Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32804 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32804 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BATTAGLIA SANTO N. IL 04/03/1961
avverso l’ordinanza n. 798/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
13/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consi gliere Dott. ALDO CAVALLO ;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 20/02/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza del 13 maggio 2013,
confermava il provvedimento del G.i.p. della sede che aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Battaglia Santo, siccome indagato per partecipazione all’associazione per
delinquere di tipo mafioso Santapaola-Ercolano (capo A della rubrica) con
l’aggravante del ruolo direttivo, disattendendo, per quanto ancora interessa nel

dell’ordinanza cautelare ex art. 292 cod. proc. pen., sollevata dalla difesa
dell’indagato a ragione dell’asserita carenza assoluta dei requisiti minimi di
motivazione, risoltasi nell’integrale recepimento, anche grafico (tecnica del
copia-incolla), della richiesta di applicazione della misura avanzata dal PM; sia
quella d’inefficacia dell’ordinanza impugnata ex art. 309 commi 5 0 e 10 0 cod.
proc. pen. a ragione dell’omessa trasmissione del verbale d’interrogatorio reso
da da Torrente Salvatore il 15 maggio 2009, sia, infine, le deduzioni difensive
dirette a negare la effettiva gravità degli elementi indizianti su cui era fondata
detta richiesta.
1.1 Con riferimento alla eccezione di nullità sollevata i giudici del riesame,
richiamati alcuni consolidati principi di diritto in tema di

“motivazione per

relationem” enunciati da questa Corte regolatrice, anche nella sua più autorevole
composizione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 – dep. 21/09/2000, Primavera e
altri, Rv. 216664), ritenevano, infatti, che il GIP, nel ripercorrere i passaggi della
richiesta della misura cautelare avanzata dal PM non aveva omesso di effettuare
delle proprie autonome valutazioni di tipo critico, ciò desumendosi dall’avvenuto
rigetto della richiesta di applicazione della misura nei confronti di alcuni coindagati per singole imputazioni.
1.2 Quanto poi alla eccezione di inefficacia dell’ordinanza, i giudici del
riesame rilevavano, per un verso, che non vi era prova che il verbale
d’interrogatorio del Torrente – per altro meramente confermativo delle
dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia alla polizia giudiziaria – fosse stato
effettivamente trasmesso al GIP; per altro verso, che il succitato verbale, proprio
per il suo contenuto intrinseco, privo di effettivi elementi decisivi, non poteva
considerarsi determinante per la decisione.
1.3 Con riferimento, infine, alla ritenuta sussistenza di elementi indizianti a
carico del Battaglia, i giudici del riesame valorizzavano le dichiarazioni dei
collaboratori di giustizia Torrente Salvatore, Scorciapino Ettore, Sturiale Eugenio
Salvatore e quelle rese da La Causa Santo, ritenute, conformemente ad una
ormai consolidata lezione interpretativa di questa Corte, non assimilabili a pure
e semplici dichiarazioni “de relato”, avendo i collaboratori di giustizia,
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LéiA.

presente giudizio di legittimità, sia l’eccezione preliminare di nullità

nell’indicare il Battaglia come un partecipe del sodalizio, riferito notizie assunte
nell’ambito associativo, costituenti un patrimonio comune, in ordine ad associati
ed attività propri della cosca mafiosa. (in termini, ex multis, Sez. 1, n. 23242 del
06/05/2010 – dep. 16/06/2010, Ribisi, Rv. 247585).
Dalle dichiarazioni dei predetti collaboratori, che avevano tutti riconosciuto
fotograficamente l’indagato, ed in particolare da quelle rese da La Causa Santo,
esponente apicale della famiglia mafiosa Santapaola – Ercolano – apprezzate
come provenienti da soggetti credibili, come intrinsecamente attendibili quanto
al loro contenuto narrativo e munite di adeguati riscontri individualizzanti, in

