Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32740 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32740 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: PISTORELLI LUCA

SENTENZA

sul ricorso proposto dal difensore di:
Di Corato Romualdo, nato a Margherita di Savoia, il 18/4/1940;

avverso la sentenza del 23/11/2012 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Luca Pistorelli;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Gioacchino Izzo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Angelo Mascolo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.La Corte d’appello di Bari confermava la condanna di Di Corato Romualdo per i reati
di bancarotta fraudolenta patrimoniale e bancarotta impropria societaria commessi

Data Udienza: 09/07/2014

nella gestione della Impresa Dicorato s.p.a., della Engineering s.p.a. e della Società
Finanziaria s.p.a., tutte dichiarate fallite nel 1996.
2. Avverso la sentenza ricorre l’imputato a mezzo del proprio difensore articolando
quattro motivi.
2.1 Con il primo deduce il difetto di correlazione tra la contestazione e la sentenza in
ordine ai fatti di bancarotta da falso in bilancio a causa al mancato aggiornamento delle

comma 2 n. 1) legge fall. Con il secondo il ricorrente lamenta il difetto di motivazione
in ordine alla mancata riqualificazione dei fatti contestati ai sensi degli artt. 217 nn. 2 e
4 e 224 legge fall., mentre con il terzo viene censurata la motivazione della sentenza
impugnata in merito alla svalutazione, ai fini della configurabilità dei reati per cui è
intervenuta condanna, del rilevante finanziamento della capogruppo effettuato con
risorse proprie dall’imputato.
2.2 II quarto motivo si articola in diciotto sottopunti (individuati dalle lettere da a) a t)).
Con i primi quindici vengono denunciati vizi motivazionali in ordine alla ritenuta
sussistenza della responsabilità del Di Corato per alcune condotte elencate
rispettivamente nei capi A), B) e C). Con il sedicesimo viene dedotto il difetto di
motivazione sulla concessione delle attenuanti generiche con giudizio di mera
equivalenza sulle contestate aggravanti, mentre con il diciassettesimo analogo vizio
viene prospettato in merito alla mancata riduzione dell’entità della pena. L’ultima
doglianza avanzata dal ricorrente riguarda invece la mancata applicazione dell’indulto
ex I. n. 241/2006.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è parzialmente fondato e deve essere accolto nei limiti che di seguito
verranno esposti.
1.1 In particolare risulta fondato il primo motivo.
1.2 La sentenza di primo grado aveva condannato il Di Corato per i fatti di bancarotta
impropria da reato societario rispettivamente contestati ai capi A2) e C2), riqualificando
però gli stessi ai sensi della formulazione dell’art. 223 comma 2 n.1) legge fall.
introdotta dal d. Igs. n. 61/2002 (ed escludendo la configurabilità dei concorrenti reati
di bancarotta fraudolenta documentale originariamente contestati all’imputato nei
suddetti capi), nonchè ritenendo che le menzionate imputazioni contenessero in sé
anche la contestazione degli elementi, tanto dal punto di vista oggettivo che
soggettivo, caratterizzanti la nuova fattispecie introdotta dalla citata novella.
1.3 Con il gravame di merito l’imputato aveva confutato tali conclusioni, eccependo
l’insussistenza dei presupposti per la menzionata riqualificazione in difetto di specifica

relative imputazioni a seguito delle modifiche apportate dalla I. n. 61/2002 all’art. 223

contestazione dei suddetti elementi, non considerati dalla normativa vigente all’epoca
dell’esercizio dell’azione penale e non descritti nelle imputazioni menzionate.
1.4 Sul punto la sentenza impugnata, nel respingere l’eccezione della difesa, ha per un
verso richiamato giurisprudenza di questa Corte sull’interpretazione del fenomeno
successorio che ha riguardato la norma incriminatrice menzionata in precedenza e per
l’altro, con motivazione eccentrica, rilevato come le condotte contestate integrerebbero
altrettante operazioni dolose la cui esecuzione avrebbe determinato il fallimento delle

