Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32792 del 30/06/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32792 Anno 2014
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NASTASE CATALIN N. IL 01/11/1983
avverso la sentenza n. 305/2013 CORTE APPELLO di SALERNO, del
28/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/06/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 15444,0 es)-9.e,o Uh 0L 9
che ha concluso per 62.. c p 1Jo Ged2- iLt

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 30/06/2014

Ritenuto in fatto

1. Il 28 maggio 2013 la Corte d’appello di Salerno confermava la sentenza
del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nocera Inferiore deliberata in
data 8 novembre 2012, appellata dal solo imputato, che aveva dichiarato
Nastase Catalin colpevole del delitto di tentato omicidio in danno di Catana
Daniel e della contravvenzione di cui all’art. 4 legge n. 110 del 1975 e, ritenuta
la continuazione tra i reati, previa concessione delle circostanze attenuanti

aveva condannato alla pena di anni quattro e mesi otto e giorni dieci di
reclusione.
La Corte, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità,
illustrato il contenuto dei motivi di appello, li ha partitamente esaminati e
confutati, osservando che la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi di
entrambi i reati contestati era comprovata dalle dichiarazioni della persona offesa
e dei testi presenti al fatto Lazar Alexander e Irinel Ciulin nonché dalle risultanze
della consulenza medico-legale, emergendo dal complessivo quadro probatorio:
(a) quanto al tentativo d’omicidio, che la sera del 31 marzo 2012 tra cittadini
rumeni residenti in Sarno era insorta una lite (pretendendo l’imputato il
versamento dalla vittima di una somma di denaro per il contributo dallo stesso
svolto per ottenere in prestito dal comune datore di lavoro suo e del Lazar, un
furgone da impiegare in un viaggio in Romania in corso di organizzazione); che
la stessa era degenerata e che nella circostanza l’imputato, riuscitosi a svincolare
dalla presa dei due connazionali che lo trattenevano, si era nuovamente
avventato sulla persona offesa, che in quel momento perdeva sangue
dall’addome, riferendo di essere stato accoltellato; che in effetti la vittima aveva
riportato la “lacerazione del mesentere, una doppia perforazione dell’ileo, la
lacerazione del muscolo retto di sinistra e una ferita da punta al fianco sinistro,
conseguente a multipli colpi (presumibilmente due o tre inferti con mezzo
puntuto e tagliente: un coltello che l’imputato affermava di aver avuto con sé, in
quanto strumento di lavoro utilizzato per cambiare i tubi delle bombole a gas)
che avevano provocato una “reazione emorragica ed infiammatoria in regione
peritoneale e nella cavità addominale”; che il numero dei colpi inferti, l’intensità
degli stessi, escludeva che le ferite di cui trattasi si sarebbero prodotte
accidentalmente, come sostenuto dal Nastase, in conseguenza dell’aggressione
da lui subita ad opera della vittima, che si sarebbe avventata su di lui per
aggredirlo, dovendo escludersi qualsiasi volontà omicida, come desumibile dalla
stessa condotta del prevenuto successivamente al ferimento; (b) quanto al porto
del coltello, che la tipologia dell’arma (un coltello a serramanico) appariva
intanto difficilmente conciliabile con l’uso lavorativo; che in ogni caso era del
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generiche dichiarate equivalenti all’aggravante di cui all’art. 61 n. 1 cod. pen., lo

tutto indimostrata la circostanza che al momento del fatto il Nastase fosse di
ritorno dal lavoro e non avesse avuto nemmeno il tempo di tornare a casa per
depositarvi gli attrezzi.
2. Avverso la citata sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il
difensore di fiducia, l’imputato, il quale denuncia: a) violazione di legge e vizio
della motivazione, per avere la Corte territoriale sviluppato sostanzialmente una
motivazione per relationem,

recependo acriticamente le argomentazioni del

giudice di prime cure, senza fornire adeguata risposta ai rilievi difensivi

con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di tentato omicidio in luogo di
quello di lesione personali; c) violazione di legge e vizio della motivazione con
riferimento alla ritenuta sussistenza della contravvenzione prevista dall’art. 4
legge n. 110 del 1974, posto che le giustificazioni addotte dall’imputato circa il
possesso dello strumento da taglio che aveva cagionato le non gravi ferite al
Catana erano plausibili, trattandosi in effetti di uno strumento di lavoro (non
certamente qualificabile come coltello a serramanico come affermato
arbitrariamente dalla Corte territoriale) che l’imputato aveva con sé essendosi lo
stesso recato a casa di Irinel Ciulin per la cena, direttamente da lavoro.