quanto convergenti relativamente al loro nucleo essenziale – emergeva, infatti,
secondo i giudici del riesame, la permanente adesione dell’indagato (già
condannato per il medesimo reato associativo relativamente ad una condotta
protrattasi sino al 1991), all’associazione mafiosa “Cosa Nostra”, famiglia
Santapaola – Ercolano, e segnatamente al gruppo del Villaggio Sant’Agata, nel
quale militava, unitamente al fratello Salvatore, assumendone un ruolo direttivo
nonostante la condizione di detenzione, ciò desumendosi, in particolare: (a) dalla
riferita percezione di uno stipendio (pari ad C 1500,00); (b) dalla circostanza,
riferita dal La Causa, che allorquando il sodalizio aveva deliberato l’uccisione di
Santapaola Angelo, avvenuta nel settembre 2007, l’indagato, nella sua veste di
capo del gruppo del Villaggio Sant’Anna, era stato di ciò informato dal fratello
Salvatore, conformemente ad una ben precisa strategia che prevedeva il
coinvolgimento delle figure apicali del sodalizio, solo con riferimento alle
decisioni più rilevanti, al fine di limitare il rischio di fughe di notizie; (c) dalla
circostanza che l’indagato, in occasione della scarcerazione nel 2009 del
coimputato Mirabile Angelo, aveva espressamente richiesto ad Arcidiacono
Francesco, all’epoca reggente del gruppo, di procedere alla formale affiliazione
dello stesso, già da tempo intraneo al sodalizio, e di divenire egli stesso il suo
padrino; (d) dal coinvolgimento dell’indagato nell’estorsione organizzata ai danni
dell’imprenditore Romeo, impegnato nella costruzione del centro commerciale “I
Portali”, vicenda all’origine di alcuni contrasti insorti tra il gruppo ErcolanoSantapaola e quello dei Laudani, che rivendicava il proprio diritto a percepire una
quota del pizzo a ragione dell’ubicazione del centro commerciale nel territorio di
San Giovanni La Punta da esso controllato, che venivano risolti con la spartizione
paritaria tra i due gruppi dei proventi di tale attività delittuosa, e la materiale
percezione da parte dell’indagato di una quota (C 500,00) del pizzo complessivo
(C 7000,00) imposto per l’affitto delle botteghe.
In particolare, con riferimento alla deduzione difensiva secondo cui la
sottoposizione dell’indagato alla speciale regime di detenzione ex art. 41 bis Ord.
Pen. rendeva inverosimili le dichiarazioni, i giudici del riesame obiettavano, per
un verso, che intanto proprio la capacità dell’indagato a mantenere dei rapporti
2

CAt

con il sodalizio di appartenenza, costituiva la ragione dell’applicazione nei
confronti del Battaglia, nel 2001, di quello speciale trattamento penitenziario;
per altro verso, che anche in occasione della disposta cessazione di tale regime
detentivo, nel 2006, nell’acquisito provvedimento che ciò disponeva, si dava atto
di una comunicazione comunque intercorsa tra l’indagato ed il fratello Salvatore
durante il periodo di sottoesposizione a quel regime e che in ogni caso non
poteva neppure escludersi la possibilità di comunicazioni intercorse per il tramite

2. Il difensore dell’indagato, avvocato Giorgio Antoci, ha proposto ricorso
per cassazione avverso detta ordinanza, prospettando tre motivi
d’impugnazione.
2.1 Con il primo, vengono riproposte – sotto il profilo dell’inosservanza delle
norme processuali – l’eccezione di nullità – asseritamente insanabile dell’ordinanza cautelare ex art. 292 cod. proc. pen. e quella della sua inefficacia;
eccezioni che i giudici del riesame hanno disatteso – si sostiene – con motivazioni
assolutamente incongrue, osservando in proposito: (a) che nel provvedimento
impositivo della misura cautelare nei confronti dell’indagato risulta del tutto
assente l’indicazione di un qualsivoglia elemento, afferente però alla specifica
posizione dello stesso, da cui poter ricavare che la richiesta del PM sia stata
autonomamente valutata dal GIP e non già acriticamente recepita; (b) che il
verbale dell’interrogatorio in data 15 novembre 2009, fu certamente usato dal
GIP, il che fa presumere che lo stesso fu trasmesso a quel giudice, laddove
parimenti certa deve ritenersi la sua mancata inclusione nell’elenco dei
documenti trasmessi ex art. 291 cod. proc. pen., sicché non risultando tale
documento esser stato mai depositato, risultano ignote le ragioni di come i
giudici del riesame possono aver avuto conoscenza del suo contenuto.
2.2 Con il secondo motivo, si contesta invece, sotto il profilo del vizio di
motivazione, l’affermazione dei giudici del riesame in merito alla sussistenza di
un grave quadro indiziario a carico del Battaglia, incentrato sulle dichiarazioni del
Torrente asseritamente riscontrate da quelle degli altri collaboratori
In particolare si censura come incongrua ed illogica l’applicazione con
riferimento alle dichiarazioni rese dal Torrente nel presente procedimento del pur
corretto principio di diritto, asseverato anche dal recente dictum delle Sezioni
Unite, secondo cui le dichiarazioni del collaboratore di giustizia su fatti e
circostanze attinenti la vita e le attività di un sodalizio criminoso, appresi come
componente del sodalizio, non sarebbero assimilabili a dichiarazioni de relato, in
quanto, avendo il collaboratore riferito di non aver mai avuto alcun contatto
diretto con l’imputato, malgrado la sua dichiarata appartenenza al gruppo di
Villaggio Sant’Agata in qualità di semplice “soldato”, lo stesso ha avuto notizia
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(A,

