Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32803 del 20/02/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 32803 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERRERA FRANCESCO N. IL 22/12/1964
avverso l’ordinanza n. 799/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
13/05/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
.lette/sentite le conclusioni del PG Dott. D2ltrJ0 90-y14.e,•0 Viola_ i
k-Lips2.2_
ItceryjiD •

R

Uditi difensor Avv. 4 ?3’reo AvuTo ct; ,

et-if22r2

amitic) i-e’te ( Q-C c-od9–e., rvIAQ4430 0-RAS 2 (2-( (–9/LA)

Data Udienza: 20/02/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale del riesame di Catania, con ordinanza del 13 maggio 2013,
confermava il provvedimento del G.i.p. della sede che aveva disposto
l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di
Ferrera Francesco, siccome indagato per partecipazione all’associazione per
delinquere di tipo mafioso Santapaola-Ercolano (capo A della rubrica) e
trasferimento fraudolento di valori (capo X della rubrica), disattendendo, per

preliminare di nullità dell’ordinanza cautelare ex art. 292 cod. proc. pen.,
sollevata dalla difesa dell’indagato a ragione dell’asserita carenza assoluta dei
requisiti minimi di motivazione, risoltasi nell’integrale recepimento, anche grafico
(tecnica del copia-incolla), della richiesta di applicazione della misura, avanzata
dal PM; sia le deduzioni difensive dirette a negare la effettiva gravità degli
elementi indizianti su cui era fondata detta richiesta.
1.1 Con riferimento alla eccezione di nullità sollevata í giudici del riesame,
richiamati alcuni consolidati principi di diritto in tema di

“motivazione per

relationem” enunciati da questa Corte regolatrice, anche nella sua più autorevole
composizione (Sez. U, n. 17 del 21/06/2000 – dep. 21/09/2000, Primavera e
altri, Rv. 216664), ritenevano, infatti, che il GIP, nel ripercorrere i passaggi della
richiesta della misura cautelare avanzata dal PM non aveva omesso di effettuare
delle proprie autonome valutazioni di tipo critico, ciò desumendosi dall’avvenuto
rigetto della richiesta di applicazione della misura nei confronti di alcuni coindagati per singole imputazioni.
1.2 Quanto poi alla sussistenza di elementi indizianti a carico del Ferrera, i
giudici del riesame valorizzavano, con riferimento all’imputazione associativa, le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia La Causa Santo, Laudani Giuseppe, Riso
Carmelo e Barbagallo Ignazio, e quanto all’imputazione di trasferimento
fraudolento dei valori, nella forma dell’intestazione fittizia di beni (nello specifico
le quote della City Motors s.r.I.) quelle dei collaboratori Sturiale Eugenio
Salvatore, Riso Carmelo, Anselmi Nazareno, Laudani Giuseppe, Barbagallo
Ignazio, La Causa Santo e D’Aquino Gaetano, nonché le parziali ammissioni fatte
in sede d’interrogatorio di garanzia dal co-indagato Monaco Michele, ritenuto
l’effettivo titolare dell’impresa societaria oggetto dell’imputazione.
Dalle dichiarazioni dei predetti collaboratori, ed in primo luogo da quelle rese
da La Causa Santo, esponente apicale della famiglia mafiosa Santapaola Ercolano – apprezzate come provenienti da soggetti credibili, come
intrinsecamente attendibili quanto al loro contenuto narrativo e munite di
adeguati riscontri individualizzanti, in quanto convergenti relativamente al loro
nucleo essenziale – emergeva, infatti, secondo i giudici del riesame, che
l

quanto ancora interessa nel presente giudizio di legittimità, sia l’eccezione

l’indagato, riconosciuto fotograficamente dai collaboratori di giustizia, figlio di
Ferrera Natale detto “Cavadduzzo” (già condannato per il medesimo reato
associativo, relativamente ad una condotta protrattasi sino al 1991) dopo che
l’omonimo gruppo delinquenziale di appartenenza aveva cessato di esistere [alla
metà degli anni 90], risolti i contrasti con i Santapaola, a cui lo legavano anche
rapporti di parentela, aveva aderito a quel sodalizio mafioso, ciò desumendosi, in
particolare: (a) dalla circostanza, riferita dal La Causa (tornato nel 2006 in
libertà dopo un periodo di detenzione), che l’indagato, unitamente al cugino

