Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32783 del 25/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32783 Anno 2013
Presidente: MARASCA GENNARO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FENZA UGOLINQ N. IL 27/07/1950
avverso la sentenza n. 68/2011 TRIBUNALE di CAGLIARI, del
28/03/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 25/06/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Antonka Mura, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Cagliari, con sentenza del 28/3/2012, riformando quella emessa

reato di lesioni personali commesso in danno di Pakhomchyk Liudmila. Lo ha
assolto dal reato di ingiuria in danno della stessa persona, pure a lui contestato,
per insussistenza del fatto.
Alla base della resa statuizione vi sono le dichiarazioni della persona offesa,
giudicate coerenti e credibili, nonché la documentazione medica acquisita.

2.

Contro la predetta sentenza ha presentato ricorso per Cassazione,

nell’interesse dell’imputato, l’avv. Carlo Monaldi, il quale svolge considerazioni in
ordine al capo A), concernente il reato di lesioni, nonché in ordine al reato di cui
al capo 8), concernente il reato di ingiuria.
Quanto alle lesioni, lamenta l’erronea applicazione dell’art. 52 cod. pen. e il vizio
di motivazione. Deduce che erroneamente il giudice d’appello ha escluso la
legittima difesa, non tenendo conto delle dichiarazioni dell’imputato e della teste
Podda Maria Bonaria, da cui sarebbe emerso che il Fenza si limitò a difendere se
stesso e la Podda dall’aggressione della Pakhomchyk, portata con un paio di
forbici ed un bastone dopo essersi introdotta abusivamente nell’abitazione del
Fenza, da cui si era Separata.
Quanto al reato di ingiuria, lamenta che il giudice d’appello abbia condannato il
Fenza al risarcimento dei danni conseguenti al reato suddetto, nonostante lo
abbia assolto per difetto di prova.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infbndato e va rigettato.
Il giudice d’appello ha fondato il proprio convincimento sul racconto, giudicato
preciso e lineare, della persona offesa, nonché sulla documentazione medica
prodotta, risultata assolutamente compatibile col tipo di aggressione lamentata.
Emerge inequivocabilmente dalla sentenza impugnata che il giudice d’appello si è
fatto carico di vagliare attentamente la deposizione della persona offesa,
costituita parte civile, in considerazione dell’interesse di cui è portatrice, e non
ha tralasciato di considerare le differenti dichiarazioni dell’imputato e del sua
2

dal locale Giudice di pace, ha condannato Fenza Ugolino a pena di giustizia per il

compagna all’epoca idei fatti rilevando che, se non può affermarsi con certezza
chi abbia dato avvio alla lite tra Podda e Pakhomchyk, certamente non può
parlarsi, per Fenza, di legittima difesa, dal momento che egli, come provato dalle
lesioni certificate sul corpo della Pakhomchyk, non si limitò a separare le due
donne, ma agì con violenza nei confronti della ex-convivente, sia sbattendola
contro l’armadio (come ammesso dall’imputato e dalla Podda), sia colpendola in
varie parti del corpo (la certificazione medica acquisita dimostra che Pakhomchyk
fu colpita al labbro, al mento, all’orbita oculare destra, al collo): comportamento

Tanto basta per ritenere infondato il motivo concernente le lesioni, dal momento
che il ragionamento della Corte territoriale non presenta vizi logici e non
contrasta con nessuna regola d’esperienza, dovendosi rilevare che compito del
giudice di legittimità, non è quello di assicurare la migliore lettura degli elementi
di prova (per la qualcosa si imporrebbe un diretto accesso agli atti, certamente
inibito al giudice di legittimità), ma di accertare – com’è dato riscontrare nella
specie – che a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto
apprezzamento delle risultanze probatorie e che la motivazione non sia
puramente assertiva e non sia carente nell’esame di prove decisive (o per
quanto è stato detto, contrastante con le regole della logica). Non è senza
rilievo, a questo riguardo, che il ricorrente non abbia saputo o potuto indicare
“fratture” nell’iter argomentativo del giudice di merito, essendosi limitato a
proporre una differente ricostruzione dell’episodio, senza l’indicazione degli
elementi di prova idonei a sorreggerla (ha parlato di un’aggressione portata dalla
Pakhomchyk con le forbici, senza chiarire donde abbia tratto tale spunto
argomentativo).
Inammissibile è invece, il motivo concernente l’ingiuria, poiché non risulta
che l’imputato sia stato condannato, sotto il profilo civilistico, anche per questo
reato (il giudice di primo grado l’ha assolto espressamente e quello d’appello ha
confermato la decisione assolutoria: pag. 7 della sentenza d’appello).
Il ricorso va pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25/6/2013

che in nessuna maniera è possibile ricondurre alla scriminante invocata.

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