Considerato in diritto

1. L’impugnazione proposta nell’interesse di Nastase Catalin, ripropone
argomentazioni, essenzialmente in fatto, già disattese dalla Corte salernitana con
motivazioni adeguate e scevre da vizi logici o giuridici, sicché la stessa, infondata
in ogni sua progettazione, va senz’altro rigettata.
1.1 Infondata deve ritenersi, anzitutto, la preliminare censura, di natura
essenzialmente metodologica, sviluppata nel primo motivo di ricorso, dovendo
rilevarsi, al riguardo: per un verso, che l’impianto motivazionale della sentenza
impugnata non riproduce, intanto, pedissequamente, il percorso motivazionale
sviluppato dal primo giudice, essendosi i giudici di appello confrontanti con le
deduzioni svolte nell’atto di gravame; sotto altro profilo, che legittimamente il
giudice di appello può motivare la propria decisione richiamando le parti
corrispondenti della motivazione della sentenza di primo grado o comunque non
discostandosene, tutte le volte in cui, come avvenuto nel caso in esame,
l’appellante si sia limitato alla mera riproposizione delle questioni di fatto o di
diritto già espressamente ed adeguatamente esaminate e correttamente risolte
dal primo giudice, ovvero abbia formulato deduzioni generiche, apodittiche,
superflue o palesemente inconsistenti (in tal senso, ex multis, Sez. 6, n. 17912
del 07/03/2013 – deo. 18/04/2013, Adduci e altri, Rv. 255392).

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sviluppati con l’atto di gravame; b) violazione di legge e vizio della motivazione

1.2 Quanto poi al secondo motivo d’impugnazione, le doglianze sviluppate
nel ricorso si incentrano, esclusivamente, sulla pretesa erroneità della scelta di
qualificazione del fatto in termini di tentato omicidio e risultano infondate per le
ragioni che di seguito si espongono.
1.2.1 Occorre premettere alla valutazione delle censure prospettate dal
ricorrente che il discrimine tra l’imputazione di tentato omicidio e quella di lesioni
personali si coglie nell’apprezzamento o meno, con giudizio ex ante, del requisito
dell’idoneità e univoca direzione degli atti alla determinazione dell’evento morte.

«l’idoneità degli atti, richiesta per la configurabilità del reato tentato, deve essere
valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera
l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da determinarne la reale
adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di pericolo attuale e
concreto di lesione del bene protetto» (Sez. 1, n. 27918 del 4/3/2010 – dep.
19/7/2010, Resa e altri, Rv. 248305).
In corretta applicazione di tale criterio interpretativo la Corte territoriale ha
svolto argomentazioni adeguate e coerenti e che non rivelano, al di là della
sufficienza dell’impegno di motivazione, alcuna violazione di legge.
Ha sul punto osservato che l’aggressione, conseguenza di una lite insorta tra
l’imputato e la persona offesa nel corso di una riunione conviviale tra
connazionali, fu improvvisa e venne posta in essere nei confronti della persona
offesa, disarmata; che i colpi di coltello furono plurimi ed interessarono l’emilato
sinistro ed il fianco sinistro (penetrando nella cavità, ledendo gli organi cavi, con
una dinamica potenzialmente lesiva per gli organi vitali localizzati lungo il
tragitto, come quelli dell’apparato gastroenterico, dell’apparato urogenitale ed i
grossi vasi arteriosi).
1.2.2 Le modalità del fatto, la reiterazione dei fendenti, la tipologia dell’arma
(la cui lama era sufficientemente lunga per raggiungere ed attingere gli organi
interni) in particolare, hanno quindi logicamente e correttamente indotto la Corte
territoriale a ritenere corretta l’imputazione di tentato omicidio, e non soltanto
quindi, come dedotto in ricorso, l’apprezzamento in concreto e necessariamente
postumo della natura e gravità delle lesioni riportate dalla vittima.
1.2.3 Nè può dirsi che la Corte territoriale sia incorsa in un difetto di
motivazione laddove ha ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato
ascritto all’imputato.
Nell’ipotesi di omicidio tentato, la prova del dolo – ove, come nel caso in
esame, manchino esplicite ammissioni da parte dell’imputato – ha natura
essenzialmente indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in
particolare, da quegli elementi della condotta che, per la loro non equivoca

