Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32823 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32823 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA
sul ricorso proposto dal Pubblico ministero, in persona del sostituto
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma,
avverso l’ordinanza emessa in data 24/12/2013 dal Tribunale di Roma,
nei confronti di
Francesco CARRIERI, nato a Savona il 1°/7/1983.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Giovanni D’Angelo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

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Data Udienza: 27/05/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Roma, investito ex art. 310 cod.
proc. pen., annullava l’ordinanza con cui, in data 28 settembre 2013, il Tribunale
chiamato a decidere sul merito aveva sostituito la misura degli arresti domiciliari
applicata a Francesco Carrieri per i delitti di devastazione e saccheggio commessi
il 15.10.2011, con la misura della custodia cautelare in carcere, e ripristinava per
l’effetto la misura cautelare attenuata.
A ragione premetteva che gli arresti domiciliari erano stati applicati dal

coabitavano o che assistevano l’imputato, ma in data 14.2.2014 il divieto era
stato definitivamente revocato. Ciò nonostante il giudice della cognizione, con
l’ordinanza del 28.9.2013, aveva ritenuto di dovere disporre l’aggravamento
della misura sulla base dell’informativa dei Carabinieri che in data 21.9.2013
avevano accertato la presenza, nell’abitazione dell’imputato, di alcune persone
gravate da precedenti di polizia e pendenze penali analoghe a quelle del Carrieri.
Con successiva ordinanza, in data 2.10.2013 (avverso la quale era pure stato
proposto appello, riunito a quello in esame ma successivamente fatto oggetto di
rinuncia), il medesimo giudice della cognizione aveva quindi respinto la richiesta
di attenuazione della misura più afflittiva sul rilievo che – a prescindere dalla
sussistenza o meno del divieto di frequentazione di estranei – i rapporti
intrattenuti, in particolare con tale Surico, appartenente alla stessa area di
antagonismo politico, incrementavano il rischio di recidiva.
Tanto posto, il Tribunale dell’impugnazione cautelare osservava che il divieto
di frequentare estranei non rientrava tra le prescrizioni e i divieti posti, in via
generale, dall’art. 284 cod. proc. pen. e dunque, poiché il Carrieri non aveva
violato gli obblighi e le prescrizioni impostigli con la misura, gli arresti domiciliari
non andavano sostituiti con la misura carceraria ex art. 276, commi 1 e 1-ter,
cod. proc. pen. E non poteva neppure condividersi quanto era stato osservato
con la citata ordinanza del 2 ottobre, circa il fatto che la misura sarebbe stata
aggravata anche in ragione della dimostrata inidoneità della misura a
fronteggiare le aggravate esigenze cautelari: l’aggravamento era stato difatti
espressamente disposto per una solo motivo, la violazione del divieto
(inesistente) d’incontro, di modo che, così argomentando il giudice della
cognizione (pur non indicando la norma di riferimento) aveva operato una sorta
di autonoma valutazione ex art. 299, comma 4, cod. proc. pen.: non consentita
se non altro perché non preceduta da specifica richiesta in tal senso del Pubblico
ministero.
2. Ha proposto ricorso il Pubblico ministero, chiedendo l’annullamento del
provvedimento impugnato per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione, nonché per violazione di legge.
2.1. Sostiene, in primo luogo, che erroneamente il Tribunale aveva fatto
esclusivo riferimento all’art. 276, comma 1-bis, cod. proc. pen., che non veniva
in considerazione nel caso in esame, anziché al comma 1 del medesimo articolo,
che pure consentiva, discrezionalnnente, l’aggravamento della misura e non
.
2

Giudice per le indagini preliminari con ordinanza in data 15.11.2012, nella quale
si prevedeva altresì il divieto di comunicare con persone diverse da quelle che

soltanto per le violazioni agli obblighi concretamente esplicitati, bensì anche per
quelle inerenti al “contenuto intrinseco della misura”, tra cui non potrebbe non
rientrare quello concernente il divieto di incontrare e ospitare soggetti segnalati
per molteplici precedenti e pendenze, specie se della stessa natura del reato per
il quale è stata disposta misura. E, al proposito, correttamente il Tribunale del
merito aveva rilevato che la violazione, gravissima, assumeva toni inquietanti
considerate le pendenze, ben venti, del Surico, per reati analoghi a quelli
contestati al Carrieri, mentre erroneamente l’ordinanza impugnata aveva
ritenuto che la qualità delle visite ricevute dal Carrieri non aveva “vita
erroneamente, perciò, il provvedimento impugnato aveva asserito che nel
provvedimento del 2 ottobre il Tribunale del merito aveva impropriamente fatto
riferimento alla rilevata inadeguatezza della misura, sostenendo che
sembravaavesse deciso ex art. 299, comma 4, cod. proc. pen., quando era
invece evidente che quella pronunzia si riferiva semplicemente ad una istanza
avanzata ai sensi del comma 3 dell’art. 299, dallo stesso imputato.
2.1. Afferma, in secondo luogo, che erroneamente il giudice dell’appello
cautelare aveva focalizzato la propria attenzione esclusivamente sull’art. 276
cod. proc. pen., giacché, secondo la giurisprudenza di legittimità, il giudice di
merito investito della richiesta del Pubblico ministero di aggravamento della
misura non può limitarsi a rigettarla a causa dell’erroneo richiamo normativo, ma
è tenuto a verificare se la violazione della misura, unitamente agli altri elementi
eventualmente dedotti, ha comportato un aggravamento delle esigenze cautelari.
Sicché il Tribunale del riesame non avrebbe potuto in nessun caso limitarsi ad
annullare il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari, ma avrebbe
dovuto integrarlo, sostituendo la sua decisione a quella viziata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che la censura con cui si lamenta l’erroneo riferimento
esclusivamente al comma 1-ter dell’art. 276 cod. proc. pen. e l’omessa
considerazione, ai sensi del comma 1 del medesimo articolo, della violazione di
obblighi che sarebbero connaturati alla misura, è manifestamente infondata.
Anzitutto, non è affatto esatto che il Tribunale del riesame abbia fatto
riferimento soltanto alle condizioni dell’art. 276, comma i-ter, cod. proc. pen. Al
contrario ha, del tutto correttamente, rilevato che l’aver incontrato in casa un
soggetto asseritamente pregiudicato per altri analoghi reati non integrava, una
volta revocato il divieto di incontro, violazione alcuna agli obblighi e alle
prescrizioni inerenti la misura, che dunque non poteva essere sostituita con altra
più grave né a norma del comma i-ter né a norma del comma 1 dell’art. 276
cod. proc. pen..
Nessun fondamento, quindi, ha la tesi del ricorrente, secondo cui ai sensi e
per gli effetti dell’art. 276 citato, nella nozione di violazione alle prescrizioni
rientrerebbero non solo le inosservanze agli obblighi espressamente previsti, ma
altresì tutte le condotte, per così dire, elusive della finalità stessa cautelare che
assiste la misura applicata.
L’art. 276 istituisce un’ipotesi tipicamente sanzionatoria afferente lo status

