Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3286 del 12/12/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3286 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PRESTIA Antonio, nato 1’1.1.1968;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, in data 23.4.2013
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Massimo Galli, che
ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito, per l’indagato, l’Avv. Antonio Managò, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 25.3.2013, il Giudice per le indagini preliminari
del Tribunale di Catanzaro dispose la custodia cautelare in carcere di n.
38 soggetti, alcuni indagati per il delitto di partecipazione alla
associazione mafiosa denominata “cosca Mancuso” (facente parte della
“ndrangheta” calabrese), altri indagati per delitti commessi con metodo
mafioso o al fine di agevolare la detta associazione; tra questi ultimi, fu
tratto in arresto Prestia Antonio, indagato per i reati di cui agli artt. 56,
629, commi 1 e 2, cod. pen. e 7 D.L. n. 152/1991.

Data Udienza: 12/12/2013

Avverso tale provvedimento il Prestia propose istanza di riesame ed il
Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 23.4.2013, confermò il
provvedimento impugnato.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo:
1)

la nullità dell’ordinanza genetica della misura cautelare, per

mancanza assoluta della motivazione, essendosi il G.I.P. riportato
acriticamente alla motivazione della richiesta di misura cautelare del

elementi di prova acquisiti;
2) la mancanza assoluta della motivazione dell’ordinanza impugnata,
per non avere il Tribunale motivato in ordine alle deduzioni difensive e, in
particolare, in ordine al fatto che il Prestia era un imprenditore vittima
della mafia, che aveva subito diversi attentati e aveva sporto diverse
denunce;
3) la omessa motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze
cautelari e in ordine alla scelta della misura da applicare – alla luce della
sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 2013, che ha dichiarato la
parziale illegittimità costituzionale dell’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.
– tenuto conto del ruolo marginale svolto dall’indagato nelle vicende
oggetto del procedimento, essendo stato egli chiamato a rispondere solo
di un unico tentativo di estorsione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza.
1. Innanzitutto è inammissibile il primo motivo di ricorso col quale si
lamenta la nullità dell’ordinanza genetica della misura cautelare, per
mancanza assoluta della motivazione, per essersi il G.I.P. riportato alla
motivazione della richiesta di misura cautelare del pubblico ministero,
senza compiere una propria valutazione degli elementi di prova acquisiti.
Invero, l’ordinanza di custodia cautelare, nel fare rinvio agli elementi
di prova esposti dal pubblico ministero nella richiesta di misura cautelare,
si cura di richiamare le dichiarazioni acquisite nel corso delle indagini e le
conversazioni intercettate e di valutare la coerenza delle prime con le
seconde; ciò che dimostra come il G.I.P. abbia valutato autonomamente
le prove acquisite.

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pubblico ministero, senza compiere una propria valutazione degli

In ogni caso, va ricordato che – come ha ripetutamente statuito
questa Corte suprema – «Nel caso in cui l’ordinanza cautelare coercitiva
del G.I.P. sia motivata “per relationem”, richiamando integralmente e
facendo motivatamente propria la richiesta del P.M., il Tribunale del
riesame, anche ove ritenga che la motivazione del provvedimento
promanante solo dal G.I.P. sia inadeguata per la sua eccessiva
stringatezza e mancanza di approccio critico rispetto alla richiesta del

dal P.M., avendo il potere-dovere di integrare la motivazione del
provvedimento genetico» (Cass., Sez. 2, n. 30696 del 20/04/2012 Rv.
253326); «atteso l’effetto interamente devolutivo che caratterizza il
riesame delle ordinanze applicative di misure cautelari, deve ritenersi che
il tribunale del riesame possa sopperire, con la propria motivazione, non
solo all’insufficienza o contraddittorietà della motivazione del
provvedimento genetico della misura, ma anche alla sua totale mancanza
o mera apparenza, esplicitando, per la prima volta, le ragioni
giustificative della misura cautelare adottata» (Cass., Sez. 2, n. 1102 del
04/12/2006 Rv. 235622) e «possa sanare, con la propria motivazione, le
carenze argomentative di detto provvedimento, pur quando esse siano
tali da dar luogo alle nullità, rilevabili d’ufficio, previste dall’art. 292,
comma secondo, lett. c) e c bis), cod. proc. pen.» (Cass., Sez. 6, n. 8590
del 16/01/2006 Rv. 233499; Sez. 2, n. 6322 del 21/11/2006 Rv.
235825; Sez. 6, n. 35993 del 14/06/2004 Rv. 229763; Sez. 3, n. 2711
del 03/08/1999 Rv. 216558).
È ciò che è avvenuto nel caso di specie, nel quale l’ampia e articolata
motivazione del Tribunale del riesame, colma ogni carenza argomentativa
dell’ordinanza custodiale.
2. È inammissibile anche il secondo motivo di ricorso, col quale si
lamenta la mancanza assoluta della motivazione dell’ordinanza
impugnata, per non avere il Tribunale motivato in ordine alle deduzioni
difensive e, in particolare, per non aver tenuto conto del fatto che il
Prestia era un imprenditore vittima della mafia, che aveva subito diversi
attentati e aveva sporto diverse denunce.
Sul punto, va premesso che il Prestia è accusato, in concorso con
Papaianni Agostino e Raguseo Giuseppe (quest’ultimo ritenuto l’attuale