gruppo di persone a lui fedele, che lo stesso aveva definito “un cordone di
sicurezza”; (b) dalla circostanza che l’indagato aveva avuto un contrasto con il
figlio di Turi Pappalardo, che il La Causa aveva dovuto personalmente risolvere;
(c) dal coinvolgimento dell’indagato nell’estorsione organizzata ai danni
dell’imprenditore Romeo, impegnato nella costruzione del centro commerciale “I
Portali”, vicenda all’origine di alcuni contrasti insorti tra il gruppo ErcolanoSantapaola e quello dei Laudani, che rivendicava il proprio diritto a percepire una
quota del pizzo a ragione dell’ubicazione del centro commerciale nel territorio di
San Giovanni La Punta da esso controllato, che venivano risolti con la spartizione
paritaria tra i due gruppi dei proventi di tale attività delittuosa.
1.3 Quanto all’ulteriore imputazione di trasferimento fraudolento di valori,
dalle dichiarazioni dei collaboratori, emergeva, secondo i giudici del riesame, che
Franco “u Cavaduzzu” era divenuto, negli anni, un socio occulto di Monaco
Michele, anche lui in passato detenuto perché ritenuto intraneo alla famiglia dei
Cavadduzzu e già titolare di un piccolo autosalone, sito a San Gregorio di
Catania, progressivamente ampliatosi, anche in virtù degli apporti finanziari
conferiti dall’indagato, che utilizzava tale impresa commerciale per riciclare i
proventi dell’attività delittuosa svolta, specie nel traffico delle sostanze
stupefacenti, ciò desumendosi, in particolare, dalle dichiarazioni di Riso Carmelo,
che aveva riferito come a seguito di un’azione estorsiva da lui perpetrata ai danni
della City Motors s.r.l. (già City Car s.r.I.) nell’interesse del gruppo Laudani
(consistita nel la materiale apprensione di un’autovettura di grossa cilindrata
senza pagamento del corrispettivo dovuto), vi era stato un intervento di Franco
u’ Cavadduzzu” il quale aveva richiesto la restituzione della vettura, facendo
chiaramente presente che l’autosalone era anche del suo gruppo.
Lo stesso coindagato Monaco Michele, del resto, in sede di interrogatorio,
nell’ammettere che l’effettiva titolarità dell’impresa societaria era riconducibile a
lui stesso ed alla moglie (proprietaria del terreno su cui veniva esercitata
l’attività), riconosceva di aver fatto ricorso all’intestazione delle quote a persone
compiacenti (il fratello Salvatore e tal Tudisco Antonio Fausto) per eludere le
disposizioni in materia di misure di prevenzione patrimoniale.
2

Napoli Francesco, aveva organizzato, su disposizione del collaboratore, un

2. Il difensore dell’indagato, avvocato Giorgio Antoci, ha proposto ricorso
per cassazione avverso detta ordinanza, prospettando tre motivi
d’impugnazione.
2.1 Con il primo, viene riproposta – sotto il profilo dell’inosservanza delle
norme processuali – l’eccezione di nullità – asseritamente insanabile dell’ordinanza cautelare ex art. 292 cod. proc. pen., che i giudici del riesame

giacché nel provvedimento impositivo della misura cautelare nei confronti
dell’indagato manca del tutto l’indicazione di un qualsivoglia elemento, afferente
però alla specifica posizione dello stesso, da cui poter ricavare che la richiesta del
PM sia stata autonomamente valutata dal GIP e non già acriticamente recepita.
2.2 Con il secondo motivo, si contesta invece, sotto il profilo del vizio di
motivazione (contraddittorietà o manifesta illogicità) l’affermazione dei giudici
del riesame in merito alla sussistenza di un grave quadro indiziario a carico del
Ferrera, che si assume viziata da un’errata applicazione dei canoni normativi di
valutazione della chiamata in correità, sia diretta che de relato, quali individuati
dalla giurisprudenza di legittimità.
In particolare è mancata, secondo il ricorrente, una valutazione in merito
all’attendibilità intrinseca, oggettiva e soggettiva, dei collaboratori di giustizia La
Causa e Laudani, pure necessaria per stabilire, a prescindere dal contenuto
intrinseco delle dichiarazioni rese dai predetti (che pure costituiscono nel
presente giudizio il principale elemento indiziante a carico del Ferrera), se le
stesse siano state rese in modo indipendente e non siano il frutto di una
strumentalizzazione deviatrice o di una mera concertazione ispirata da finalità
calunniatorie.
Si denunzia altresì in ricorso, sempre con riferimento al tema
dell’attendibilità intrinseca del collaboratore La Causa, che l’affermazione dei
giudici del riesame, secondo cui il Ferrara sarebbero “rientrato” nelle fila della
famiglia mafiosa Santapaola – Ercolano, è il frutto di un sostanziale travisamento
delle dichiarazioni rese da costui, in quanto nel verbale del 31 maggio 2009 (di
cui in ricorso si riportano i passaggi ritenuti più significativi) il La Causa non ha
mai riferito di una pregressa partecipazione al clan dell’indagato, attribuendosi al
contrario il merito di aver egli allacciato con il Ferrera, per proprio interesse,
nuovi rapporti (dopo la propria adesione in gioventù alla famiglia del
Cavadduzzu).
Anche il dato riferito dal La Causa relativamente al suo proposito di avvalersi
di un gruppo di uomini capeggiati dall’indagato (il così detto “cordone dì
sicurezza”) costituisce un elemento indiziante assolutamente generico (in
3

