Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32857 del 24/06/2013


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32857 Anno 2013
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ALOUI SAMI N. IL 21/06/1979
avverso la sentenza n. 191/2010 GIUDICE DI PACE di CENTO, del
04/10/2011
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO ,
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ;

p

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 24/06/2013

1. Con sentenza pronunciata il 4 ottobre 2011 il Giudice di pace di
Cento condannava Aloui Sami, imputato del reato di cui all’art. IObis d. lgs. 286/1998, alla pena di euro 5000,00 di ammenda.
Motivava il giudice territoriale che l’imputato era stato controllato
dagli organi di polizia sul territorio dello Stato senza essere in
possesso di documenti validi per il soggiorno in Italia e che tanto
integrava il reato contestato.
2. Avverso la sentenza detta ricorre per cassazione l’imputato,
assistito dal difensore di fiducia, chiedendo, ai sensi dell’art. 175
c.p.p., co. 2, di essere rimesso in termini per l’impugnazione di
legittimità in quanto giudicato in contumacia, con l’assistenza di un
difensore di ufficio e non accertata la effettiva conoscenza da parte
sua del procedimento in corso.
Nel merito e subordinatamente all’accoglimento di detta prima
conclusione, denunciava la difesa ricorrente violazione della norma
incriminatrice e difetto di motivazione sul punto, sul rilievo che
l’imputato è sposato con una cittadina italiana, condizione che
esclude la ricorrenza nella fattispecie dei requisiti costitutivi del
reato contestato.
3. Il ricorso è infondato.
3.1 Va preliminarmente delibata la questione relativa
all ‘ammissibilità processuale dell’impugnazione, posto che il
ricorso risulta proposto non tempestivamente, come pacificamente
ammesso dalla stessa difesa ricorrente, la quale infatti chiede
l’applicazione della disciplina di favore di cui all’art. 175 c.p.p., co.
2.
Orbene, giova rammentare che in tema di restituzione in termini ex
art. 175 c.p.p., comma 4, competente a decidere, in via generale, è il
giudice che sarebbe competente a decidere sull’impugnazione, salva
l’ipotesi, di competenza esclusiva del giudice dell’esecuzione, in
cui con la istanza di restituzione in termini si contesti la valida
formazione del titolo esecutivo (Cass., Sez. V, 24/02/2004, n.
11798).
Nel caso in esame pertanto, competente a pronunciarsi sulla istanza
difensiva preliminare e pregiudiziale, istanza che nopn contesta la
validità del titolo esecutivo, è questa Corte di legittimità, dappoichè

La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto

impugnato in provvedimento, la sentenza resa dal Giudice di pace
con sanzione limitata alla pena pecuniaria, esclusivamente
ricorribile per cassazione (Cass. pen., Sez. IV, 10/11/1995, Da
Rosa).
3.2 Tanto premesso sul piano dei principi ritiene il Collegio di
dover aderire alla domanda di restituzione in termini proposta
dall’imputato ai sensi dell’art. 175 c.p.p., co.2.
Detta norma infatti, come sostituita dal D.L. 21 febbraio 2005, n.
17, convertito con modificazioni nella L. 22 aprile 2005, n. 60,
riconosce, incondizionatamente, al soggetto giudicato in
contumacia, il diritto alla restituzione nel termine per impugnare
“salvo che lo stesso abbia avuto effettiva conoscenza del
procedimento o del provvedimento e abbia volontariamente
rinunciato a comparire ovvero a proporre impugnazione o
opposizione”.
Di conseguenza, in assenza di prova della conoscenza o della
rinunzia, la remissione in termini va concessa, e non spetta al
condannato provare in positivo la mancanza di conoscenza e di
rinunzia, che la norma presume in difetto di elementi contrari.
L’istituto novellato evoca d’altronde situazioni, quelle della
“conoscenza effettiva” del procedimento e dell’esercizio
“consapevole” del diritto a parteciparvi, che per consolidate
elaborazioni, sia a livello europeo che interno, devono trovare
riscontro effettivo e non solo formale negli atti del processo.
Con specifico riferimento all’ipotesi in esame non possono essere
consentite presunzioni basate sull’attribuzione all’imputato della
capacità di prevedere che, essendo stato controllato quale
clandestino ed essendogli stato nominato un difensore d’ufficio, le
indagini si svilupperanno fino al processo,
In conclusione, come questa Corte ha già evidenziato (Sez. 1,
Sentenza n. 6614 del 17/01/2008, Bondar, idem n. 8225, del
2.3.2010, Zamfir, rv. 246630, alle cui motivazioni si è fatto ampio
richiamo) la notificazione della sentenza contumaciale di condanna
eseguita presso il difensore d’ufficio nominato domiciliatario in fase
pre-processuale, non può ritenersi di per sè idonea a dimostrare
l’effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento in
capo all’imputato, salvo che la conoscenza non emerga “aliunde”,
ovvero non si dimostri, in concreto, che il difensore d’ufficio è
riuscito a rintracciare il proprio assistito e a instaurare un effettivo
rapporto professionale con lui.

2

4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso deve essere
pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P. Q. M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali.
In Roma, addì 24 giugno 2013

Il ricorso di legittimità dell’imputato, pertanto, deve ritenersi
tempestivamente prodotto, perché tempestiva, in assenza di
accertamenti contrari desumibili dagli atti, la tempestività della
richiesta di restituzione in termini ai sensi del primo comma
dell’art. 175 c.p.p..
3.3 Venendo ora al merito della impugnazione, osserva la Corte che
non contesta l’imputato ricorrente l’accertamento dei fatti di causa,
ivi inclusi i provvedimenti di espulsione prefettizio e l’ordine
Questorile di allontanamento a suo carico, dappoichè affidate le
difese all’assunto di essere coniugato l’imputato con una cittadina
italiana.
La circostanza in tal modo dedotta non risulta però in alcun modo
provata e parrebbe anzi esclusa dall’origine senza dubbio straniera
della moglie del ricorrente, la quale, secondo quanto si legge nella
motivazione impugnata, risponderebbe al nome di Huskic Snezana.

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