Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32848 del 04/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32848 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MAZZEO ANTONINO N. IL 25/03/1967
avverso l’ordinanza n. 187/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
21/11/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. fuhIceAu> tk-( <2,w1.0 ■ etJ232_L cAxVkr ■ ce, c)A-f1^-n4- A-‘ ~,t-&-2493",. -€A-rkT ■ pA,,n-11.0 Ottfe"51(, , ) Uditi difensor Avv. (phize - v ` . 014~ Ca2,CU/k101"12-- Ì h_ eceiz_ kR, c- {A,L1-4N° acc,v,e-t' ,5%.frIn bo vete, 1tc-tgr:>

Data Udienza: 04/06/2014

Ritenuto in fatto

Con ordinanza del 21 novembre 2013 il Tribunale di Messina confermava, in
sede di riesame, il provvedimento del G.i.p. della sede che aveva disposto, ai
sensi dell’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992, il sequestro preventivo di una serie di
beni – mobili ed immobili – riconducibili a Mazzeo Antonino inteso “piritta”,
indagato per concorso esterno in associazione mafiosa Cosa Nostra e
segnatamente del sodalizio denominato “dei barcellonesi” (in quanto soggetto

quanto al fumus commisi delicti – inteso come astratta configurabilità di una
delle fattispecie di reato richiamate dall’art. 12 sexies d.l. n. 306/1992 – la
gravità del quadro indiziario a carico del Mazzeo, era stata già compiutamente
illustrata e sottoposta a positiva verifica in sede di riesame della misura
cautelare personale disposta nei confronti del predetto; quanto all’ulteriore
presupposto del periculum in mora –

inteso come presenza di seri indizi di

esistenza delle condizioni legittimanti la confisca – che la configurabilità dello
stesso discendeva, per un verso, dalla rilevante sproporzione esistente tra valore
dei beni sequestrati rispetto al reddito o alle attività economiche dell’indagato;
per altro verso, dalla mancata giustificazione da parte del Mazzeo – malgrado il
deposito di un elaborato peritale – della lecita provenienza dei beni sequestrati
(l’azienda Trasport Line costituita nella forma della società cooperativa, ma di
fatto amministrata dall’indagato; degli immobili siti in Terme di Vigliatore,
intestati alla moglie dell’indagato Foti Antonina; un motociclo; un fuoristrada;
un’auto sportiva, un cabinato di dieci metri; un motoscafo in legno di cinque
metri – beni tutti intestati alla moglie, Foti Antonina; rapporti bancari e titoli
intestati al Mazzeo ed ai suo familiari).

2. Avverso il citato provvedimento ha proposto ricorso per cassazione,
tramite il difensore di fiducia, nelle qualità di indagato, Mazzeo Antonino,
prospettando due motivi d’impugnazione.
Con il primo motivo sì denunzia, sotto il profilo dell’erronea applicazione
della legge penale, l’insussistenza dei presupposti che legittimavano l’adozione di
un provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca.
A tal fine in ricorso si sostiene, in primo luogo, che essendo stato il
provvedimento cautelare reale emesso sul presupposto che il Mazzeo fosse un
intraneo alla famiglia mafiosa barcellonese e che l’ingiustificato accumulo in capo
allo stesso di possidenze monetarie, mobili ed immobili, dovesse attribuirsi alla
sua adesione all’organizzazione criminosa, una volta riqualificata la condotta
dell’indagato come concorso esterno, per confermare il sequestro, i giudici del
riesame avrebbero dovuto esplicitare gli “elementi dimostrativi della congruenza
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assai vicino a Filippo Barresi, figura apicale di quel sodalizio), sul rilievo che,

dell’ipotesi di reato rispetto ai fatti cui si riferisce la misura del sequestro”,
ovvero, più specificamente, le “emergenze sintomatiche” da cui desumere, sia
pure in via indiziaria, che il ricorrente Mazzeo avesse tratto benefici economici di
natura illecita dalla sua “contiguità” ovvero che l’impresa allo stesso riconducibile
possedesse i connotati di una ditta “mafiosa” o paramafíosa.
Orbene, si fa rilevare in ricorso, nell’ordinanza impugnata manca una siffatta
indicazione, in quanto nessuno dei collaboratori che accusano il Mazzeo ha mai
riferito che le attività imprenditoriali riconducibili all’indagato fossero riferibili o

