Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32812 del 27/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32812 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI TOMASSI MARIASTEFANIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da Marcella VENTURINI, nata a Corzano il 2/7/1960,
avverso l’ordinanza emessa in data 15/1/2013 dalla Corte d’appello di
Brescia.
Visti gli atti, il provvedimento denunziato, il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere M.Stefania Di Tornassi;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Sante Spinaci, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con l’ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Brescia – decidendo
quale giudice dell’esecuzione sull’opposizione proposta da Mariella Venturini confermava il provvedimento con cui, in data 8.6.2011, la medesima Corte aveva
respinto la istanza avanzata dalla opponente, volta alla restituzione delle somme
e dei titoli esistenti sui conti intestati al convivente Giuseppe Panzera, “già
Giuseppe FINAZZI”, ed a questo confiscati ex art. 240 cod. pen. con la sentenza
di condanna per il reato di associazione per delinquere e per reati fiscali
commessi tra il 1997 e il 2001, divenuta irrevocabile il 30.4.2010.

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Data Udienza: 27/05/2014

A ragione, la Corte premetteva che nell’ordinanza opposta si era rilevato che
spettava al terzo dimostrare la proprietà del denaro e dei titoli versati sui conti
correnti, non essendo sufficiente la sola intestazione formale del rapporto
bancario e che la Venturini neppure aveva fornito prova di essere intestataria dei
conti, ad eccezione di quello cointestato con il convivente condannato, al n.
20.973/21. Mancava in ogni caso la prova che la Venturini fosse effettivamente
proprietaria delle somme versate, tenuto conto che l’attività lavorativa della
donna (prima parrucchiera, successivamente gestrice di un bar tabaccheria)
aveva prodotto redditi estremamente modesti; che non risultava che la somma
di 90 milioni di lire, ricavata dalla vendita del bar, fosse stata effettivamente
correnti di cui si chiedeva la restituzione; che, infine, anche il conto titoli n.
20.973/21, cointestato, era “appoggiato” a un conto corrente intestato al suo
convivente, e da questo conto proveniva il denaro usato per l’acquisto di titoli ed
obbligazioni, avvenuto in periodi coincidenti con quelli di commissione dei reati,
ed era inoltre evidente la sproporzione tra le capacità reddituali della Venturini e
il saldo attivo di detto conto n. 3516/24 pari all’importo di L. 236.246,28.
A fronte delle deduzioni dell’opponente, osservava quindi che correttamente
era stato posto a carico della opponente l’onere di dimostrare i diritti vantati sui
beni confiscati, a norma dell’art. 240 cod. pen., tanto più che, come detto, non
risultava formalmente intestataria dei conti ad eccezione di quello al n.
20.973/21 che, benché cointestato, accedeva a conto corrente di cui era titolare
esclusivamente il convivente. Quanto alla documentazione prodotta dalla
opponente, la stessa dimostrava soltanto lo svolgimento di attività lavorative
sino all’anno 1990, con redditi peraltro estremamente modesti; e il riferimento
alla entità di detti redditi, lungi dall’indicare una sorta di equiparazione dell’onere
probatorio posto a carico della ricorrente a quello richiesto nell’ipotesi dell’art.
12-sexies d.l. n. 306/1992, costituiva semplicemente ulteriore conferma della
impossibilità di ritenere appartenenti alla istante le somme e i valori pretesi.
Infine, la opponente, da un lato non aveva in alcun modo contestato il rilievo che
il conto titoli n. 201973/21 era comunque “appoggiato” al conto corrente n.
3516/24 intestato unicamente al convivente; dall’altro, neppure nel giudizio di
opposizione aveva in alcun modo dimostrato che la somma di 90 milioni di lire,
da lei asseritamente ricavata dalla vendita del bar tabaccheria, fosse stata
versata su uno dei conti correnti in questione.
2. Ricorre Mariella Venturini a mezzo del difensore e procuratore speciale,
avvocato Giambattista Scalvi, che chiede l’annullamento dell’ordinanza
impugnata denunziando violazioni di legge, sostanziale e processuale, con
particolare riferimento all’art. 240 cod. pen.; illogicità e contraddittorietà della
motivazione in ordine all’onere della prova posta a carico del terzo interessato e
in ordine alla sussistenza delle condizioni per il mantenimento della confisca;
mancato esame della documentazione difensiva.
Ricapitolata brevemente la vicenda, con l’indicazione dei 30 conti correnti e
titoli cui afferiva la richiesta di restituzione, sostiene in particolare che
l’ordinanza impugnata, come quella opposta, aveva sostanzialmente ed
erroneamente posto a carico della ricorrente un onere probatorio equiparabile a

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incassata dalla ricorrente e, comunque, fosse stata versata su uno dei conti

quello imposto per la confisca ai sensi dell’art. 12-sexies d.l. n. 306 del 1992;
che l’addebito alla Venturini di aver conseguito redditi non adeguati era del tutto
incompatibile con la natura della confisca e della richiesta di restituzione in
esame; che parimenti inconferenti erano i criteri di proporzionalità e di
“risalenza” temporale evocati; che non si era adeguatamente compreso e
considerato che le allegazioni difensive avevano lo scopo di evidenziare la
estraneità della ricorrente ai reati per i quali il compagno era stato condannato
nonché la sua effettiva partecipazione alla produzione del reddito familiare, a far
data dal 1988, a fronte di condotte illecite poste in essere dal convivente solo a

