Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32806 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32806 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: ROCCHI GIACOMO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CORVI GABRIELE N. IL 18/08/1975
avverso l’ordinanza n. 84/2013 GIP TRIBUNALE di PIACENZA, del
15/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
lette/s,vrtite le conclusioni del PG Dott.
~

Udit i dife

Avv.;

Data Udienza: 07/05/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Piacenza, in funzione di giudice dell’esecuzione, con
ordinanza del 15-16/5/2013 rigettava l’istanza di Gabriele Corvi di
riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati ex artt. 474 e 648 cod.
pen. commessi nel periodo 2000 – 2003, già riuniti per continuazione con
precedente ordinanza, e i reati ex artt. 474 e 648 cod. pen. oggetto della
sentenza di applicazione della pena del G.U.P. del Tribunale di Piacenza del
9/1/2013.

commessi il 28/11/2012 e che, anche volendo accedere alla tesi difensiva di una
consumazione anteriore al momento dell’accertamento, non era possibile risalire
a molti anni prima, così da poterli considerare contigui a quelli commessi fino al
2003.

2. Ricorrono per cassazione i difensori di Gabriele Corvi, sottolineando che,
nella richiesta, era stato evidenziato che le condotte poste in essere
riguardavano sempre la ricettazione di abbigliamento contraffatto da parte degli
stessi soggetti (il Corvi e il padre, deceduto nell’ottobre 2012) e nello stesso
luogo (il capannone dell’azienda); che Corvi era stato incriminato anche per altri
episodi intermedi a quelli oggetto della richiesta di continuazione; che, infine, la
data di consumazione del reato oggetto dell’ultima sentenza poteva essere fatto
retroagire di alcuni anni.
La decisione impugnata, che valorizzava il mero dato cronologico, violava
l’art. 671 cod. proc. pen.: era, infatti, evidente che, avendo Gabriele Corvi
smerciato insieme al padre merce contraffatta in quel capannone fin dal 2000, la
decisione di agire illecitamente adottata in occasione del primo episodio non si
era mai interrotta.
Il ricorrente, inoltre, deduce vizio della motivazione per non avere il giudice
valutato la documentazione prodotta dal richiedente e, in particolare, i tre
sequestri di abbigliamento contraffatto operati nel medesimo capannone nel
2005, nel 2006 e nel 2010, episodi che interrompevano lo iato tra i reati
definitivamente giudicati.
Il ricorrente conclude per l’annullamento con rinvio dell’ordinanza
impugnata.

3.

Il Procuratore Generale, nella requisitoria scritta, conclude per la

declaratoria di inammissibilità del ricorso per manifesta infondatezza.

2

Il Giudice rilevava che i predetti reati – secondo l’imputazione – risultavano

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

Il ricorrente propugna un concetto di continuazione differente da quello
disegnato dall’art. 81 comma 2, cod. pen..
In effetti, l’unicità del disegno criminoso necessaria per il riconoscimento
della continuazione tra i reati e per la sua applicazione in fase esecutiva non può

comunque con una scelta di vita che implica la reiterazione di determinate
condotte criminose: le singole violazioni devono costituire parte integrante di un
unico programma deliberato nelle linee essenziali per conseguire un determinato
fine (Sez. 2, n. 18037 del 07/04/2004 – dep. 19/04/2004, Tuzzeo, Rv. 229052;
Sez. 1, n. 6553 del 13/12/1995 – dep. 02/02/1996, Bagnara, Rv. 203690); di
conseguenza, la ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per
sé il caratteristico elemento intellettivo che caratterizza il reato continuato. (Sez.
2, n. 40123 del 22/10/2010 – dep. 12/11/2010, Marigliano, Rv. 248862).
Il ricorrente si limita, invece, a rimarcare le ripetute violazioni nel tempo
della medesima norma, circostanza che – oltre a non essere giudizialmente
provata – non dimostra affatto quella preventiva unica deliberazione che, con
motivazione congrua, il Tribunale ha escluso.

3. Per completezza di motivazione, occorre anche considerare la finalità
della norma in materia di applicazione della continuazione in sede esecutiva
prevista dall’art. 671 cod. proc. pen..
La norma è diretta ad evitare che la regola della celebrazione di processi
separati, che ispira il codice di rito, possa determinare una situazione di
pregiudizio e svantaggio per l’imputato sottoposto a processi distinti ed
autonomi, il quale può versare nella impossibilità di ottenere nella fase della
cognizione l’applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto
dall’art. 81 comma 2 cod. pen., al quale invece può accedere l’imputato
sottoposto a processo cumulativo.
In tale ottica è evidente il carattere residuale e subvalente della competenza
attribuita dall’art.671 cod. proc. pen. al giudice dell’esecuzione, il cui intervento
è precluso quando della questione relativa alla sussistenza del vincolo della
continuazione si sia occupato il competente giudice della cognizione, in
conformità al principio della intangibilità del giudicato (in tal senso Sez. 1, n.
4292 del 26/10/1992, La Montagna, Rv. 192399).

3

identificarsi con la generale tendenza a porre in essere determinati reati o

Dalla rilevata “ratio” della norma e dai maggiori e più celeri spazi di
accertamento propri del giudizio principale di cognizione è desumibile la
sussistenza (se non di un vero e proprio onere) di una evidente convenienza in
capo all’interessato, che dovrebbe essere il principale e sicuro conoscitore
dell’unitario disegno criminoso da lui asserito, a prospettare, nella prima sede
processuale utile, la ritenuta sussistenza del vincolo della continuazione tra i fatti
per cui è stato giudicato in separati processi: prospettazione alla cui mancata
effettuazione è ragionevolmente attribuibile il valore di apprezzabile “indice

3. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.000 (mille) in favore delle Cassa delle Ammende, non
esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v. sentenza Corte
Cost. n. 186 del 2000).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.000 alla Cassa delle
ammende.

Così deciso il 7 maggio 2014

Il Consigliere estensore

negativo” dell’esistenza del detto disegno.

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