dei colloqui con altri familiari.

dell’appartenenza del Battaglia a quel medesimo gruppo, da dichiarazioni di altri
consociati, ciò imponeva una maggior cautela nella valutazione delle sue
propalazioni, tenuto conto della reticenza manifestata dal collaboratore
nell’indicare le proprie fonti di conoscenza di quanto riferito in ordine
all’indagato.
Da parte del ricorrente si contesta altresì, diffusamente, che le dichiarazioni
dello Scorciapino Ettore, anch’esse de relato, possano considerarsi valido
riscontro alle dichiarazioni del Torrente, tenuto conto che il predetto ha iniziato la
sua collaborazione nel 2006, allorquando l’indagato era ancora sottoposto allo

speciale regime di detenzione ex art. 41 bis Ord. Pen. protrattosi dal luglio 2001
al novembre 2006, laddove l’assunto secondo cui l’indagato era in grado di poter
comunicare con l’associazione tramite colloqui con il fratello ovvero non meglio
indicati suoi familiari, costituisce una mera indimostrata asserzione dei giudici del
riesame.
Analoghe considerazioni vengono svolte in ricorso, con riferimento alle
dichiarazioni del La Causa, sia relativamente al preteso assenso fornito al
progetta uccisione di Santapaola Angelo, risultando inverosimile, in
considerazione di elementari ragioni di riservatezza, che un siffatto progetto sia
stato comunicato ad un soggetto da tempo recluso e risultando comunque ignota
la fonte da cui il La Causa avrebbe appreso del consenso espresso dall’indagato.
Anche la riferita circostanza di una elargizione di denaro in relazione ai
proventi ricavati dall’estorsione della “Tenutella” costituisce una circostanza priva
di riscontro e comunque insufficiente a dimostrare una effettiva persistente
partecipazione al clan Santapaola – Ercolano, in posizione apicale.
1.3 Con il terzo ed ultimo motivo d’impugnazione si censura, infine, la
decisione impugnata sotto il profilo dell’erronea applicazione della legge penale
(art. 416 bis cod. pen.), con riferimento all’effettiva configurabilità del dolo
specifico, attesa la mancata indicazione nel provvedimento impugnato di
significativi gesti di sostegno causale alla vita associativa riferibili all’indagato, di
un concreto contributo alla vita associativa, rivelatori, per la loro dimensione
qualitativa o per la loro reiterazione quantitativa, di un’effettiva
societatis,

affectio

né della sussistenza dell’aggravante ex art. 416 bis, comma 6° cod.

pen..

