Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32795 del 02/07/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32795 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DONATO GIUSEPPE N. IL 09/09/1969
avverso la sentenza n. 1074/2013 CORTE APPELLO di
CATANZARO, del 03/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/07/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. atem.e.0
che ha concluso per (9. ek
OGS2COYSo

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 02/07/2014

Ritenuto in fatto

1. Donato Giuseppe è stato riconosciuto colpevole, sia nel giudizio di primo
grado che in quello d’appello, dei reati a lui contestati: concorso in estorsione
aggravata continuata fino al 23 giugno 2010, in danno di Lopreiato Rosario (capo
A della rubrica); concorso nella detenzione e porto illegale di una pistola cal.
9×19 non meglio identificata (capo B della rubrica); concorso nel tentativo di
omicidio in danno di Lopreiato Rosario (capo C della rubrica), commesso in

Catanzaro, previa esclusione dell’aggravante della premeditazione e
riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti alle residue aggravanti
contestate (quella del fatto commesso da più persone riunite, quanto
all’estorsione; quella della connessione teleologica, quanto all’imputazione
relativa alle armi; quella del fatto commesso per futili motivi, quanto al tentativo
di omicidio), alla pena di anni sei e mesi quattro di reclusione.
1.1 n principale elemento di prova valorizzato dai giudici di merito per
pervenire alla condanna del Donato oltre ogni ragionevole dubbio quale
concorrente nei reati di cui è processo, è rappresentato, essenzialmente, dalle
dichiarazioni accusatorie della persona offesa, l’avvocato Lopreiato Rosario,
proprietario (unitamente a Massaria Anna) di un terreno agricolo ubicato in
Gerocarne, occupato dagli inizi dell’anno 2007 dall’imputato, dal padre di questi,
Salvatore e dal fratello Francesco (separatamente giudicati dal GIP di Vibo
Valentia e condannati con sentenza del 21 giugno 2011), che malgrado
l’ottenimento (il 20 giugno 2008) in sede civile, di un provvedimento di reintegra
nel possesso del fondo, sino all’epoca dei fatti di cui al capo C, non era ancora
riuscito ad ottenere il rilascio del terreno, anche a ragione delle ripetute minacce
poste in essere dai Donato, in almeno tre occasioni (il 17 gennaio 2008; il 22
aprile 2009; il 23 giugno 2010) anche in presenza della forza pubblica e degli
ufficiali giudiziari incaricati dell’esecuzione del predetto provvedimento.
1.2 In particolare, con riferimento alla più grave imputazione di tentato
omicidio, all’imputato si contesta il concorso morale nel reato, in base alle
dichiarazioni del Lopreiato, secondo cui il 23 giugno 2010, giorno fissato per
l’esecuzione forzata del provvedimento di reintegra, l’imputato: era presente in
loco a bordo della propria vettura (Fiat Fiorino) ed era transitato più volte nel
luogo dove la persona offesa, in compagnia dell’ufficiale giudiziario (Cortese),
attendeva l’arrivo della forza pubblica; aveva avuto una breve conversazione con
il fratello Domenico (anche lui presente in loco a bordo della sua auto) poco
prima che costui si avvicinasse al Lopreiato ed esplodesse dei colpi di pistola al
suo indirizzo; aveva incitato il fratello a finire l’azione delittuosa intrapresa, una

I

Gerocarne il 23 giugno 2010, ed è stato condannato dalla Corte di Appello di

volta constatato che la persona offesa era ancora in vita (avendo risposto,
essendo regolarmente armato, al fuoco del suo avversario, ferendolo).
1.3 La Corte, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità,
illustrato il contenuto dei motivi di appello, li ha partitamente esaminati e
confutati, sostenendo in estrema sintesi:
– che le dichiarazioni accusatorie del Lopreiato, malgrado le ragioni di
dissidio con i Donato dovevano ritenersi pienamente attendibili, in quanto
caratterizzate da coerenza e scevre da qualsiasi enfatizzazione o esagerazione