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P.M., non può prescindere dall’esame del materiale indiziario riepilogato

reggente sul territorio del clan Mancuso), di aver posto in essere atti
idonei diretti in modo non equivoco a costringere Salamò Nicola,
imprenditore edile, a pagare al clan mafioso somme di denaro calcolate in
rapporto al valore economico dei lavori da eseguire e ad affidare lavori in
appalto ad imprenditori imposti dallo stesso clan.
Orbene, col ricorso si lamenta la mancanza e illogicità della
motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a

della difesa; ma appare evidente come il ricorrente sottoponga alla Corte
– sotto mentite spoglie – censure di merito, inammissibili in sede di
legittimità, non ricorrendo, nel caso di specie, una mancanza o una
manifesta illogicità della motivazione.
E invero come hanno statuito più volte le Sezioni Unite di questa
Corte «L’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione
ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di
cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti
della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza
delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per
sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni
processuali. L’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu ocu/i”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non
espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la
decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le
ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione (richiamando, in oltre 40 pagine
di motivazione, la pluralità di elementi probatori acquisiti: annotazioni di
servizio, servizi di o.c.p., dichiarazioni assunte, intercettazioni di
conversazioni); non si ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui
integralmente tu le suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al

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carico dell’indagato, anche in relazione alle deduzioni e agli argomenti

Collegio rilevare che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che,
anzi, l’estensore dell’ordinanza ha esposto in modo coerente e ordinato le
ragioni della decisione adottata (sottolineando il ruolo svolto dal Prestia,
quale portavoce del clan Mancuso, per conto del quale avanzava le
richieste estorsive al Salamò), la quale perciò resiste alle censure del
ricorrente sul punto (anche con riguardo al contratto di appalto allegato
alla memoria difensiva depositata nel giudizio di legittimità, che non

del provvedimento impugnato e di smentire la ricostruzione dei fatti
compiuta dai giudici di merito).
Piuttosto, sono le censure mosse col ricorso che non prendono
compiutamente in esame le argomentazioni svolte dai giudici di merito
nel provvedimento impugnato, risultando così generiche e, anche sotto
tale profilo, inammissibili, limitandosi a proporre a questa Corte una
ricostruzione dei fatti (che presenta l’indagato come vittima della mafia)
alternativa rispetto a quella dei giudici di merito.
E tuttavia, come questa Corte ha più volte sottolineato, compito della
Corte di cassazione non è quello di condividere o non condividere la
ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di
procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),
dovendo invece la Corte di legittimità limitarsi a controllare che se
costoro hanno dato conto delle ragioni della loro decisione e se il
ragionamento probatorio, da essi reso manifesto nella motivazione del
provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole
e del plausibile; ciò che, come dianzi detto, nel caso di specie è dato
riscontrare.
3. Per le medesime ragioni e sulla base dei medesimi principi di
diritto risulta inammissibile anche il terzo motivo di ricorso, col quale il
ricorrente denuncia la omessa motivazione in ordine alla sussistenza delle
esigenze cautelari e in ordine alla scelta della misura da applicare,
avendo il Tribunale fornito, sul punto, una motivazione adeguata (anche
alla luce del testo dell’art. 275 comma 2, cod. proc. pen. risultante dalla

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risulta decisivo, non essendo in grado di incrinare la logica motivazionale

sentenza della Corte costituzionale n. 57 del 2013), che spiega le ragioni
per le quali la custodia in carcere è ritenuta l’unica misura adeguata e
che, non essendo manifestamente illogica, è incensurabile in cassazione.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché –

inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
Poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà
del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle
disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia della
stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato
trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del
citato articolo 94.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende. Si provveda a norma dell’articolo 94 disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, il 12.12.2013.

ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di

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