Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32770 del 13/06/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32770 Anno 2013
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUSCIO GIOVANNI N. IL 30/05/1953
avverso la sentenza n. 6206/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
13/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/06/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO SETTEMBRE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 13/06/2013

- Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cessazione, dr.
Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 13/12/2012, in parziale riforma
di quella emessa dal locale Tribunale, ha condannato Muscio Giovanni a pena di

colpendolo con un pugno.

2.

Contro la sentenza suddetta ha proposto personalmente ricorso per

Cessazione l’imputato, il quale lamenta:
a) la nullità della sentenza per violazione dell’art. 197/bis cod. proc. pen., in
quanto il Parmeggiani è stato esaminato come teste semplice, invece che come
teste assistito, avendo, a sua volta, presentato querela nei confronti del
Parmeggiani per il reato di cui all’art. 612 cod. pen., commesso nello stesso
contesto;
b) il calcolo erroneo della pena. Deduce che il giudice d’appello ha applicato la
pena base di mesi cinque di reclusione, ridotta a mesi tre e giorni 10 di
reclusione per la concessione delle attenuanti generiche, mentre la riduzione di
un terzo avrebbe dovuto portare la pena a mesi tre e giorni 20 di reclusione.
Eccepisce, infine, la prescrizione del reato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
1. Quanto al pilrao motivo, lo stesso ricorrente chiarisce che il Parmeggiani
venne esaminato all’udienza del 22-10-2007 e che a quella data era stato
emesso, il 25-9-2007, nonostante la sua opposizione, decreto di archiviazione
della notizia di reato che riguardava il Parmeggiani. Trova pertanto applicazione
il principio, espresso da questa Corte con sentenza n. 12067 del 17/12/2009,
citata dallo stesso ricorrente, secondo cui “la disciplina limitativa della capacità
testimoniale di cui all’art. 197, comma 1, lettere a) e b), all’art. 197-bis e all’art.
210 c.p.p., non è applicabile alle persone sottoposte a indagini nei cui confronti
sia stato emesso provvedimento di archiviazione”.
E’ ben cero che la deciO. ne suddetta concerne un caso in cui il
provvedimento di archiviazione del Giudice delle indagini preliminari non era
stato impugnato in Cessazione, ma la conclusione non può essere diversa nel
caso – che ci occupa – in cui la testimonianza sia stata assunta mentre era
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(9/u

giustizia per aver provocato a Parmeggiani Remido lesioni personali aggravate,

pendente, avverso il decreto di archiviazione del Giudice di Pace, il ricorso in
sede di legittimità poiché non cambiano i presupposti del ragionamento
spiegato, nell’occoroo, dalle sezioni unite di questa Corte.
La Corte ravvisava, infatti, il fondamento del diritto al silenzio (che è il
cardine intorno a cui ruota il sistema delle incompatibilità) nell’esigenza del
diritto di difesa, che presuppone evidentemente un’accusa dalla quale occorra
difendersi. Tale accusa, veniva precisato, “assume il suo crisma formale e una
sua precisa riferibilità alla pretesa punitiva dello Stato con l’esercizio dell’azione
tuttavia, e in vista del suo possibile verificarsi, cui dà luogo l’iscrizione nel
registro degli indagati, sussiste una situazione suscettibile di determinare
esigenze difensive. Non sembra però che possa dirsi altrettanto allorché, per
l’adozione e l’approvazione di iniziative esattamente antitetiche all’esercizio
dell’azione penale, ogni “immanenza” procedimentale sia cessata nei confronti
del soggetto interessato. Esigenze di equità e razionalità del sistema inducono in
effetti a escludere che possa bastare a giustificare una persistente esigenza
difensiva, con le connesse permanenti limitazioni della capacità testimoniale, un
semplice adempimento burocratico (iscrizione nel registro degli indagati), a
seguito del quale le autorità preposte non siano riuscite ad addivenire alla
formulazione di una specifica accusa meritevole di ulteriore sviluppo, e che
magari è stato il frutto di una mera iniziativa pretestuosa o, peggio, fraudolenta,
di un terzo interessato”.
La stesse esigenze di equità e razionalità del sistema impongono di escludere
l’operatività della regola posta dall’art. 197/bis cod. proc. pen. allorché il
provvedimento di archiviazione del Giudice delle indagini preliminari sia stato
impugnato in Cassazione e sia ancora pendente il relativo procedimento, giacché
anche in questo caso è cessata, nella sostanza, quella “immanenza”
procedimentale cui hanno fatto riferimento le sezioni unite, stanti i rigorosi limiti
di impugnabilità del provvedimento di archiviazione emesso ai sensi dell’art. 409
c.p.p., comma 6 (praticamente, l’impugnazione è consentita solo per violazione
della regola del contraddittorio), e stante il fatto che tali limiti sussistono quale
che sia il procedimento a conclusione del quale viene formulata. Si tratta di una
interpretazione giurisprudenziale pacifica ed ampiamente consolidata (v. per
tutte Cass. Sez. Un., n. 24 del 09/06/1995, Bianchi) ed anche le numerosi
questioni di legittimità costituzionale della suddetta disposizione sono state
reputatamene ritenute manifestamente infondate soprattutto in base al rilievo
che la norma in questione accorda alla parte, che impugni l’ordinanza di
archiviazione emessa dal Giudice delle indagini preliminari a seguito di
opposizione, gli stessi diritti riconosciuti a chi impugna il decreto di archiviazione
e non viola gli artt. 111 e 112 Cost. perché il provvedimento di archiviazione non
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penale da parte del pubblico ministero. Anche prima di questo momento,

