Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32798 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32798 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIELLA DONATO N. IL 23/06/1985
avverso la sentenza n. 840/2011 TRIBUNALE di SULMONA, del
04/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
C.< che ha concluso per 12,, n Udito, per la parte civile, l'Avv Uditi difensor Avv. Q. Data Udienza: 02/07/2014 1. Con sentenza del 20 gennaio 2014 il Tribunale di Sulmona condannava alla pena di euro 300,00 di ammenda, concesse le attenuanti generiche, Giella Donato, giudicato colpevole del reato di cui all'art. 660 c.p. per aver molestato telefonicamente il minore Romani Ermanno con chiamate anonime riferite all'aspetto fisico ed al modo di muoversi della p.o.. In Roccaraso, tra 1'8 luglio ed il l'agosto 2009. A sostegno della decisione il tribunale valorizzava la circostanza che l'utenza da cui erano state effettuate le telefonate, al momento dei fatti, era intestata all'imputato; nel contempo il giudice di prime cure argomentava circa la inaffidabilità e la inverosimiglianza delle dichiarazioni rese nel processo da tale Fortunato Alfonso, il quale aveva sostenuto che, nel periodo in cui vi erano state le chiamate telefoniche, la scheda del cellulare dell'imputato gli era stata da questi lasciata. 2. Ricorre per cassazione avverso detta sentenza l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo interesse ne denuncia l'illegittimità perché viziata, a suo avviso, da violazione di legge e vizio della motivazione. Deduce in particolare la difesa ricorrente che non può ritenersi sufficiente la motivazione di condanna che individui il colpevole sulla base della mera intestazione dell'utenza dalla quale sono partite le telefonate incriminate. Ed invero, fin dai primi atti di indagine, argomenta altresì la difesa ricorrente, il prevenuto ha indicato Fortunato Alfonso come la persona la quale aveva la disponibilità dell'utenza in parola; questi, il Fortunato cioè, contrariamente a quando argomentato in sentenza, non è stato affatto generico nelle sue dichiarazioni. Lamenta infine la difesa istante che la testimonianza del Fortunato è stata assunta in violazione di legge giacchè, al momento delle ammissioni autoaccusatorie, essa avrebbe dovuto essere interrotta con gli avvertimenti di rito. 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Ed invero giova qui ribadire che la funzione dell'indagine di legittimità sulla motivazione non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del La Corte, ritenuto in fatto e considerato in diritto tutto diversa, di accertare se gli elementi probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici. Ne consegue che, ad una logica valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne un'altra, ancorché altrettanto logica (Cass. 5.12.02 Schiavone; Cass. 6.05.03 Curcillo; Sez. 4, n. 15227 dell'11/4/2008, Baratti, Rv.239735; cfr. in termini: Cass. sez. 2^, sentenza n. 7380 dell'11/01/2007, dep. il 22/02/2007, Rv. 235716, imp. Messina; Sez. 6, n. 1307 del 14/1/2003, Delvai, Rv. 223061). Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito delle argomentazioni difensive, giacchè volte le medesime, a fronte di una esaustiva motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della vicenda del tutto alternativo a quello logicamente ritenuto con la sentenza impugnata. Argomento di merito è infatti quello che deduce l'insufficienza della prova data dalla titolarità della utenza da cui partirono le telefonate incriminate, viceversa di indubbia significatività ai fini della costruzione del sillogismo logico dell'accusa, soprattutto se delibato in uno con la giovane età dell'imputato e con la comune residenza di questi e della p.l., dati indizianti questi ultimi perché con certezza caratterizzanti la persona responsabile dei fatti di causa. A ciò oppone la difesa ricorrente una mera valutazione di insufficienza del quadro probatorio a carico. Né di rilievo e di interesse difensivo per l'imputato appare la censura relativa alla illegittimità della prova testimoniale assunta in dibattimento, giacchè trattasi di prova a discarico di esclusivo interesse della parte che, in modo singolare, ne chiede oggi di censurarne la legittimità. 4. Alla stregua delle esposte considerazioni il ricorso va quindi dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ai sensi dell'art. 616 c.p.p. e di una somma in favore della Cassa delle ammende, somma che si stima equo fissare in euro 1000,00. P. Q. M. 2 la Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle ammende In Roma, addì 2 luglio 2014 Il cons. estens.

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