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Battaglia Santo è basata su
motivi infondati e va quindi rigettata. Ritiene infatti questo Collegio che la
struttura e lo sviluppo argomentativo dell’ordinanza impugnata risulti conforme
ai canoni della logica e risponda ad una corretta interpretazione della normativa
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di cui all’art. 273 cod. proc. pen., comma 1 bis e art. 192, comma 3, cod. proc.
pen..
1.1 In primo luogo, non hanno pregio le censure a mezzo delle quali il
ricorrente ripropone l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare ex artt. 192 e
181 cod. proc. pen.. Premesso infatti che l’ordinanza cautelare genetica, come
osservato dai giudici del riesame, presentava tutti i contenuti per potere essere
ritenuta adeguata a giustificare l’adozione di misure cautelari, consentendo ai
destinatari dell’ordinanza di conoscere gli elementi a loro carico per potere

questa Corte, la stessa è da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento
ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto
all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b)
fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle
ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua
decisione; c) l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui
ostensibile (Cass. Sez. 4, sent. n. 4181/2007 rv 238674; S.U., sent. n. 17/2000
Rv. 216664), va in ogni caso rilevato che il giudizio di riesame è stato concepito
dal legislatore come un giudizio

“ex novo”, completamente autonomo e a

cognizione piena sulla questione cautelare, vista in tutti i suoi risvolti, sia di
legittimità sia di merito, e al di fuori di qualunque vincolo connesso al principio
devolutivo. Ciò è dimostrato normativamente dall’art. 309 cod. proc. pen.,
comma 9, il quale espressamente prevede che il tribunale può confermare il
provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella
motivazione del provvedimento stesso.
In tema di misure cautelari personali, il coordinamento fra il disposto
dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 2, lett. c) e c bis) e quello dell’art. 309 cod.
proc. pen., consente quindi di affermare che al tribunale del riesame deve essere
riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda “de libertate”,
onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto,
quanto la cognizione della vicenda sottostante e quindi, primariamente, la
soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità
coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza
impositiva deve essere relegata a “extrema ratio” delle determinazioni adottabili.
Tale nullità può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia
mancante di motivazione in senso grafico ovvero, pur esistendo una
motivazione, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile,
interpretando e valutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui
soddisfacimento si persegue (v. Cass. Sez. 3, sent. n. 15416/2011 riv.250306;
Sez. 2, sent. n. 6966/2011 rv 249681; Sez. 2, sent.13385/2011 rv. 249682;
Sez. 5, sent.n.16587/2010 rv 246875; Sez. 3, 33753/2010 rv 249148; Sez. 2,
5

disporre un’adeguata difesa, ove si consideri che per giurisprudenza costante di

sent. n. 39383/2008 rv 241868; Sez. 4, sent. n. 4181/2007 rv. 238674; Sez. 4,
sent. n. 45847/2004 rv. 230415). È oramai indirizzo pressoché costante di
questa Corte che, in tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, il giudice
del riesame non può quindi annullare il provvedimento impugnato per difetto di
motivazione, atteso che il nostro ordinamento processuale a fronte delle nullità
comminate per omessa motivazione dei provvedimenti riserva solo al giudice di
legittimità il potere di pronunciare il relativo annullamento. Tale potere è
precluso al giudice di merito di secondo grado, e a maggior ragione quando a

integralità (v. Cass.Sez. 2, sent.n. 1102/2006 rv. 235622; Cass.Sez. 6, sent.n.
8590/2006 rv. 233499; Sez. 3, 19 gennaio 2001, Servadio, rv. 218752, per le
quali il tribunale adito ex art. 309 cod. proc. pen. può pertanto sopperire, con la
propria motivazione, non solo all’insufficiente o contraddittoria motivazione del
provvedimento genetico della misura, restituendogli completezza e logicità
argomentativa, ma anche alla mancanza di motivazione o alla motivazione
apparente del provvedimento, esplicitando, per la prima volta, le ragioni che
giustificano l’applicazione della misura cautelare).
1.2 Neppure hanno pregio le argomentazioni difensive, invero generiche ed
autoreferenziali, con le quali viene riproposta in questa sede l’inefficacia
dell’ordinanza cautelare a ragione della mancata trasmissione del verbale relativo
alle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Torrente Salvatore il 15
novembre 2009, ove si consideri, che per consolidata giurisprudenza di questa
Corte, l’inefficacia della ordinanza cautelare per mancato invio al tribunale degli
atti trasmessi al G.i.p. al momento della richiesta non si verifica se non risulta
che l’atto, asseritamente non inviato, fosse stato trasmesso unitamente alla
richiesta della misura al G.i.p.. oppure sia stato valutato solo in quanto altri atti
ad esso faceva riferimento (in tal senso,