– che le dichiarazioni delle persona offesa, smentivano quelle dell’imputato
secondo cui lo stesso sarebbe intervenuto successivamente agli spari, per
soccorrere il fratello ferito;
– che le dichiarazioni accusatorie del Lopretaio, non potevano ritenersi in
contrasto con quelle rese dall’ufficiale giudiziario (Cortese), dal momento che la
teste ha riferito che ai primi colpi di pistola si era allontanata, nascondendosi
dietro delle case, senza assistere agli sviluppi dell’azione;
– che le dichiarazioni del teste Gerace, accidentalmente ferito durante la
sparatoria, che ha riferito di aver notato in loco solo Francesco Donato (a bordo
della sua vettura) ed il Lopreiato in piedi, erano poco attendibili, avendo la
consulenza tecnica accertato che il Donato era stato attinto da colpi diretti dal
basso verso l’alto, dato questo in contrasto con la sommaria ricostruzione della
dinamica dei fatti fornita dal Gerace, fermo restando, per altro, che la persona
offesa mai aveva riferito che l’imputato si era avvicinato al luogo dell’agguato,
riferendo che la frase d’incitamento era stata stata pronunciata a distanza;
– che anche le dichiarazioni dei testi Patania, Bono e Martina non minavano
la credibilità di quanto riferito dal Lopreiato, posto che gli stessi si trovavano
distanti dai luoghi della sparatoria quando la stessa si era verificata, sicché era
verosimile che costoro non avessero udito l’incitamento rivolto dall’imputato al
fratello, avendo assistito solo alla fase conclusiva dell’episodio in cui Donato
Giuseppe era accorso in aiuto del germano a bordo del suo furgone;

che considerazioni analoghe valevano pure con riferimento alle

dichiarazioni dei testi addotti dalla difesa Teti e De Leo;
– che le attendibili dichiarazioni del Lopreiato, del resto, avevano trovato
significativo riscontro nelle risultanze di tre diverse consulenze tecniche, quella
balistica e quelle medico legali espletate sulla persona del coimputato Francesco
Donato e sulla persona offesa;
– che la qualificazione del fatto in termini di tentato omicidio doveva ritenersi
corretta, dovendosi ravvisare tutti gli elementi costituitivi della fattispecie, anche
con riferimento a quello soggettivo, nella forma del dolo quanto meno
alternativo;

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del narrato;

- che sussisteva l’aggravante dei futili motivi, tenuto conto sia delle modeste
dimensioni del terreno oggetto della controversia sia anche del rilievo che la
stessa doveva ritenersi da tempo conclusa, a seguito dell’adozione del
provvedimento di rilascio, sicché la determinazione alla commissione dell’azione
delittuosa si poneva indubbiamente quale mero pretesto per lo sfogo di un
impulso criminale;
– che la condotta concorsuale posta in essere dall’imputato in relazione al
tentativo di omicidio, implicava anche la consapevolezza da parte dello stesso

nel porto della stessa;
– che il concorso dell’imputato anche nei fatti estorsivi di cui al capo A
emergeva dal complesso delle dichiarazioni della persona offesa, che avevano
trovato conferma sul punto anche nelle dichiarazioni dei testi

Palazzolo e

Sciacca;
– che doveva ritenersi corretta la qualificazione giuridica dei fatti, non
potendo nella specie configurarsi un’ipotesi di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, essendo i Donato ben consapevoli dell’inesistenza di un titolo che
legittimava la loro pretesa sull’area in contestazione, rispetto alla quale
l’imputato non può affatto ritenersi estraneo.
2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione,