hanno disatteso – si sostiene – con motivazione assolutamente incongrua,

assenza di più precise indicazioni circa la sua composizione) così come il riferito
vago programma di dar luogo ad un traffico di sostanza stupefacente unitamente
ad un esponente della camorra, poi tratto in arresto in Spagna.
Quanto poi all’episodio relativo all’estorsione subita dal costruttore del
centro commerciale “I Pilastri”, nel ricorso si evidenzia, in primo luogo, come le
propalazioni del La Causa al riguardo non hanno formato oggetto di un’attenta
valutazione da parte dei giudici del riesame, in quanto, trattandosi di
dichiarazioni in parte de relato (essendo stata perpetrata l’estorsione durante un

doveri vaglio dell’attendibilità non solo del dichiarante (come già rilevato con il
primo motivo del tutto assente) ma anche della fonte di apprendimento
(Battaglia Salvatore).
In ogni caso, anche volendo ritenere attendibili e riscontrate le dichiarazioni
del La Causa in ordine ad un coinvolgimento dell’indagato nella vicenda estorsiva
di cui trattasi, le stesse non potrebbero costituire, in ogni caso, un significativo
elemento indiziante dimostrativo di una effettiva partecipazione del Ferrera al
clan Santapaola che lo stesso collaboratore afferma aver avuto inizio solo dopo la
sua scarcerazione.
Da parte del ricorrente si contesta, altresì, diffusamente che le dichiarazioni
del Laudani, di contenuto assolutamente generico, specie con riferimento
all’identificazione dell’odierno ricorrente come quello tra i figli di Nino Ferrera
che avrebbe aderito al clan Santapaola, possano costituire un valido elemento di
riscontro a quelle del La Causa, specie ove si consideri che il Laudani ha escluso
che la presunta fonte di conoscenza del primo collaboratore (e cioè il Battaglia)
abbia mai partecipato alla riunione indetta per dirimere i contrasti insorti in
merito alla spartizione del pizzo.
Anche le dichiarazioni del Barbagallo sono state incongruamente ritenute un
elemento di riscontro alle dichiarazioni accusatorie del La Causa, posto che il
predetto collaboratore, che pure per la sua lunga militanza e la posizione apicale
raggiunta nel sodalizio, aveva una sicura conoscenza delle vicende relative alle
organizzazioni mafiose operanti nel territorio catanese, si è limitato a riferire di
riconoscere l’indagato come colui che, a seguito di una discussione con Aldo
Pappalardo, colpì quest’ultimo con una coltellata alla spalla, e che il dissidio
insorto tra i due venne composto dal La Causa, il cui intervento favorì una
riappacificazione, senza poter precisare alcunché in ordine alla sua effettiva
intraneità al clan Santapaola dopo che la famiglia mafiosa dei Ferrera, all’esito dì
una cruenta guerra di mafia, era stata completamente distrutta.
Con il terzo ed ultimo motivo d’impugnazione si censura, infine, la decisione
impugnata sotto il profilo dell’erronea applicazione della legge penale (art. 416
bis cod. pen.) ovvero del vizio di motivazione, con riferimento all’effettiva
4

periodo di detenzione del collaboratore), l’art. 195 cod. proc. pen. imponeva un

configurabilità del dolo specifico, attesa la mancata indicazione nel
provvedimento impugnato di significativi gesti di sostegno causale alla vita
associativa violazione di legge riferibili all’indagato, rivelatori, per la loro
dimensione qualitativa o per la loro reiterazione quantitativa, di un’effettiva
affectio societatis,