ex multis,

Sez. 1, n. 4567 del

22/01/2009 – dep. 03/02/2009, Di Lorenzo, Rv. 242818; Sez. 4, n. 40044 del
30/03/2005 – dep. 04/11/2005, Congiusti, Rv. 232432) e in ogni caso, che la
declaratoria d’inefficacia presuppone che l’atto asseritamente non trasmesso sia
stato ritenuto dal giudice determinante ai fini dell’applicazione della misura,
ipotesi questa che non si ravvisa nel caso di specie.
1.3 Infondate risultano, poi, anche le censure a mezzo delle quali il
ricorrente ha lamentato carenze, contraddittorietà e illogicità manifeste della
motivazione del provvedimento impugnato sull’assunto che il tribunale del
riesame non si sarebbe attenuto ai canoni valutativi delle chiamate di correo,
erroneamente ritenute convergenti nonostante le inattendibilità del racconto dei
collaboratori, ritenuto del tutto generico sia in ordine all’effettivo inserimento
dell’indagato nell’associazione di stampo mafioso sia riguardo al contributo
asseritamente fornito dall’indagato alla stessa.
6

costui, come nel caso del riesame, il “thema decidendum” è devoluto nella sua

Invero, l’impianto argomentativo e lo sviluppo della motivazione
dell’ordinanza risultano pienamente rispondenti ai principi elaborati da questa
Corte e sono connotati da adeguata congruenza logica, dato che i giudici di
merito, anche attraverso il consentito richiamo al contenuto dell’ordinanza che
ha disposto l’applicazione della misura cautelare, hanno dato esatta applicazione
a detti principi mediante l’analitica ed esauriente verifica dell’intrinseca
attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, etero ed
autoaccusatorie, accertandone, con argomentazioni dotate di sufficiente

disinteresse e sviluppando un discorso giustificativo, solo sommariamente
illustrato al paragrafo 1.3 dell’esposizione in fatto, contraddistinto dalla
coordinazione logica dei passaggi argomentativi della motivazione e dall’esame,
punto per punto, delle molteplici contestazioni difensive cui è stata data risposta
adeguata sul piano logico (dichiarazioni dei collaboratori convergenti nel loro
nucleo essenziale e frutto di conoscenza diretta ovvero di informazione apprese
da fonti particolarmente qualificate), onde i risultati dell’indagine restano
incensurabili nel giudizio di legittimità.
Alla luce di tali principi va riconosciuto che il tribunale ha valutato gli
elementi di prova disponibili seguendo linee argomentative connotate da
adeguatezza della motivazione e da puntuale applicazione dei criteri valutativi di
cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alla cui stregua gli addebiti riguardanti
la partecipazione al clan Santapaola-Ercolano – unica imputazione che ancora
rileva nel presente procedimento cautelare – trovano considerevole base
dimostrativa, che non si esaurisce nella semplice dichiarazione di comune
appartenenza al sodalizio mafioso. Deve trarsene il corollario che la
responsabilità del Battagli per l’imputazione anzidetta deve ritenersi attestata,
con elevato grado di probabilità, sulla base delle dichiarazioni accusatorie dei
collaboratori, che non hanno riguardato soltanto il mero dato della sua intraneità
al sodalizio (quale desumibile, tra l’altro, dal dato relativo alla percezione di uno
“stipendio”) ma hanno riguardato anche il concreto contributo dallo stesso
fornito all’associazione (coinvolgimento dell’indagato nella deliberazione
dell’omicidio di Santapaola Angelo; nell’estorsione in danno del Romeo con
riferimento al centro commerciale I Portali;) la cui convergenza, autonomia e
spontaneità trovano congrua base giustificativa nella motivazione dell’ordinanza
impugnata, con cui il tribunale ha adeguatamente spiegato la pregnante valenza
accusatoria delle dichiarazioni dei collaboratori, che sono state ritenute affidabili
e tali da legittimare l’applicazione della misura custodiale per il fatto di trovare
riscontro esterno individualizzante nella loro convergenza nel loro nucleo
essenziale.

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Cél*_

plausibilità logica, la genuinità, la spontaneità, la costanza, la precisione, il

2. In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso
deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att.
cod. proc. pen., comma 1 ter.

P .Q. M .

processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.,
comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2014.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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