il

difensore di fiducia del Donato, avvocato Guido Contestabile, .
Nel ricorso proposto dal difensore si deduce:
2.1 Vizio di motivazione, assente, illogica contraddittoria con riferimento alla
declaratoria di penale responsabilità ascritta al Donato sub C, risultando omessa
o comunque fortemente distonica la valutazione delle dichiarazioni della persona
offesa con specifico riferimento al rigoroso vaglio di attendibilità necessitato dalla
esegesi sancita dalla radicata giurisprudenza di questa suprema Corte; id est
omessa valutazione delle doglianze difensive sul punto;
2.2 Violazione di legge – erronea qualificazione del fatto con riferimento
all’ipotesi estorsiva ascritta al capo A della rubrica – sussistendo l’ipotesi prevista
dall’articolo 393 codice penale;
2.3 Illogicità, carenza, manifesta contraddittorietà della motivazione posta a
supporto della condanna per l’ipotesi ascritta al capo C, con riferimento alla
sussistenza della circostanza gravante di cui ha all’articolo 61 numero 1 codice
penale;
2.4 Illogicità, carenza, manifesta contraddittorietà della motivazione posta a
supporto della condanna del Donato per il reato di cui al capo B, aggravato dal
messo tecnologico – assenza di motivazione in ordine alla sussistenza di un
concorso nella detenzione e porto di armi;

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dell’utilizzo dell’arma e conseguentemente una sua responsabilità concorsuale

2.5 Assenza di motivazione in ordine al vaglio dei parametri previsti dagli
articoli 132 e 133 codice penale concernenti calcolo dosimetrico della pena.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Donato Giuseppe, è basata su
motivi infondati e va quindi rigettata.
1.1 Il ricorso – nelle sue poliformi articolazioni – non individua, infatti, errori

sede di legittimità) ovvero ripetitivi di deduzioni già formulate nei precedenti
gradi di giudizio, tende a sovrapporre le proprie valutazioni a quelle espresse,
con congrua e corretta motivazione, dal giudice di merito.
La giurisprudenza sul tema è però univoca: «il sindacato del giudice di
legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve mirare a
verificare che la relativa motivazione sia: a) “effettiva”, ovvero realmente idonea
a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata; b) non “manifestamente illogica”, ovvero sorretta, nei suoi punti
essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle
regole della logica; c) non internamente “contraddittoria”, ovvero esente da
insormontabili incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilità logiche
tra le affermazioni in essa contenute; d) non logicamente “incompatibile” con
altri atti del processo, dotati di una autonoma forza esplicativa o dimostrativa
tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal
giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o
radicalmente inficiare sotto il profilo logico la motivazione» (così Cass., 6, sent.
n. 10951 del 15/3/06, rv. 233708, Casula).
1.2 Nel caso in esame la motivazione del giudice di merito risponde ai detti
requisiti. Per contro il ricorso insiste nelle proprie tesi circa l’insufficienza degli
elementi di accusa a carico dell’imputato e l’incongrua valutazione delle
risultanze processuali compiuta dalla Corte territoriale avuto riguardo, in
particolare, alla rilevanza ed attendibilità riconosciuta alle dichiarazioni della
persona Lopreiato.
1.3 Tali argomentazioni – a fronte di un articolato percorso motivazionale,
che ha evidenziato l’assenza di contraddizioni nelle dichiarazioni dibattimentali
del teste, caratterizzate da coerenza e dall’assenza di qualsiasi enfatizzazione o
esagerazione del narrato; l’esistenza di adeguati riscontri, quanto meno con
riferimento alla presenza in loco dell’imputato ed alla circostanza che lo stesso si
era effettivamente avvicinato al fratello, poco prima che costui esplodesse dei
colpi di pistola all’indirizzo del Lopreìato, ferendolo; che le dichiarazioni della
persona offesa non erano in contrasto con le altre dichiarazioni testimoniali,

