Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32800 del 20/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32800 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
RIZZO ARMANDO N. IL 27/06/1974
avverso l’ordinanza n. 317/2012 TRIBUNALE di NAPOLI, del
28/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. Ofctvt
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(14.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 20/02/2014

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Napoli, decidendo quale giudice dell’esecuzione, con
provvedimento del 28 marzo 2013 ha rigettato la richiesta presentata da Rizzo
Armando di rideterminazione della pena per effetto della continuazione, ai sensi
dell’art. 671 cod. proc. pen., con riferimento a due sentenze, ivi meglio
specificate, che avevano condannato l’istante: a) per tentato omicidio e per la
connessa imputazione in tema di armi, reati aggravati ex art. 7 legge n.
203/1991, commessi in Napoli il 15 aprile 2005; b) per partecipazione ad

associazione per delinquere di stampo mafioso, reato commesso a Napoli nel
2006 con condotta perdurante.
1.1 I! Tribunale ha disatteso la tesi dell’istante secondo cui i reati di cui
trattasi erano stati commessi in attuazione del programma criminoso
dell’associazione mafiosa di appartenenza, in forza di un percorso motivazionale
così sintetizzabile:
a) fra reato associativo e singoli reati fine non è di regola ravvisabile un
vincolo rilevante ai fini della continuazione e meno ancora della connessione
teleologica, posto che, normalmente, al momento della costituzione
dell’associazione, i reati fine sono previsti solo in via generica;
b) dalla lettura degli atti non era possibile desumere, al di là della sola
“medesimezza del contesto socio-criminale”, alcun elemento in base al quale
ritenere che i reati per i quali l’istante aveva subito condanna fossero
espressione di un disegno criminoso unitario, deponendo anzi in senso contrario
“la notevole discrasia temporale esistente tra i due reati”.
2. Avverso l’indicata ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il Rizzo,
per il tramite del suo difensore di fiducia, denunciando erronea applicazione della
legge penale – sostanziale e processuale – e manifesta illogicità della
motivazione, in quanto il Tribunale: non aveva esaminato con sufficiente
attenzione gli elementi addotti a sostegno dell’istanza, il che avrebbe impedito di
apprezzare l’esistenza di una iniziale programmazione e deliberazione unitaria,
anche se generica, di compiere quel disegno comune a tutti i reati, escluso sulla
base di sole massime giurisprudenziali ritenute non aderenti alla fattispecie,
tenuto conto, in particolare, che dall’esame delle sentenze di condanna emerge
che il Rizzo ha fatto parte del clan Mazzarella nel 2005, proprio nel periodo in
cui avveniva nella sua zona di provenienza, la faida con una famiglia criminale
contrapposta a quel clan, e che egli nell’ambito dì questo contesto prese parte al
conflitto a fuoco del 15 aprile 2005, in concorso con altri, sicché egli affiliandosi
al citato gruppo criminale sapeva fin dall’inizio che avrebbe partecipato nella sua
zona d’origine alla guerra con l’opposto sodalizio, proprio per consentire
l’espansione nel quartiere del suo gruppo di appartenenza. di—I

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse del Rizzo è inammissibile in
quanto baWAsu motivi non consentiti nel giudizio di legittimità o comunque
manifestamente infondati, che ripropongono sostanzialmente questioni già
disattese dal giudice di merito con motivazioni logiche ed aderenti alle risultanze
processuali.
1.1 Ritiene invero questa Corte che l’ordinanza impugnata sia corredata di

motivazione adeguata, attinente alle questioni proposte con l’istanza rigettata e
logicamente coerente, nel quadro di un ragionamento unitario, articolato in
argomentazioni saldamente connesse al quadro normativo applicato e svolto
sulla base di concetti razionalmente ordinati ed espressi.
1.2 In proposito occorre considerare, infatti, che secondo la giurisprudenza
di questa Corte “il programma associativo di un’associazione per delinquere va
tenuto distinto dal disegno criminoso la cui unicità costituisce presupposto
essenziale per la configurabilità della continuazione fra più reati, atteso che
quest’ultima richiede la rappresentazione, fin dall’inizio, dei singoli episodi
criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali, e pertanto è ravvisabile
solo quando risulti che l’autore abbia già previsto e deliberato in origine, per
linee generali, l’iter criminoso da percorrere e i singoli reati attraverso i quali si
snoda; ne consegue che la partecipazione ad un’associazione per delinquere non
può costituire, di per sé sola, prova dell’unicità di disegno criminoso fra i reati
commessi per il perseguimento degli scopi dell’associazione” (così Cass. sez. I,
sentenza n. 3834 del 15 novembre 2000 – 31 gennaio 2001, ric. Barresi).
Se a ciò si aggiunge che il problema della configurabilità della continuazione
tra reato associativo e reati-fine – che non va impostato in termini di
compatibilità strutturale – si risolve in una “quaestio facti” la cui soluzione è
rimessa di volta in volta all’apprezzamento del giudice di merito (in tal senso, ex
multis Cass. sez. V, 18 ottobre – 6 dicembre 2005, n. 4606, ric. Traina) e che nel
caso in esame la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della
continuazione è stata negata in base a delle plausibili valutazioni sull’autonomia
oggettiva dei vari fatti per i quali il Rizzo ha riportato condanna, avendo il giudice
dell’esecuzione, in particolare, fatto riferimento all’apprezzabile lasso temporale
intercorso tra i diversi reati, le argomentazioni difensive, lungi dal segnalare
significative incongruenze motivazionali sul piano logico o giuridico ed effettivi e
verificabili travisamenti delle risultanze processuali, si risolvono, in definitiva, in
una sollecitazione a compiere una nuova valutazione delle stesse in senso più
favorevole al ricorrente, che risulta però preclusa nel giudizio di legittimità.

2

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero – al versamento di una somma alla Cassa delle ammende,
congruamente determinabile in C 1000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.
Così deciso in Roma, il 1,0febbraio 2014.

spese processuali ed al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle

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