1.5 Prendendo le mosse da quest’ultimo rilievo, deve per l’appunto evidenziarsene
l’eccentricità in quanto dal dispositivo della sentenza impugnata emerge chiaramente
come la Corte territoriale non abbia inteso effettivamente riqualificare i fatti menzionati
ai sensi dell’art. 223 comma 2 n. 2) legge fall. (tanto che sul punto ha invece
provveduto a confermare la decisione di primo grado) e dunque non è dato
comprendere quale fosse, nelle intenzioni dei giudici dell’appello, la correlazione
dell’illustrato argomento con le obiezioni svolte con il gravame di merito. In tal senso la
motivazione resa si rivela dunque, a tacer d’altro, manifestamente illogica.
1.6 Per quanto concerne l’altra argomentazione spesa dalla sentenza deve innanzi tutto
ricordarsi che questa Corte a Sezioni Unite ha definitivamente stabilito come la nuova
formulazione delle norme che prevedono i delitti di false comunicazioni sociali e di
bancarotta fraudolenta impropria “da reato societario” ad opera del d. Igs. n. 61/2002
non abbia comportato l’abolizione totale dei reati precedentemente contemplati, ma
abbia determinato una successione di leggi con effetto parzialmente abrogativo in
relazione a quei fatti, commessi prima dell’entrata in vigore del citato decreto
legislativo, che non siano riconducibili alle nuove fattispecie criminose (Sez. Un., n.
25887 del 26 marzo 2003, Giordano ed altri, Rv. 224605). E’ stato peraltro chiarito che
gli elementi specializzanti introdotti nelle fattispecie menzionate dalla riforma del 2002,
qualora non riscontrati in quelle contestate (originariamente o a seguito della modifica
dell’imputazione da parte del pubblico ministero) e specificamente accertati, impongono
l’assoluzione dell’imputato (cfr. Sez. 5, n. 44007 del 28 settembre 2005, Vintaloro ed
altro, Rv. 232804).
1.7 La sentenza impugnata ha omesso di motivare su entrambi i profili indicati e di
rispondere alla doglianza avanzata in proposito con i motivi d’appello, non verificando
in particolare né l’esauriente contestazione degli elementi caratterizzanti la “nuova”
fattispecie incriminatrice (cioè quelli che definiscono i “fatti” di cui agli artt. 2621 e
2622 c.c. come rimodulati nel 2002, nonché il nesso causale tra la condotta imputata e
il dissesto della società), né la sussistenza della prova dei medesimi. La stessa deve
dunque essere annullata limitatamente all’illustrato profilo con rinvio ad altra sezione
della Corte d’appello di Bari per nuovo esame. In tal senso il giudice di rinvio, qualora
rilevi il difetto di contestazione o di accertamento di cui si è detto provvederà alla

società.

rivalutazione del trattamento sanzionatorio. L’accoglimento del primo motivo di ricorso
comporta inoltre l’assorbimento delle doglianze avanzate dal ricorrente ai punti f), g),
h), o) e p) del quarto.
2. Il secondo motivo di ricorso è invece manifestamente infondato e generico riducendosi all’apodittica affermazione della riconducibilità dei fatti contestati allo
schema dell’art. 217 legge fall. – atteso che la Corte territoriale ha, contrariamente a