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autonoma”, ma fungeva da qualificazione della gravità della violazione. Ancora

libertatis, che addirittura prescinde, secondo la giurisprudenza, dalla richiesta del
Pubblico ministero. Per conseguenza, a fronte della inequivoca formulazione
normativa che – a differenza da quella dell’art. 299, comma 4, cod. proc. pen. riconnette la sanzione a certi comportamenti tipici, la pretesa d’allargamento a
forme innominate o a condotte non specificamente richiamate si pone in
contrasto sia con la lettera della norma sia con il principio di tassatività (che in
materia sanzionatoria, specie se incidente sulla libertà personale, impone una
adeguata tipizzazione dell’illecito).
2. Quanto alla deduzione concernente l’asserita necessità che il Tribunale
299, comma 4, cod. proc. pen. e l’asserita esistenza di ragioni per
l’aggravamento della misura cautelare, va premesso, in fatto, che dagli atti
risulta che la richiesta del Pubblico ministero a seguito della quale è stata
emessa l’ordinanza di aggravamento della misura cautelare, oggetto di riforma
con il provvedimento qui impugnato, era stata vergata, a mano, in calce alla
relazione dei carabinieri di Varazze datata 12.9.2013, ed era del seguente
letterale tenore: «V° il PM chiede l’aggravamento della misura ravvisandosi le
condizioni di cui all’art. 276 col cpp. Roma 25.9.2013», seguito da firma.
Non è dunque neppure evocabile, nella situazione in esame, quella
giurisprudenza non recente – condivisibile o meno che la si voglia ritenere – che
sostiene che il giudice investito della richiesta di aggravamento della misura ex
art. 276 cod. proc. pen. non può limitarsi a rigettare la richiesta in base
all’erroneo riferimento normativo, ma deve valutare se la violazione della misura
degli arresti domiciliari, unitamente agli altri elementi eventualmente dedotti,
abbia effettivamente comportato l’aggravamento delle esigenze cautelari, con
conseguenze anche rispetto al principio di adeguatezza della misura previsto
dall’art. 274 cod. proc. pen,. e deve nel caso positivo aggravare detta misura
(Sez. 3, n. 1577 del 28/04/1999, Delia, Rv. 213993; Sez. 6, n. 31074 del
14/06/2004, Battaglia, Rv. 229501). In tanto sarebbe consentito, infatti, parlare
di erroneo riferimento normativo e di riqualificazione della domanda, in quanto il
contenuto della stessa permettesse di riferirla ad altra fattispecie processuale.
Cosa che nel caso in esame era in radice da escludere, attesa la consistenza
della richiesta del Pubblico ministero, che si risolveva nel solo richiamo
normativo.
D’altronde, a voler considerare elementi sostanziali oltre che meramente
formali, non può dimenticarsi che mentre per il caso in cui ricorra un
aggravamento delle esigenze cautelari il comma 4 dell’art. 299 cod. proc. pen.
prevede la sostituzione o, in alternativa, la mera applicazione con modalità più
gravose della misura, l’art. 276 regola il solo caso di aggravamento. Non si vede
dunque in base a quale criterio e sulla scorta di quali principi (contrastanti con i
dettami dell’art. 275 cod. proc. pen. e con il canone delle restrizione in carcere
come extrema ratio, dunque della minore restrizione cautelare possibile) si
sarebbe dovuto secondo il ricorrente necessariamente sostituire la misura degli
arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere per esigenze che ben
avrebbero potuto essere eventualmente soddisfatte con il semplice ripristino di
una prescrizione di non frequentare soggetti estranei, se vi fosse stata una

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verificasse (anche d’ufficio) la possibilità di riqualificare l’istanza ai sensi dell’art.

richiesta puntuale in tal senso.
4. In conclusione, il ricorso non può che essere rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2014

Il Consigliere estensore

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