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di diritto, ma, con rilievi sostanzialmente in fatto (come tali estranei al giudizio in

espressamente motivando in merito alle ragioni per cui le stesse, ed in
particolare quelle rese dal Gerace, quelle rese dal Patania, dal Bono e dal Martina
escussi in sede d’incidente probatorio e quelle rese dai testi indotti dalla difesa
Teti e De Leo, dovevano ritenersi scarsamente attendibili ed insufficienti a
smentire la credibilità della persona offesa – si limitano a riproporre,
apoditticamente, la tesi dell’inattendibilità della persona offesa e la dubbia tenuta
del complessivo quadro probatorio.
1.4 In particolare, le deduzioni difensive sviluppate sul punto nel ricorso non

questa Corte di legittimità (in termini,

ex multis,

Sez. 6, n. 33162 del

03/06/2004 – dep. 02/08/2004, Patella ed altri, Rv. 229755) è univoca
nell’affermare che le dichiarazioni rese dalla persona offesa, ove sottoposte,
come accaduto nel presente giudizio, ad un attento controllo di credibilità,
possono essere assunte, anche da sole, come prova della responsabilità
dell’imputato, senza che sia indispensabile applicare le regole probatorie di cui
all’art. 192 commi terzo e quarto cod. proc. pen., e che nel caso in esame, anche
in considerazione della circostanza che la persona offesa si era comunque
costituita parte civile, il controllo di attendibilità è stato comunque più rigoroso,
avendo i giudici di merito accertato, invero, l’esistenza di significativi riscontri
che ne asseveravano la narrazione (deposizione della teste Cortese, ed in
riferimento alle precedenti minacce subite, la deposizione del carabiniere
Palazzolo).
1.5 Nè profili di illegittimità possono fondatamente ravvisarsi relativamente
alle regole di giudizio applicate dalla Corte territoriale nella valutazione delle
dichiarazioni del Lopreiato con riferimento alla ritenuta configurabilità di un
concorso del ricorrente nel tentativo di omicidio materialmente posto in essere
dal fratello Francesco, avendo i giudici di appello ritenuto, con plausibile e logica
valutazione, «che la presenza sul posto, il breve colloquio precedente
l’esplosione dei colpi, la successiva consistita nell’incitare il fratello a finire
l’opera con sollecitudine, in uno con il comune sentimento di rancore ed astio
provocato dalla controversia giurisdizionale conclusasi con il provvedimento di
rilascio che doveva essere eseguito il 23 giugno 2010», costituivano in effetti
«solidi elementi idonei a ritenere formata la prova del concorso dell’appellante
nella condotta materiale di Donato Francesco».
1.6 Nessun profilo di illegittimità può altresì ravvisarsi nell’impugnata
sentenza, con riferimento alla qualificazione della condotta contestata al Donato
al capo A della rubrica, ampiamente asseverata dalle dichiarazioni del Lopreiato
riscontrate delle deposizioni dei testi Palazzolo e Sciacca, come estorsione
aggravata piuttosto che esercizio arbitrario delle proprie ragioni, ove si consideri

c,ée-c
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considerano adeguatamente che in tema di valutazione della prova testimoniale,

che i giudici di appello hanno opportunamente evidenziato come l’esercizio del
possesso del fondo oggetto di controversia da parte dei dante causa della
persona offesa non sia stato mai contestato dai Donato e che nessun titolo gli
stessi hanno potuto legittimamente addurre per rivendicare la materiale
conduzione del terreno di cui trattasi, avendo il buon diritto del Lopreiato sul
fondo, del resto, trovato pieno riconoscimento giurisdizionale sin dal 2008 e
come solo la forza intimidatorie esercitata dal ricorrente e dai suoi congiunti di
inusitata pervicacia sino a spingersi, da ultimo, a sconfinare nell’aggressione

Risultando tale apparato motivazionale del tutto coerente con la consolidata
giurisprudenza di questa Corte (si veda ex multis, Sez. 2, n. 14440 del
15/02/2007 – dep. 05/04/2007, Mezzanzanica, Rv. 236457), assolutamente
univoca nell’affermare che integra il delitto di estorsione, e non quello di
esercizio arbitrario delle proprie ragioni, la minaccia di esercitare un diritto, in sé
non ingiusta, che sia realizzata con una tale forza intimidatoria e con tale
sistematica pervicacia da risultare incompatibile con il ragionevole intento di far
valere il diritto stesso, le contrarie deduzioni del ricorrente, lungi dal segnalare
effettivi vizi motivazionali o l’erronea applicazione della legge penale, non
superano la soglia della ricostruzione alternativa e autoreferenziale.
1.7 Nessun profilo di illegittimità è altresì ravvisabile nella decisione
impugnata per avere i giudici di appello, una volta accertato il concorso (morale)
del ricorrente nell’azione violenta posta in essere dal fratello Francesco,
confermato la condanna dello stesso anche in relazione all’imputazione
concernente l’arma, uniformandosi tale statuizione a principi ripetutamente
affermati dalla giurisprudenza di legittimità (in termini,

ex multís, Sez. 1, n.

7379 del 28/05/1993 – dep. 27/07/1993, Russo ed altri, Rv. 195269), univoca
nell’affermare che qualora più persone, una delle quali armata, prendano parte a
una spedizione punitiva nei confronti di terzi, tutti i partecipanti all’azione
rispondono di concorso nell’illegale detenzione e nel porto dell’arma, stante la
consapevolezza della presenza e dell’utilizzazione della stessa, al fine della
riuscita dell’atto dimostrativo, e nel contempo violento, che rivela chiara
adesione ai reati concernenti l’arma per l’evidente concorso morale estrinsecatosi
nella forma del rafforzamento dell’azione delittuosa posta materialmente in
essere da uno solo dei soggetti.
1.8 Anche la sussistenza dell’aggravante dei futili motivi è stata affermata
dai giudici di appello in forza di un percorso motivazionale esente da vizi logici o
giuridici ove si consideri che, per consolidata giurisprudenza, la circostanza
aggravante dei motivi futili di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., sussiste quando la
determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve,

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armata, abbia impedito il ripristino del possesso in capo alla persona offesa.

banale e sproporzionato, rispetto alla gravità del reato, da apparire, secondo il
comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione
delittuosa, tanto da potersi considerare, più che una causa determinante
dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale (così, Sez. 1,
n. 29377 del 08/05/2009 – dep. 16/07/2009, Albanese e altri, Rv. 244645) e che
nel caso di specie la Corte territoriale ha posto in evidenza, oltre alla “banalità”
della contesa all’origine dell’azione violenta, tenuto conto delle ridotte dimensioni
del terreno oggetto di controversia (circa 600-700 mq.) come la pretestuosità

icasticamente dimostrata dalla circostanza che la questione civile tra le parti era
stata, da tempo definita, con provvedimento mai eseguito, che il giorno
dell’aggressione avrebbe dovuto trovare esecuzione forzata, sicché risultava
evidente come la controversia sul possesso, ormai definita, costituiva un mero
pretesto per lo sfogo di un impulso criminale.
1.9 Prive di fondamento devono ritenersi, infine, le ultime censure mosse in
ricorso all’impugnata sentenza relativamente al trattamento sanzionatorio (entità
della diminuzione di pena per effetto del riconoscimento delle attenuanti
generiche, con giudizio di equivalenza rispetto alle contestate aggravanti determinazione della pena base per il reato di tentato omicidio in misura
eccessiva), ove si consideri che il giudice non è tenuto a dar conto di tutti gli
elementi di cui all’art. 133 cod. pen. nell’ambito della valutazione della
fattispecie criminosa sottoposta al suo esame, al fine della gradazione della
pena, bensì unicamente di quelli, tra essi, cui specificamente si riferisce (in tal
senso ex multis, Sez. 2, Sentenza n. 5787 del 16/04/1993, dep. il 09/06/1993,
imp. Croci, Rv. 194056) e che la giurisprudenza di questa Corte è univoca
nell’affermare che deve ritenersi adempiuto l’obbligo di motivazione da parte del
giudice di merito in ordine alla determinazione della pena, attraverso l’adozione,
in sentenza, di una formula sintetica: nel caso di specie la necessità di adeguare
la pena comminata al caso concreto (Sez. 6, n. 9120 del 02/07/1998 – dep.
04/08/1998, Urrata S e altri, Rv. 211583).
2. Al rigetto del ricorso segue per legge la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 21putiebbi. 2014.

della contesa rispetto alla gravità e proditorietà dell’azione delittuosa era

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