Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32840 del 09/06/2016

Penale Ord. Sez. 7 Num. 32840 Anno 2016
Presidente: ROTUNDO VINCENZO
Relatore: CALVANESE ERSILIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza n. 857/2013 CORTE APPELLO di TRIESTE, del
11/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ERSILIA CALVANESE;

Data Udienza: 09/06/2016

42527/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. A.A. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza del
11 febbraio 2015 con la quale la Corte di appello di Trieste ha confermato la
sentenza di condanna emessa nei suoi confronti per il reato di cui all’art. 372
cod. pen.
Nell’atto di ricorso deduce il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
responsabilità penale e la violazione dell’art. 62 bis cod. pen.

2. Il ricorso è originariamente inammissibile, in quanto propone censure non
consentite in sede di legittimità e comunque manifestamente infondate.
Quanto al primo motivo, il ricorrente propone invero una diversa lettura, a
suo avviso più verosimile, delle risultanze processuali, che è censura
notoriamente preclusa in sede di legittimità.
La Corte di appello ha adeguatamente fornito risposta alle deduzioni
difensive, con una trama argomentativa priva di vizi giuridici o logici.
In particolare, va rammentato, in tema di intercettazioni di conversazioni o
comunicazioni, che è principio consolidato che l’interpretazione del linguaggio
adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato,
costituisce questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la
quale, se risulta logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si
sottrae al sindacato di legittimità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv.
263715).
Nella specie, la Corte territoriale ha dato della frase captata un significato
tutt’altro che illogico (assunzione di stupefacente da parte della persona lì
presente), visto che, nella stessa, Colavitto faceva chiaramente riferimento al
motivo del malore che aveva interessato la persona che sì era «sfamato» a casa
sua (« è collassato, non lo so se magari mi è andato in overdose»).
La Corte di appello ha inoltre evidenziato i plurimi e convergenti elementi a
carico dell’imputato, costituiti, oltre alla suddetta captazione, dalle precedenti
informazioni rese alla p.g. dallo Zingone nell’immediatezza dei fatti sia da quanto
accertato nel procedimento penale a carico del Colavito, definito con sentenza
irrevocabile (pertanto utilizzata, in linea con la giurisprudenza consolidata, tra le
tante, Sez. 1, n. 4704 del 08/01/2014, Adamo, Rv. 259414, non come elemento
di prova autosufficiente, ma corroborato da altri elementi di prova che lo
confermino).
Quanto al secondo motivo, le censure sono manifestamente infondate. La
sentenza impugnata ha motivato il diniego delle attenuanti generiche su due

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presupposti: la esistenza di precedenti penali (all’imputato, come premesso, è
stata contestata la recidiva) e la negativa condotta processuale dell’imputato,
improntato a reticenza e ambiguità.
Va ribadito il consolidato principio secondo cui ai fini del riconoscimento
delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se
faculta l’imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò
solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione
del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare

indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito (Sez. U, n. 36258 del
24/05/2012, Biondi, Rv. 253152).
Neppure censurabile è la motivazione in ordine ai precedenti penali, posto
che gli stessi possono costituire, nell’insindacabile apprezzamento del giudice di
merito, ragione adeguata per la esclusione delle attenuanti generiche.
Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e al
pagamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di
esonero, della somma ritenuta equa di euro 2.000 a titolo di sanzione pecuniaria.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 2.000 in favore delle cassa delle ammende.
Così deciso il 09/06/2016.

la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione è

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