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In questo senso si è espressa, anche di recente, questa Corte, statuendo che

potenzialità semantica, sono i più idonei ad esprimere il fine perseguito
dall’agente.
Assume valore determinante, per l’accertamento della sussistenza
dell’animus necandi l’idoneità dell’azione, che va apprezzata in concreto, senza
essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, perché altrimenti l’azione,
per non avere conseguito l’evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato.
Il giudizio di idoneità consiste, quindi, come già precisato, in una prognosi
formulata ex post con riferimento alla situazione che si presentava all’imputato al

particolare (Cass., Sez. 1, 15 marzo 2000, rv. 215511; Cass., Sez. 1, 7 giugno
1997, rv. 207824).
La sentenza impugnata, in conformità con i principi in precedenza illustrati,
ha, con motivazione compiuta e logica, argomentato la sussistenza del dolo
omicidiario sulla base della natura e della localizzazione delle lesioni, della
intensità e della forza di penetrazione dei colpi, della posizione reciproca tra
imputato e parte offesa, del mezzo usato (un coltello di non modesta lunghezza).
Inoltre, il ricorrente, pur denunziando formalmente una insufficiente
valutazione degli elementi di prova, non critica in realtà la violazione di
specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del
giudice, bensì, postulando una sorta di travisamento del fatto, chiede la rilettura
del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito,
inammissibile invece in sede d’indagine di legittimità sul discorso giustificativo
della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata
abbia – come nella specie – una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e
sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del
quadro probatorio, indicative univocamente della coscienza e volontà omicidiaria
sottese alla condotta posta in essere dal ricorrente.
1.2.4 Nè hanno pregio, in particolare, le deduzioni del ricorrente che, per
escludere la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, sia pure nelle
ravvisata forme del dolo diretto o comunque, a tutto concedere, alternativo,
fanno riferimento, all’unicità del fendente sferrato, alla lieve intensità del colpo
inferto, alla circostanza che il Nastase, autonomamente, avrebbe deciso di
arrestare la propria azione.
A tali deduzioni difensive, infatti, i giudici di appello hanno fornito una più
adeguata risposta, evidenziando: (a) che i colpi inferti alla vittima furono intanto
plurimi, (b) che tali colpi, secondo quanto accertato dal consulente medico
legale, furono in realtà vibrati con forza; (c) che il Nastase, più che arrestare
spontaneamente la sua condotta, per altro già integrate gli estremi del tentato
omicidio, si dette semplicemente alla fuga, senza minimamente accertarsi delle

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momento dell’azione, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso

condizioni del Catana, che dopo due o tre coltellate di quella intensità avrebbe
sicuramente potuto perdere la vita.
1.3 Infondato deve ritenersi infine anche l’ultimo motivo d’impugnazione,
con il quale si censura la condanna del Nastase anche per la contravvenzione
prevista dall’art. 4 legge n. 110 del 1974.
Al riguardo occorre considerare, infatti, che la contravvenzione di cui all’art.
4, comma secondo, legge 18 aprile 1975 n. 110, è integrata quando non vi è
alcun “giustificato motivo” del porto, che si ha solo nel caso in cui particolari

comportamentali lecite relazionate alla natura dell’oggetto, alle modalità di
verificazione del fatto, alle condizioni soggettive del portatore, ai luoghi
dell’accadimento, alla normale funzione dell’oggetto.
Nella specie, fermo restando che la difesa del Nastase non ha allegato al
ricorso alcun specifico elemento di prova (verbale di sequestro; deposizione di
testi) che consenta di escludere che lo strumento da punta e taglio utilizzato
dall’imputato per colpire il Catana non fosse un coltello a serramanico come
affermato dai giudici di appello, se pure deve convenirsi con il ricorrente che tale
intrinseca caratteristica del coltello, ovvero che la lama risulti pieghevole con
manovra manuale, non è elemento di per sé sufficiente per escludere la
configurabilità del “giustificato motivo” del suo porto ed un suo (astratto)
impiego nello svolgimento di attività lavorativa (presso una rivendita di bombole
di GPL), restano comunque valide le ulteriori ragioni addotte dalla Corte
territoriale per escludere in concreto l’esistenza del “giustificato motivo”,
risultando in effetti indimostrato che il Nastase, allorquando colpì il Catana, fosse
di ritorno dal lavoro e non avesse avuto nemmeno il tempo di tornare a casa per
posare gli “attrezzi” utilizzati pre lo svolgimento della sua attività lavorativa.
2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali Ø.
Così deciso in Roma, il 30 giugno 2014.

esigenze dell’agente siano perfettamente corrispondenti a regole

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