tale non potendosi ritenere, evidentemente, il preteso

coinvolgimento dell’indagato nell’estorsione al centro commerciale “I Pilastri”.
Con riferimento infine all’ulteriore imputazione di trasferimento fraudolento
di valori, in ricorso, nel precisare che nessuna effettiva forma di reinvestimento

dei termini massimi di durata della custodia cautelare e, conseguentemente, la
carenza d’interesse ad impugnare la decisione del riesame in parte qua.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Ferrera Francesco è basata su
motivi infondati e va quindi rigettata. Ritiene infatti questo Collegio che la
struttura e lo sviluppo argomentativo dell’ordinanza impugnata risulti conforme
ai canoni della logica e risponda ad una corretta interpretazione della normativa
di cui all’art. 273 cod. proc. pen., comma 1 bis e art. 192, comma 3, cod. proc.
pen..
1.1 In primo luogo, non hanno pregio le censure a mezzo delle quali il
ricorrente ripropone l’eccezione di nullità dell’ordinanza cautelare ex artt. 192 e
181 cod. proc. pen.. Premesso infatti che l’ordinanza cautelare genetica, come
osservato dai giudici del riesame, presentava tutti i contenuti per potere essere
ritenuta adeguata a giustificare l’adozione di misure cautelari, consentendo ai
destinatari dell’ordinanza di conoscere gli elementi a loro carico per potere
disporre un’adeguata difesa, ove si consideri che per giurisprudenza costante di
questa Corte, la stessa è da considerarsi legittima quando: a) faccia riferimento
ad altro atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua rispetto
all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di destinazione; b)
fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso cognizione del contenuto delle
ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti con la sua
decisione; c) l’atto di riferimento sia conosciuto dall’interessato o almeno a lui
ostensibile (Cass. Sez. 4, sent. n. 4181/2007 rv 238674; S.U., sent. n. 17/2000
Rv. 216664), va in ogni caso rilevato che il giudizio di riesame è stato concepito
dal legislatore come un giudizio

“ex novo”, completamente autonomo e a

cognizione piena sulla questione cautelare, vista in tutti i suoi risvolti, sia di
legittimità sia di merito, e al di fuori di qualunque vincolo connesso al principio
devolutivo. Ciò è dimostrato normativamente dall’art. 309 cod. proc. pen.,
comma 9, il quale espressamente prevede che il tribunale può confermare il
5

Cé_e„

di proventi illeciti viene riferita al Ferrera, si evidenzia la intervenuta perenzione

provvedimento impugnato anche per ragioni diverse da quelle indicate nella
motivazione del provvedimento stesso.
In tema di misure cautelari personali, il coordinamento fra il disposto
dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 2, lett. c) e c bis) e quello dell’art. 309 cod.
proc. pen., consente quindi di affermare che al tribunale del riesame deve essere
riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda “de libertate”,
onde allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto,
quanto la cognizione della vicenda sottostante e quindi, primariamente, la

coercitiva, con la conseguenza che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza
impositiva deve essere relegata a “extrema ratio” delle determinazioni adottabili.
Tale nullità può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia
mancante di motivazione in senso grafico ovvero, pur esistendo una
motivazione, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile,
interpretando e valutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui
soddisfacimento si persegue (v. Cass. Sez. 3, sent. n. 15416/2011 riv.250306;
Sez. 2, sent. n. 6966/2011 rv 249681; Sez. 2, sent.13385/2011 rv. 249682;
Sez. 5, sent.n.16587/2010 rv 246875; Sez. 3, 33753/2010 rv 249148; Sez. 2,
sent. n. 39383/2008 rv 241868; Sez. 4, sent. n. 4181/2007 rv. 238674; Sez. 4,
sent. n. 45847/2004 rv. 230415). è oramai indirizzo pressoché costante dì
questa Corte che, in tema di motivazione dei provvedimenti cautelari, il giudice
del riesame non può quindi annullare il provvedimento impugnato per difetto di
motivazione, atteso che il nostro ordinamento processuale a fronte delle nullità
comminate per omessa motivazione dei provvedimenti riserva solo al giudice di
legittimità il potere di pronunciare il relativo annullamento. Tale potere è
precluso al giudice di merito di secondo grado, e a maggior ragione quando a
costui, come nel caso del riesame, il “thema decidendum” è devoluto nella sua
integralità (v. Cass.Sez. 2, sent.n. 1102/2006 rv. 235622; Cass.Sez. 6, sent.n.
8590/2006 rv. 233499; Sez. 3, 19 gennaio 2001, Servadio, rv. 218752, per le
quali il tribunale adito ex art. 309 cod. proc. pen. può pertanto sopperire, con la
propria motivazione, non solo all’insufficiente o contraddittoria motivazione del
provvedimento genetico della misura, restituendogli completezza e logicità
argomentativa, ma anche alla mancanza di motivazione o alla motivazione
apparente del provvedimento, esplicitando, per la prima volta, le ragioni che
giustificano l’applicazione della misura cautelare).
1.2 Infondate risultano, poi, anche le censure a mezzo delle quali il
ricorrente ha lamentato carenze, contraddittorietà e illogicità manifeste della
motivazione del provvedimento impugnato sull’assunto che il tribunale del
riesame non si sarebbe attenuto ai canoni valutativi delle chiamate di correo,
erroneamente ritenute convergenti nonostante le inattendibilità del racconto dei
6

soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità

collaboratori, ritenuto del tutto generico sia in ordine all’effettivo inserimento
dell’indagato nell’associazione di stampo mafioso sia riguardo al contributo
asseritamente fornito dall’indagato alla stessa. Invero, l’impianto argomentativo
e lo sviluppo della motivazione dell’ordinanza risultano pienamente rispondenti ai
principi elaborati da questa Corte e sono connotati da adeguata congruenza
logica, dato che i giudici di merito, anche attraverso il consentito richiamo al
contenuto dell’ordinanza che ha disposto l’applicazione della misura cautelare,
hanno dato esatta applicazione a detti principi mediante l’analitica ed esauriente

etero ed autoaccusatorie, accertandone, con argomentazioni dotate di sufficiente
plausibilità logica, la genuinità, la spontaneità, la costanza, la precisione, il
disinteresse e sviluppando un discorso giustificativo, solo sommariamente
illustrato al paragrafo 1.2 dell’esposizione in fatto, contraddistinto dalla
coordinazione logica dei passaggi argomentativi della motivazione e dall’esame,
punto per punto, delle molteplici contestazioni difensive cui è stata data risposta
adeguata sul piano logico (dichiarazioni dei collaboratori convergenti nel loro
nucleo essenziale e frutto di conoscenza diretta ovvero di informazione apprese
da fonti particolarmente qualificate), onde i risultati dell’indagine restano
incensurabili nel giudizio di legittimità.
Alla luce di tali principi va riconosciuto che il tribunale ha valutato gli
elementi di prova disponibili seguendo linee argomentative connotate da
adeguatezza della motivazione e da puntuale applicazione dei criteri valutativi di
cui all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen., alla cui stregua gli addebiti riguardanti
la partecipazione al clan Santapaola-Ercolano – unica imputazione che ancora
rileva nel presente procedimento cautelare – trovano considerevole base
dimostrativa, che non si esaurisce nella semplice dichiarazione di comune
appartenenza al sodalizio mafioso. Deve trarsene il corollario che la
responsabilità del Ferrera per l’imputazione anzidetta deve ritenersi attestata,
con elevato grado di probabilità, sulla base delle dichiarazioni accusatorie dei
collaboratori, che non hanno riguardato soltanto il mero dato della sua intraneità
al sodalizio ma hanno riguardato anche il concreto contributo dallo stesso fornito
all’associazione (coinvolgimento dell’indagato nell’estorsione in danno del Romeo
con riferimento al centro commerciale I Portali; collaborazione con il La Causa,
nella costituzione di un gruppo ristretto, finalizzato alla protezione della predetta
figura apicale del clan) la cui convergenza, autonomia e spontaneità trovano
congrua base giustificativa nella motivazione dell’ordinanza impugnata, con cui il
tribunale ha adeguatamente spiegato la pregnante valenza accusatoria delle
dichiarazioni dei collaboratori, che sono state ritenute affidabili e tali da
legittimare l’applicazione della misura custodiale per il fatto di trovare riscontro
esterno individualizzante nella loro convergenza nel loro nucleo essenziale.
7

( cui,

verifica dell’intrinseca attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia,

2. In conclusione, risultando infondato in tutte le sue articolazioni, il ricorso
deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali.
La cancelleria dovrà provvedere all’adempimento prescritto dall’art. 94 disp. att.
cod. proc. pen., comma 1 ter.

P.Q.M.

processuali.
Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del provvedimento al
Direttore dell’Istituto Penitenziario, ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.,
comma 1 ter.
Così deciso in Roma, il 20 febbraio 2014.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA