi di colpevolezza
del Mancuso in ordine ai delitti contestatigli; si duole che i giudici di
merito non abbiano recepito le deduzioni difensive avanzate con la
richiesta di riesame, con le quali si prospettava inattendibilità dei
collaboratori di giustizia e delle persone informate sui fatti escusse nel
corso delle indagini.
A giudizio del Collegio, appare evidente come il ricorrente sottoponga
alla Corte – sotto mentite spoglie – censure di merito relative alla
valutazione delle prove, che sono inammissibili in sede di legittimità. E
invero, la valutazione delle prove è riservata, in via esclusiva,
all’apprezzamento del giudice di merito e non è sindacabile in cassazione;
a meno che ricorra una mancanza o una manifesta illogicità della
motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però escludersi.
Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte hanno statuito più volte
che «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha
un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di

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giustizia e delle persone informate sui fatti escusse nel corso delle

cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocur,

macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti e tenendo conto dei rilievi della difesa, le ragioni della loro
decisione (sottolineando – p. 15 ss. dell’ordinanza impugnata – la
convergenza degli elementi di prova acquisiti: dalle dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Polito, alle risultanze delle intercettazioni
telefoniche, alle dichiarazioni di numerose persone informate sui fatti);
non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente
tutte le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far
rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi,
l’estensore dell’ordinanza si è puntualmente attenuto ad una coerente e
ordinata esposizione dei fatti, degli elementi di prova e delle conseguenti
argomentazioni necessarie a giustificare la decisione adottata, che resiste
perciò alle censure del ricorrente sul punto.
Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono
compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito
nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto
tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della
Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la
ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di

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dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di

procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),
dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare che se
costoro hanno dato conto delle ragioni della loro decisione e se il
ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del

e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato
riscontrare.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà
del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del
citato articolo 94.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’articolo 94 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, il 12.12.2013.

provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole

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