Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32759 del 29/05/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32759 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

Data Udienza: 29/05/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’ANGELO GIOVANNI N. IL 07/06/1980
avverso l’ordinanza n. 1076/2013 TRIB. LIBERTA’ di MESSINA, del
16/12/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
SETTEMBRE;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

(bA

Udito il Procuratore generale della repubblica presso la Corte di Cassazione, dr.
Giovanni D’Angelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto,
con ordinanza del 6/9/013, applicava a D’Angelo Giovanni, su richiesta del
Pubblico Ministero, la misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza per
essersi associato con altri al fine di porre in essere truffe ai danni delle

compagnie di assicurazione (art. 416 cod. pen.) e per aver precostituito elementi
di prova relativi a sei sinistri mai accaduti (art. 642 cod. pen.). Rigettava la
richiesta di applicazione di misura cautelare in relazione a reati di falso
documentale (artt. 48 e 479 cod. pen.), commessi in maniera mediata con
induzione in errore dei medici che avevano stilato falsi certificati di malattia
relativi a sinistri che non si erano verificati.

2. Il Tribunale del riesame di Messina, investito dall’appello del Pubblico
Ministero, con ordinanza del 16/12/2013 ha ravvisato la gravità indiziaria anche
in relazione ai reati di falso e, riformando la decisone del Giudice delle indagini
preliminari, ha applicato a D’Angelo la misura degli arresti domiciliari.

3. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso il difensore dell’indagato
contestando la gravità indiziaria in ordine al reato associativo e ai reati contro la
fede pubblica, nonché la logicità della motivazione con cui è stata aggravata la
misura. Lamenta che la partecipazione di D’Angelo all’associazione è stata
desunta dal suo coinvolgimento in due soli falsi sinistri e che non si è tenuto
conto, in relazione ai reati di falso, dell’indirizzo giurisprudenziale che esclude il
falso per induzione allorché il pubblico ufficiale si sia incautamente affidato, al ,,
fuori di ogni previsione normativa, alle mendaci dichiarazioni del terzo nella sua
attività certificativa. Quanto alle esigenze cautelari poste a base della misura,
contesta che i pochi episodi truffaldini, a cui l’imputato ha partecipato, siano
segno di una partecipazione continuativa all’associazione e che sia stata
adeguatamente motivata l’attualità del pericolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato.
1. Le censure che attengono alla gravità indiziaria per il reato associativo sono
inammissibili. Contro l’ordinanza genetica è stata proposta richiesta di riesame
da parte del prevenuto e appello da parte del Pubblico Ministero. Stante il
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carattere devolutivo dell’appello, è l’appellante che, con l’esposizione dei motivi,
delimita e definisce il petitum e l’ambito di cognizione del giudice d’appello.
Orbene, la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza per il reato associativo è
stata fatta dal giudice del riesame, mentre il Pubblico Ministero ha appellato – ex
art. 310 cod. proc. pen. – la decisione nella parte concernente il falso per
induzione – escluso dal Giudice delle indagini preliminari – e nella parte
concernente la species di misura cautelare ritenuta adeguata al caso concreto. E’

2. E’ corretta la decisione del Tribunale del riesame concernente le falsità
ideologiche contestate. I falsi sinistrati, presentandosi al pronto soccorso e
lamentando patologie inesistenti, posero in essere una condotta idonea a trarre
in inganno i sanitari, i quali, confidando nella verità di ciò che veniva loro
esposto, stilarono certificati medici ideologicamente falsi. La condotta di tali
soggetti è causa efficiente del falso ideologico posto in essere dai medici, per cui
a quei soggetti va imputato, quali autori mediati (come in tutti i casi in cui
l’errore sul fatto che costituisce il reato sia determinato dall’altrui inganno). Né
vale appellarsi alla giurisprudenza che esclude il falso per induzione allorché il
pubblico ufficiale si sia incautamente affidato, al fuori di ogni previsione
normativa, alle mendaci dichiarazioni del terzo nella sua attività certificativa,
giacché non è certo il caso del medico del pronto soccorso, che – per espletare
correttamente la sua attività – deve instaurare un dialogo collaborativo col
paziente, per formulare una diagnosi obbiettiva e instaurare una terapia
adeguata nell’interesse di quest’ultimo, e non muovere dal preconcetto di essere
da lui gabbato. Pertanto, non può dirsi che i medici, autori dei certificati per cui è
processo, si siano incautamente affidati alle dichiarazioni dei pazienti, posto che,
invece, proprio di quelle dichiarazioni dovevano tener conto per espletare al
meglio il loro compito. Non a caso la giurisprudenza citata dal ricorrente (Cass.,
n. 6388 del 15/11/2012) attiene ad un caso del tutto diverso, in cui il pubblico
ufficiale (un segretario comunale) – che aveva l’obbligo di certificare i fatti caduti
sotto la sua diretta conoscenza – si era invece affidato, per la formazione di un
verbale di seduta della giunta municipale, al racconto di un terzo.

3. Infondato è anche l’ultimo profilo di doglianza. Quanto alla sussistenza delle
ravvisate esigenze cautelari ed all’adeguatezza della misura imposta (quella degli
arresti domiciliari), i giudici del merito hanno puntualmente e del tutto
coerentemente motivato, evocando le “concrete modalità di svolgimento del
fatto, caratterizzato dall’aver agito in un contesto associativo in maniera
continuata nel tempo” e dall’aver partecipato in concreto ad alcune truffe, con un
“fondamentale ruolo nella pianificazione e organizzazione” dei sinistri, svolto a

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in relazione questi punti, perciò, che va misurato il ricorso del prevenuto.

stretto contatto col vertice del sodalizio e senza tema di coinvolgere la moglie
nell’attività illecita. Inoltre, hanno compiutamente motivato in ordine alla
inadeguatezza della misura (obbligo di dimora) imposto dal GIP, tenuto conto
che, con essa, il prevenuto rimaneva libero di operare nel luogo in cui erano
state commesse la maggior parte delle truffe; nonché in ordine alla
inadeguatezza di una misura meno afflittiva, in considerazione della particolare
professionalità mostrata dal prevenuto, che gli consentiva di reiterare, altrove, lo
schema truffaldino sperimentato a Barcellona P.G. Il ricorso pertanto non può

che il giudizio sulla adeguatezza della misura rispetto alle esigenze da tutelare
integra un giudizio di fatto che non è censurabile in sede di legittimità tutte le
volte in cui, come nella specie, esso sia condotto e sviluppato nel rispetto delle
regole che presiedono la logica dell’argomentare, e sia altresì fondato su una
serie coerente di ragionevoli letture della realtà, secondo massime di comune
esperienza ed in relazione all’id quod plerumque accidit.

4. L’infondatezza dei motivi passati in rassegna comporta che il ricorso va
rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/5/2014

essere accolto nemmeno sotto il profilo in esame, qui ulteriormente osservandosi

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