configurabilità delle diverse ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale facendo
riferimento alle accertate e rilevanti omissioni o manipolazioni contabili registrate dagli
organi fallimentari e dalla perizia contabile nei libri delle fallite. Infondato è firLgte
terzo motivo, atteso che il tentativo dell’imputato di contenere i pesanti passivi delle tre
società mediante l’immissione di risorse personali non è certo comportamento – al di là
dei ristretti limiti dell’ipotesi della bancarotta riparata, peraltro nemmeno evocata dal
ricorrente – in grado di “compensare” eventuali condotte distrattive o dissipative da lui
poste in essere, né anche solo di escludere l’imputabilità soggettiva delle medesime al
Di Corato, atteso che i fatti di bancarotta patrimoniale e documentale contestatigli non
presuppongono né la rappresentazione, né tantomeno la volontaria causazione del
dissesto e risulta dunque irrilevante che a monte l’imputato sia stato mosso
dall’intenzione – peraltro incompatibile con le accertate distrazioni – di “salvare” il
gruppo a lui riconducibile.
3. Passando all’esame delle altre censure svolte nel quarto motivo, altrettanto
generiche si rivelano quelle di cui ai punti: a)/ atteso che il ricorrente contesta sul punto
la sentenza facendo riferimento all’omessa valutazione di documenti che non vengono
compiutamente identificati; c), atteso che la doglianza non è minimamente correlata
alla motivazione della sentenza, la quale dà an del mancato rinvenimento dei beni
oggetto di contestazione ‘~ motivazioneréstata altresì travisata dal ricorrente,
posto che l’eventuale smarrimento dei suddetti beni a causa della “confusione” creatasi
all’atto dell’inventario non è argomento speso dalla Corte territoriale, bensì la fragile
difesa opposta dall’imputato sul punto nel corso del dibattimento; m) ) atteso che i
giudici dell’appello hanno reso ampia motivazione in merito al ruolo egemone svolto
dall’imputato nella gestione della Società Finanziaria, anche oltre i poteri derivatigli
dalle cariche sociali comunque ricoperte in seno alla medesima; motivazione con la
quale il ricorrente non si confronta, limitandosi a negare in maniera apodittica che dalle
risultanze processuali possa ricavarsi l’attribuita qualifica di amministratore di fatto
della fallita; n) atteso che la sentenza ha ampiamente motivato sull’influenza del parere
dell’avv. Operamolla ai fini della configurabilità dell’elemento soggettivo della condotta
incriminata in ragione della consapevolezza da parte dell’imputato delle difficoltà

quanto sostenuto dal ricorrente, specificamente argomentato in ordine alla

finanziarie in cui versava I.T.C. e del fatto che gli investimenti proseguirono anche
dopo che il menzionato professionista aveva lasciato Società Finanziaria,
argomentazioni con cui per l’ennesima volta il ricorrente ha omesso di confrontarsi; q),
atteso che anche con riferimento alle distrazioni di cui al capo C3) il ricorso non risulta
correlato al discorso giustificativo svolto dalla Corte territoriale, limitandosi ad asserire
– senza peraltro precisare da dove risulterebbe la circostanza – che i beni oggetto di
distrazione sarebbero stati “regolarmente rinvenuti”; in proposito va peraltro ricordato

l’apertura del fallimento non è circostanza in grado di elidere il reato di bancarotta
patrimoniale già perfezionatosi in tutti i suoi elementi costitutivi.

4. Manifestamente infondate devono invece ritenersi le doglianze svolte nei seguenti
punti del quarto motivo: b) ed e), atteso che in tema di bancarotta fraudolenta, poiché
le imprese devono perseguire i loro interessi esclusivamente con le modalità consentite
dall’ordinamento, le erogazioni effettuate per fini illeciti, anche se compiute nel
presunto interesse della società, costituiscono “distrazione”; ciò in quanto esse, da un
lato, non sono certamente riconducibili all’oggetto sociale, dall’altro, provocano,
indubbiamente, un depauperamento del patrimonio a disposizione dei creditori; a
costoro, infatti, non solo viene sottratta la possibilità di soddisfarsi, eventualmente, sui
beni della società, ma anche quella di individuare una contropartita, corrispondente alla
illecita erogazione, sulla quale rivalersi in caso di fallimento (Sez. 5, n. 12897 del 6
ottobre 1999, Tassan Din B., Rv. 214862); non di meno deve osservarsi che i giudici di
merito hanno rilevato come sia stato accertato che il Di Corato non fu vittima di
concussione, bensì autore di fatti di corruzione, circostanza che ancor di più rivela
l’estraneità all’oggetto sociale delle condotte contestatigli; d), atteso che l’impiego di
importanti risorse nell’acquisto di beni immobili per scopi estranei agli scopi sociali,
beni in parte affidati in comodato a terzi, è condotta correttamente inquadrata dai
giudici del merito nello schema della bancarotta dissipativa; in tal senso va ricordato
infatti che l’imprenditore – ed a maggior ragione l’amministratore di una società di
capitali – è posto dal nostro ordinamento in una posizione di garanzia nei confronti dei
creditori, i quali ripongono la garanzia dell’adempimento delle obbligazioni dell’impresa
sul patrimonio di quest’ultima, donde la diretta responsabilità d&gestore di questa
dit
e
ricchezza per la sua conservazione in ragione dell’integrità della aranzia; pertanto la
perdita ingiustificata del patrimonio o l’elisione della sua consistenza danneggia le
aspettative della massa creditoria ed integra l’evento giuridico sotteso dalla fattispecie
di bancarotta fraudolenta (Sez. 5, n. 7588 del 26 gennaio 2011, Buttitta e altri, in
motivazione); per mera completezza va infine rilevato che se, come ipotizzato dal
ricorrente, i beni immobili di cui sopra non fossero stati intestati alle fallite, ma
direttamente all’imputato che li utilizzava o consentiva che altri estranei alle società li

che l’eventuale recupero da parte degli organi della procedura di quanto distratto dopo

utilizzassero, effettivamente non sarebbe stato possibile contestargli la dissipazione
delle risorse sociali, ma molto più semplicemente la loro distrazione; i) atteso che il
/o erazione la
finanziamento immotivato di altra società del gruppo senza che dall p
finanziatrice ricavi vantaggi compensativi – nemmeno prospettati nel ricorso – è per
consolidata giurisprudenza condotta che integra il reato di bancarotta fraudolenta
patrimoniale, dimenticando il ricorrente come l’autonomia patrimoniale delle diverse
società del gruppo comporti che le stesse altrettanto autonomamente debbano

dallo stesso amministratore persona fisica costituisce semmai sintomo ulteriore
dell’illiceità della condotta,• l) Iatteso che ai fini della configurabilità del reato di
bancarotta fraudolenta documentale assumono rilevanza le condotte fraudolente che
abbiano ad oggetto scritture contabili anche diverse da quelle la cui tenuta è
obbligatoria ai sensi dell’art. 2214 cod. civ., alle quali fa esclusivo riferimento l’art. 217,
comma secondo, ma non anche l’art. 216, comma primo, n. 2 I. fall. (Sez. 5, n. 22593
del 20 aprile 2012, Pupillo, Rv. 252973).

5. Infondata è poi la censura svolta al punto r) del quarto motivo, atteso che i giudici
d’appello hanno adeguatamente motivato sul diniego opposto ad un più favorevole
bilanciamento delle pur concesse attenuanti generiche, facendo in tal senso
riferimento alla gravità delle conseguenze economiche dei reati contestati e all’elevato
numero di illeciti commessi dall’imputato, dovendosi ricordare in proposito come le
statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una
valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di
legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano
sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi perfino quella che, per
giustificare la soluzione dell’equivalenza, si sia limitata anche solo a ritenerla la più
idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. Un., n. 10713
del 25 febbraio 2010, Contaldo, Rv. 245931). Ed in tal modo la Corte territoriale ha
altresì implicitamente, ma in maniera esauriente e logica, risposto alle doglianze di cui
al punto s) in ordine alla mancata revisione dell’entità della pena, sulle quali il
ricorrente ha lamentato il difetto di motivazione.

6. Quanto infine alla mancata concessione dell’indulto ex I. n. 241/2006 lamentata al
punto t) del quarto motivo, la doglianza è inammissibile dovendo ribadirsi il
consolidato orientamento di questa Corte – che il ricorrente contesta con argomenti
privi di pregio in quanto non tengono conto di quanto disposto dall’art. 656 c.p.p. in
riferimento all’età dell’imputato nel caso concreto – per cui la mancata applicazione
dell’indulto può costituire valido motivo di ricorso in cassazione solo quando il giudice
di merito abbia erroneamente escluso l’applicazione del beneficio e non anche quando

garantire ognuna i propri creditori, mentre la circostanza che le stesse fossero guidate

abbia semplicemente omesso di pronunciare al riguardo (Sez. 4, n. 1869/14 del 21
febbraio 2013, Leo, Rv. 258174).
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della
Corte d’appello di Bari limitatamente ai fatti qualificati come bancarotta impropria da

Così deciso il 9/7/2014

reato societario di cui ai capi A2) e C2). Rigetta nel resto il ricorso.

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