Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3287 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3287 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PROCURATORE DISTRETTUALE DELLA REPUBBLICA DI CATANZARO
nei confronti di:
MACCARONE Antonio, nato a Vibo Valentia il 28.12.1979;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in data 23.4.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli,, che
ha concluso per l’annullamento con rinvio;
Uditi, per l’indagato, gli Avv.ti Francesco Gambardella e Alfredo Gaito,
che hanno concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di n.
38 persone, tra cui Maccarone Antonio, indagato per il reato di
partecipazione all’associazione di tipo mafioso denominata cosca
“Mancuso”, facente parte della “ndrangheta” calabrese.

Data Udienza: 12/12/2013

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame ed
il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 23.4.2013, annullò il
provvedimento impugnato, ritenendo non sussistenti gravi indizi di
colpevolezza dell’indagato.
Ricorre per cassazione il Procuratore Distrettuale della Repubblica
presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo:
1) la violazione ed erronea applicazione dell’art. 416 bis cod. pen.;

provvedimento impugnato;
3)

la mancanza della motivazione con riferimento ad atti del

procedimento specificamente indicati nei motivi di gravame.
Secondo l’Ufficio ricorrente, il Tribunale non avrebbe esaminato tutte
le risultanze probatorie acquisite, dalle quali risulterebbe che il Maccarone
agisce sul territorio calabrese, attraverso le sue attività commerciali,
avvalendosi della forza di intimidazione che gli deriva dall’essere il genero
del capo-cosca Mancuso Pantaleone; non avrebbe considerato che il
Maccarone si è presentato in diverse occasioni in compagnia del suocero
per definire alcuni affari di rilevante valore economico; né che lo stesso è
temuto sul territorio per essere il genero del Mancuso Pantaleone, qualità
che egli stesso farebbe valere all’esterno e persino nei confronti degli
appartenenti alla sua famiglia di origine. A dire del ricorrente, il Tribunale
avrebbe erroneamente applicato l’art. 416 bis cod. pen., avendo ritenuto
il Maccarone estraneo al sodalizio mafioso solo perché non sarebbe
dimostrato che le somme a lui versate dall’imprenditore Velardo Antonio,
per poter operare liberamente nel territorio calabrese, siano finite nelle
casse del clan mafioso, piuttosto che a lui personalmente.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e va accolto.
Questa Corte suprema ha più volte affermato il principio di diritto
secondo cui «In tema di misure cautelari personali, quando il giudice del
riesame ritenga di modificare la decisione del primo giudice può evitare di
analizzare le ragioni poste a fondamento dell’originaria pronuncia e
specificare quelle che inducono invece ad un diverso giudizio, a
condizione che la decisione di riforma sia sorretta da un’adeguata,

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2) la manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del

completa e convincente motivazione, dando di per sé ragione, con
caratteri di assoluta decisività, della diversa scelta operata e della
prevalenza attribuita ad elementi prova diversi o diversamente valutati»
(Cass., Sez. 6, n. 9478 del 10/11/2009 Rv. 246401; Sez. 3, n. 23985 del
14/04/2004 Rv. 228884).
Nel caso di specie, il Tribunale non ha assolto tale onere
motivaziona le.

della motivazione per illustrare le vicende giudiziarie e l’assetto della
cosca “Mancuso”, hanno poi dedicato poco spazio all’esame e alla
valutazione dei pur numerosi elementi di prova raccolti a carico
dell’indagato.
Il Tribunale si è soffermato sulle somme corrisposte dall’imprenditore
Velardo al Maccarrone e ha negato che tale corresponsione fosse
sufficiente per ritenere l’indagato intraneo alla cosca, non essendovi
prova che le somme fossero destinate al sodalizio mafioso, e non
piuttosto alla sola persona del Maccarone (genero del capo-clan Mancuso
Pantaleone).
Ora, a parte la illogicità di tale ragionamento nella misura in cui
sembra pretendere la probatio diabolica del versamento delle somme
incassate nelle casse della clan (ma il Maccarone era il genero del capo
clan), appare evidente che i giudici di merito hanno esaminato tali
elementi di prova isolandoli dal contesto e non provvedendo a valutarli
unitariamente.
Eppure questa Corte suprema ha sempre affermato che, «Ai fini
della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per
l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima la valutazione
frazionata e atomistica della pluralità di elementi indiziari acquisiti,
dovendosi non solo accertare, in un primo momento, il maggiore o
minore livello di gravità e precisione dei singoli indizi, ciascuno
isolatamente considerato, ma anche, in un secondo momento, procedere
al loro esame globale e unitario tendente a dissolverne la relativa
ambiguità e a inserirli in una lettura complessiva che di essi chiarisca
l’effettiva portata dimostrativa e la congruenza rispetto al tema
d’indagine prospettato dall’accusa nel capo di imputazione» (Sez. 1, n.

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Invero, i giudici del Tribunale, mentre hanno dedicato molte pagine

16548 del 14/03/2010 Rv. 246935; Sez. 2, n. 9269 del 05/12/2012 Rv.
254871).
Per di più, il Tribunale ha omesso di valutare il contenuto delle
numerose conversazioni intercettate e acquisite agli atti (richiamate nel
ricorso del pubblico ministero), dalle quali emergono elementi di prova senza dubbio -“decisivi” per stabilire la partecipazione del Maccarone
all’associazione mafiosa capeggiata dal suocero Mancuso Pantaleone,

essere aderente ai dati processuali.
Tra le conversazioni intercettate, infatti, ve ne sono alcune che sono
utili per valutare il ruolo di prestanome di Mancuso Pantaleone svolto
dall’indagato; altre (persino dei parenti di sangue del Maccarone) utili per
apprezzare il peso criminale e la capacità di intimidazione che l’indagato
era in grado di esercitare sul territorio; altre ancora utili per valutare
quale fosse l’effettivo ruolo del Maccarone quando si accompagnava al
Mancuso per discutere degli affari di quest’ultimo (così, con riguardo alle
trattative d’affari svolte con tale Bragò Giuseppe); altre, infine,
determinanti per stabilire se il Maccarone riuscisse davvero a garantire
protezione “mafiosa” agli imprenditori vicini alla cosca capeggiata dal
suocero.
Si tratta di elementi di prova che il Tribunale avrebbe dovuto
esaminare dettagliatamente e valutare nella loro globalità, piuttosto che
omettere di valutarli ovvero valutarne alcuni separatamente dagli altri.
Ora, se è indubbio che la valutazione delle prove è riservata ai
giudici di merito, è anche vero che costoro devono giustificare la loro
decisione con una motivazione completa, che dimostri che nessun
elementi di prova decisivo per il giudizio è rimasto fuori dalla valutazione
probatoria.
Non rimane, pertanto, che annullare l’ordinanza impugnata e
rinviare il procedimento al Tribunale di Catanzaro, che, in diversa
composizione, dovrà prendere in esame tutti gli elementi di prova raccolti
nei confronti dell’indagato e verificare se, a carico dello stesso, sussista il
requisito della gravità degli indizi di colpevolezza in ordine al delitto
contestato, in esito ad una valutazione degli elementi di prova che sia

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elementi che non possono essere trascurati in un giudizio che voglia

completa e tenga conto della necessità di coordinarli e apprezzarli
globalmente secondo logica e secondo la comune esperienza.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
annulla il provvedimento impugnato con rinvio al Tribunale di Catanzaro
per un nuovo esame.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, il 12.12.2013.

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