ha natura di sentenza e nel contempo il principio della obbligatorietà della azione
penale non comporta la apertura di un processo anche quando esso appaia
palesemente superfluo (v. Cass. 20/09/1991, Di Salvo; Cass. 26/19/1995,
Ronchetti).
Ciò comporta che la valutazione negativa dell’organo titolare dell’azione penale,
debitamente approvata dal giudice competente – ancorché il provvedimento in
cui quella valutazione viene espressa sia astrattamente suscettibile di
impugnazione in Cassazione, e ancorché il provvedimento suddetto venga
simile a quella che si realizza in assenza d’impugnazione, giacché è espressione
di un potere valutativo sostanzialmente insindacabile che, una volta esercitato,
non può portare alla riapertura del procedimento se non nei casi stabiliti dall’art.
414 cod. proc. penale. Di conseguenza, il soggetto nei cui confronti sia avvenuto
l’accertamento dell’inesistenza del fumus delicti da parte del titolare dell’azione
penale (e dell’organo istituzionalmente preposto al controllo) non rimane esposto
a iniziative giudiziarie più di quanto lo sia un qualsiasi cittadino nei cui confronti
non sia mai proceduto all’iscrizione del suo nominativo nel registro delle notizie
di reato.
Anche in questo caso i timori per i possibili pregiudizi del diritto di difesa del
dichiarante sono sostanzialmente analoghi, e sufficientemente scongiurati, dalle
garanzie di cui al comma 2 dell’art. 198 e al comma 1 dell’art. 63 c.p.p.
Deve di conseguenza affermarsi che l’intervenuta archiviazione del procedimento
probatoriamente collegato, seppur sottoposta a ricorso per Cassazione, produce
l’effetto di dissolvere la correlazione qualificata tra le regiudicande e, con essa,
l’incompatibilità ad assumere l’ufficio di (pieno) testimone.
2. Il secondo motivo è inammissibile per infondatezza e assoluta carenza
d’interesse. Il giudice d’appello ha irrogato la pena base di mesi cinque di
reclusione, e l’ha ridotta a mesi tre e giorni 10 di reclusione ex art. 62/bis cod.
pen., applicando nella massima estensione le attenuanti generiche. Il calcolo è
matematicamente esatto e perciò non censurabile. Del resto, non si comprende
dove sarebbe l’interesse del ricorrente a vedersi applicare la maggior pena di
mesi tre e giorni 20 di reclusione.
3. Non è esatto che il reato sia prescritto, giacché, commesso il 16-12-2005, si
prescriverà solo il 16-6-2013.
4. Il ricorso è pertanto inammissibile. Consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma a

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(p-A

effettivamente impugnato – è idonea a creare una situazione di stabilità in tutto

favore della Cassa delle ammende, che, tenuto conto dei motivi del ricorso, si
reputa equo quantificare in C 1.000.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000 a favore della Cassa delle ammende.

Così deciso il 13/6/2013

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