della somma ricavata erano da ritenere del tutto infondate a fronte della
documentazione prodotta, costituita, da un lato dalla comunicazione ufficiale del
monopolio dello Stato che accettava la cessione dell’attività, dall’altro dalle
ricevute bancarie ancora in possesso della ricorrente e allegate alle istanza; che,
nell’ottica evidenziata, la circostanza che il conto titoli cointestato fosse
appoggiato su conto corrente intestato al solo convivente addirittura confortava
l’allegazione difensiva della sostanziale indifferenziazione degli apporti
patrimoniali dei due conviventi; che era d’altra parte imprecisa l’affermazione
che il conto corrente n. 3516/24 fosse intestato esclusivamente al convivente,
giacché esso, aperto nel 1974 e arricchito di versamenti progressivi e già
significativi nel 1997, era stato utilizzato come mero conto corrente di appoggio
per i fondi di investimento intestati ad entrambi; che assolutamente impertinente
era quindi la valutazione sull’entità delle somme attualmente versate sui conti,
peraltro arbitrariamente effettuata senza alcuna analisi della riferibilità di tali
provviste a movimentazioni connesse all’attività illecita e, come detto,
assumendo un canone di giudizio legato all’inadeguatezza reddituale dell’istante,
che sarebbe stato giustificato solo nel caso di contestazione di interposizione
fittizia: senza insomma in alcun modo considerare la titolarità e la partecipazione
della Venturini alle provviste economiche della famiglia in tempi estranei ed
antecedenti al reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Osserva il Collegio che il ricorso ripropone doglianze alla quale la Corte ha
già adeguatamente risposto, non considera e nulla oppone, nella sostanza, agli
argomenti decisivi da questa utilizzati per respingere la richiesta della ricorrente,
e insiste in ogni caso su argomentazioni manifestamente infondate, apparendo
per tali ragioni sotto ogni profilo inammissibile.
2. Più nel dettaglio, basterà ricordare, anzitutto, che è principio consolidato
che il terzo rimasto estraneo al giudizio penale conclusosi con confisca non può
chiedere che sia rivalutato il fondamento della confisca (Sez. 1, Sentenza n.
47312 del 11/11/2011, Lazoi, Rv. 251415), ma può reclamare con incidente di
esecuzione la proprietà dei beni confiscati, ed è in tal caso tenuto a provare,
oltre all’estraneità al reato e alla buona fede, la titolarità del diritto vantato (v.,
tra molte Sez. 1, n. 34019 del 13/06/2001, Carlà, Rv. 219753, e da ultimo, Sez

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partire dagli anni 2000 – 2001; che le perplessità manifestate dalla corte di
merito in ordine all’effettiva cessione delle attività bar-tabacchi e al versamento

3, n. 9579 del 17/01/2013, Longo, Rv. 254749).
Improponibile in diritto, oltre che in fatto manifestamente infondata e
assolutamente generica, è dunque la doglianza che la Corte di appello non si
sarebbe curata di verificare la riferibilità dei beni confiscati ai reati per i quali la
confisca era stata disposta.
3. Quanto al problema della titolarità dei valori versati in conti bancari,
correnti o di deposito titoli, altrettanto consolidato è il principio che l’art. 1854
cod. civ. regola esclusivamente il rapporto con la banca, mentre i rapporti interni,
tra correntisti, sono disciplinati dall’art. 1298 cod. civ., secondo cui si presume la
Sicché, correttamente la Corte di appello ha osservato che, dal momento
che dei molti conti di cui la ricorrente rivendicava la comproprietà, uno solo
risultava cointestato alla ricorrente, e anche quest’ultimo, un conto titoli, non
solo era appoggiato su un conto corrente intestato esclusivamente al convivente,
ma risultava foraggiato, per l’acquisto dei titoli (avvenuto – si sottolinea – in
epoca coincidente con quello di commissione dei reati) esclusivamente con
denaro proveniente dal conto corrente del convivente, doveva escludersi la
legittimità della pretesa della Venturini, che nessuna ulteriore dimostrazione
concludente aveva fornito della discrasia tra intestazioni dei conti e formale
provenienza delle provviste e sostanziale titolarità delle somme.
E a tale osservazione, assorbente e decisiva, il ricorso non oppone nulla di
concreto e specifico.
4.

Manifestamente infondata è quindi la doglianza relativa al canone di

giudizio adottato, asseritamente attagliantesi all’ipotesi di interposizione fittizia
piuttosto che alla misura di sicurezza in esame, perché, come ha già replicato la
Corte di merito, le considerazioni svolte sulla incapacità reddituale della
ricorrente sono state rese, potrebbe dirsi per scrupolo, al fine di verificare sotto
ogni aspetto la plausibilità della tesi difensiva della non formale ma sostanziale
appartenenza, almeno in parte, dei beni, in quanto riconducibili al lavoro della
ricorrente e al contributo da lei offerto al bilancio familiare. La quale cosa rende
anche generica la censura, perché la stessa non si pone in reale correlazione con
la motivazione del provvedimento impugnato.
5. Del pari generica è, da ultimo, la censura che si riferisce alla prova della
vendita del bar tabaccheria e all’affermato ricavo da essa di 90 milioni di lire. Il
provvedimento impugnato non esclude il fatto, ma osserva che non vi è alcuna
prova che quel denaro sia stato versato sui conti intestati esclusivamente al
Finazzi – Pansera, di cui si reclama la comproprietà (e non invece impiegato, o
versato, altrimenti).
6. All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e per i profili di colpa correlati all’irritualità dell’impugnazione (C. cost. n. 186 del
2000) – di una somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000.

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eguale appartenenza ai cointestatari, salvo che non risulti altrimenti.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma il 27 maggio 2014

Il Consigliere estensore

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