dall’indagato avessero matrice illecita, né gli ulteriori indizi raccolti
(intercettazioni deposizioni) corroborano tale eventualità.
A fronte di tale assoluta assenza di elementi dimostrativi della congruenza
dell’ipotesi di reato – affermata dai giudici messinesi con motivazioni solo
apparenti – nel ricorso si fa rilevare come l’indagato, di contro, abbia assolto
all’onere di allegazione che su di lui gravava, fornendo la prova positiva non solo
della liceità dell’attività d’impresa ma vieppiù dell’assenza di sproporzione alcuna
tra i redditi percepiti e le possidente accumulate, rimarcando al riguardo come a
fronte di indagini patrimoniali espletate da organi investigati (ROS Carabinieri)
ritenuti non particolarmente qualificati a compiere una siffatto accertamento di
natura finanziaria, la consulenza di parte, adeguatamente supportata anche da
copiosa documentazione, aveva dimostrato come la predetta indagine, oltre ad
incorrere in vizi metodologici, specie nella determinazione dell’ammontare
complessivo delle spese necessarie per il decoroso sostentamento del nucleo
familiare dell’indagato, ha proceduto per un verso, ad espungere dalle “entrate”
computabili o comunque a svalutare l’ammontare di specifiche voci documentate
(emolumenti pensionistici; indennizzi assicurativi; proventi dell’attività
florovivaista) tenendo conto solo dei redditi dichiarati, senza considerare
l’ammontare dei “proventi in nero” sebbene documentati in quanto oggetto di
accertamenti operati dall’Agenzia delle Entrate; dall’altro ha ipervalutato il valore
dei beni assoggettati a sequestro, soprattutto quello del cespite acquisito
nell’anno 2006.
Con un secondo motivo si denunzia, infine, vizio di motivazione, solo
apparente ed apodittica, nel senso che, ad avviso del ricorrente, i giudici del
riesame, a tutto concedere, avrebbe dovuto comunque ridurre il sequestro
preventivo, al solo importo di C 24.386,34, che in base agli analitici conteggi
della consulenza di parte rappresenta l’ammontare dello sbilancio tra entrate ed
uscite, registratosi nel solo anno 2008, e per altro ampiamente “compensato”
dall’ammontare degli attivi registrati nei dieci anni precedenti.

Considerato in diritto
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contigue al sodalizio criminale o che le possidente (mobili ed immobili) introitate

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Antonino Mazzeo è
inammissibile, in quanto basata su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità
e comunque manifestamente infondati.
1.1 Deve premettersi che la giurisprudenza di legittimità unanime è
orientata nel senso che le condizioni generali per l’applicabilità delle misure
cautelari personali, indicate nell’art. 273 cod. proc. pen., non sono estensibili,
per la loro peculiarità, alle misure cautelari reali (Cass., Sez. Un., 25 marzo
1993, Gifuni, rv. 193117): l’indirizzo è stato confermato dalla Corte

