Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32853 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32853 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIUFFRIDA VINCENZO N. IL 10/06/1952 parte offesa nel
procedimento
parte offesa 1-“:17
MIRABELLA GIOVANNA N. IL O
procedimento
GIUFFRIDA AGAT
. IL 17/07/19
rte offesa nel
procedimento
1 1/1984 parte offesa nel procedimento \
GIUF A ANNA N

r

LONGO MINNOLO GRAZIANO FRANCESCO N. IL 02/04/1989
avverso l’ordinanza n. 1777/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
27/01/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
le/sentite le conclusioni del PG Dott. Pic”co o, i-tcceto
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GLvprk’o eLcAt-1/4.c”a~ . 141,04~…

9,•&,Q(2,;(12.
Z/t CAJW •

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 04/06/2014

Ritenuto in fatto

1.

Nell’ambito del procedimento penale promosso nei confronti Longo

Minnolo Graziano Francesco (inizialmente imputato di tentato omicidio in danno
di Giuffrida Anthony e successivamente al decesso di costui, di omicidio), il GIP
del Tribunale di Catania applicava nei confronti del predetto, la misura cautelare
degli arresti dorniciliari.
2.

Proposto appello avverso l’indicato provvedimento cautelare dai

l’adito Tribunale catanese, con ordinanza deliberata il 16 dicembre 2013,
rigettava il gravame.
3.

Non avendo il Procuratore della Repubblica di Catania impugnato

l’indicato provvedimento, Giuffrida Vincenzo, Mirabelia Giovanna, Giuffrida
Agatino e Giuffrida Anna – rispettivamente genitori e fratelli del deceduto – nella
dichiarata qualità di persone offese dal reato, in data 21 gennaio 2014,
presentavano un’istanza al Tribunale del riesame con la quale chiedevano che
venisse disposta la notifica anche al Procuratore Generale della Repubblica
presso la Corte di Appello di Catania dell’ordinanza deliberata il 16 dicembre
2013.
4. Con provvedimento (deliberato de plano) il 27 gennaio 2014, il presidente
del Tribunale del riesame di Catania, rigettava l’istanza, a ragione del rilievo che,
non essendo il procuratore generale presso la Corte d’appello legittimato a
proporre ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi in sede di
riesame e di appello dal tribunale della libertà, almeno secondo l’ormai
prevalente lezione interpretativa dell’art. 311 cod. proc. pen. condivisa da detto
giudice, non vi era alcuna necessità di disporre la notifica a detto organo
dell’ordinanza che aveva definito in grado di appello, non potendo neppure
riconoscersi al Procuratore generale un potere generalizzato di avocazione.
5. Giuffrida Vincenzo, nella dichiarata qualità di persona offesa dal reato,
ricorre, per il tramite del proprio difensore, avverso il provvedimento di rigetto
dell’istanza, in quanto lo stesso sarebbe illegittimo per vizio di motivazione,
ritenendo il ricorrente assolutamente illogico l’assunto secondo cui il Procuratore
Generale, al quale la legge (art. 608 cod. proc. pen.) riconosce il potere di
ricorrere per cassazione contro ogni sentenza di condanna o di proscioglimento
pronunciata in grado di appello o inappellabile, non possa ricorrere contro le
decisioni emesse a norma dell’art. 309 e 310 cod. proc. pen., dovendo al
contrario ritenersi preferibile l’opposta tesi, anche in considerazione
dell’organizzazione gerarchica degli uffici di procura.
6. Con memoria pervenuta il 27 maggio 2014 i difensori dell’imputato Longo
Minnolo Graziano Francesco nell’evidenziare la singolarità dell’istanza delle
1

ceu—

Procuratore della Repubblica di Catania ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen.,

persone offese, la fondatezza del provvedimento di rigetto e, di contro, la
manifesta infondatezza dei motivi d’impugnazione prospettati in ricorso, non
potendo riconoscersi al Procuratore generale presso la Corte d’appello alcuna
legittimazione a proporre ricorso per cassazione avverso i provvedimenti emessi
in sede di riesame e di appello dal tribunale della libertà surrogandosi all’operato
del pubblico di ministero del giudizio di primo grado, spettando allo stesso un
siffatto potere solo nelle ipotesi espressamente previste dalla legge (art. 570

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta da Graziano Francesco è inammissibile.
1.1 Ed invero la richiesta avanzata dalle persone offese dal reato affinché
l’ordinanza deliberata dai giudici di appello ai sensi dell’art. 310 cod. proc. pen.
venisse comunicata non solo al pubblico ministero che ha richiesto l’applicazione
della misura e proposto il gravame (il Procuratore della Repubblica di Catania)
ma anche alraProcuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello
di Catania, legittimamente è stata disattesa dal presidente del tribunale catanese
con il provvedimento impugnato, il quale, per altro, in quanto deliberato, sia
pure implicitamente, ai sensi dell’art. 666 comma 2 cod. proc. pen., avrebbe
dovuto statuire non già il suo rigetto, ma, più correttamente, dichiararne
l’inammissibilità.
1.2 Al riguardo occorre infatti considerare che a fronte di due ormai remote
decisioni (Cass., Sez. I, 25.10.1993, P.M. in proc. Recchia, rv. 196798;
28.1.1994 n. 581, RM. in proc. Gentile) che hanno affermato, per altro
immotivatamente, l’esistenza di un generale potere d’impugnazione de libertate
in capo al procuratore generale presso la corte d’appello, la giurisprudenza di
questa Corte, anche a seguito di un recente intervento delle Sezioni Unite (Sez.
U, n. 31011 del 28/05/2009 – dep. 27/07/2009, P.G. in proc. Colangelo, Rv.
244029), è ormai del tutto univoca nell’affermare l’opposto principio secondo cui
“avverso i provvedimenti adottati dal tribunale del riesame possono proporre
ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 311, comma 1, cod. proc. pen., nel testo
introdotto dall’art. 3 del D.L. 23 ottobre 1996 n.553, convertito con modifiche
nella legge 23 dicembre 1996 n.652, il pubblico ministero presso il detto
tribunale e quello (se diverso) che aveva chiesto l’applicazione della misura, con
esclusione, quindi, del procuratore generale presso la corte d’appello, la cui
legittimazione non potrebbe neppure farsi derivare, per analogia,dal disposto di
cui all’art.608,comma 1, cod. proc. pen., che attribuisce al detto organo soltanto
il potere di ricorrere per cassazione “contro ogni sentenza di condanna o di
proscioglimento pronunciata in grado di appello o inappellabile” (in termini, Sez.
2

cod. proc. pen.), richiedono che ne venga dichiarata l’inammissibilità.

1, n. 266 del 19/01/1998 – dep. 28/02/1998, P.G.in proc. Venturini, Rv. 209849,
Sez. 1, n. 22764 del 22/05/2008 – dep. 06/06/2008, P.G. in proc. Arif, Rv.
239888).
2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del

ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende,
congruamente determinabile in C 1000,00.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente ai pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 4 giugno 2014.

P.Q.M.

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