combinato disposto degli artt. 321 e 324 cod. proc. pen., in riferimento agli artt.
24, 97, 42 e 111 Cost. – ha chiarito che la scelta di non riprodurre per le cautele
reali gli stessi presupposti indicati nell’art. 273 cod. proc. pen. per le misure
cautelari personali “non può ritenersi in sé contrastante con l’art. 24 Cost.,
essendo graduabili fra loro i valori che l’ordinamento prende in considerazione:
da un lato, l’inviolabilità della libertà personale e, dall’altro, la libera disponibilità
dei beni, che la legge ben può contemperare in funzione degli interessi collettivi
che vengono ad essere coinvolti” (Corte cost., 17 febbraio 1994, n. 48). Ne
segue che il sequestro preventivo della legge n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies,
pur essendo munito di particolari connotazioni che indubbiamente incidono sulla
disciplina legale, non presuppone l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui
all’art. 273 cod. proc. pen., relativamente al delitto contestato, alla cui
successiva condanna è inderogabilmente legata la confisca obbligatoria alla quale
il sequestro stesso è strumentale.
1.2 Ciò posto, le Sezioni Unite Penali hanno indicato la peculiarità della
disciplina posta dal citato art. 12 sexies nel fatto che la confisca di cui al D.L. n.
306 del 1992, art. 12 sexies va disposta anche in relazione a beni per cui non
consti il nesso di pertinenza causale e temporale con i reati ivi previsti o con
altre attività delittuose della persona condannata (Cass., Sez. Un., 17 marzo
2003, Montella). Riprendendo tale spunto interpretativo, è stato recentemente
chiarito che la confisca prevista dal D.L. n. 306 del 1992, art. 12 sexies, conv.
nella legge n. 356 del 1992, ha struttura e presupposti diversi da quella
ordinaria, in quanto, mentre per quest’ultima assume rilievo la correlazione tra
un determinato bene e un certo reato, nella prima viene in considerazione il
diverso nesso che si stabilisce tra un patrimonio ingiustificato e una persona nei
cui confronti sia stata pronunciata condanna o applicata la pena patteggiata per
uno dei reati indicati nell’articolo citato; ne consegue che, ai fini del sequestro
preventivo di beni confiscabili a sensi di tale articolo, è necessario accertare,
quanto al fumus commissi delicti, l’astratta configurabilità, nel fatto attribuito
all’indagato, di uno dei reati in esso indicati e, quanto al periculum in mora, la
presenza di seri indizi di esistenza delle medesime condizioni che legittimano la
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costituzionale, che – in relazione alla questione di legittimità costituzionale del

confisca, sia per ciò che riguarda la sproporzione del valore dei beni rispetto al
reddito o alle attività economiche del soggetto, sia per ciò che attiene alla
mancata giustificazione della lecita provenienza dei beni stessi (Cass., Sez. 1^,
14 gennaio 2009, Barrazzo, rv. 243544).
Cade in errore, quindi, il ricorrente, allorquando, con riferimento alla mutata
qualificazione giuridica della condotta addebitata al Mazzo (concorso esterno),
denuncia l’assenza di adeguata motivazione relativamente alla configurabilità del

fumus commisi delicti, nel senso che i giudici del riesame avrebbero dovuto

Mazzeo abbia tratto benefici economici di natura illecita dalla sua “contiguità”.
Ed invero, come già precisato, il fumus attiene alla “congruenza dell’ipotesi
di reato”, id est alla configurabilità astratta del concorso esterno; dato questo già
positivamente verificato, come correttamente precisato dai giudici del riesame,
in sede di conferma (ormai definitiva) della legittimità della misura cautelare
personale.
Orbene, premesso che l’art. 325 cod. proc. pen., comma 1, limita
l’ammissibilità del ricorso per cassazione contro le decisioni di riesame e di
appello in materia di sequestro al solo motivo della violazione di legge,
escludendo la deducibilità dei vizi della motivazione riconducibili nella illogicità
manifesta di cui all’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), va rilevato che il
tribunale del riesame, dopo avere ravvisato il requisito della gravità indiziaria
giustificativa dell’applicazione della misura cautelare personale per i reati
contestati all’indagato, ha accuratamente valutato gli esiti degli accertamenti
patrimoniali eseguiti nei confronti del Mazzeo, della moglie e degli altri
componenti del nucleo familiare, ponendo a raffronto, con precise e specifiche
argomentazioni, il valore dei singoli cespiti e l’ammontare dei rispettivi redditi
dichiarati a far data dal 1994: l’esame comparativo di tali dati contabili ha posto
in luce l’esistenza di una netta sproporzione tra le rispettive capacità reddituali e
i beni posseduti (immobile intestato alla moglie, titoli e giacenze monetarie
depositate presso gli istituti di credito; effettivo controllo di una società
cooperativa; auto di lusso, motoscafi, scooter, ecc.), di guisa che devono
ritenersi senz’altro dimostrate le condizioni alle quali la legge subordina il tipo di
sequestro in questione.
Pertanto, poiché nel tessuto argomentativo dell’ordinanza impugnata non è
riscontrabile il vizio di violazione di legge, ed ì motivi di ricorso si limitano a
riproporre, sostanzialmente, deduzioni già disattese dai giudici di appello con
adeguata e congrua motivazione, il ricorso deve essere senz’altro dichiarato
inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
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“esplicitare” le emergenze … da cui desumere , sia pure in via indiziaria, che il

esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende,
congruamente determinabile in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2014.

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