Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32733 del 14/04/2014


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32733 Anno 2014
Presidente: DUBOLINO PIETRO
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCAMINACI LUIGINA N. IL 18/05/1963
avverso la sentenza n. 981/2010 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 25/10/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO
chela-conclusaper–

Udito, per la parte ivile, l’Avv
Uditi difensor vv.

t

Data Udienza: 14/04/2014

Udito il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte
di cassazione dott. E. Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Luigina Scaminaci è stata tratta a giudizio dinanzi al Tribunale di Enna per
rispondere dei seguenti reati: A) artt. 56, 48, 479 cod. pen., perché, all’atto
della presentazione della dichiarazione di successione del marito Vincenzo

non ne facevano parte e corredando tali false asserzioni con centinaia di false
visure catastali come indicato nel successivo capo di imputazione, compiva atti
idonei ed univocamente diretti ad indurre l’Agenzia delle Entrate di Enna ad
effettuare provvedimenti di voltura catastale attestanti fatti non corrispondenti al
vero (in Enna, il 28/12/2006); B) artt. 81 cpv., 482, 61 n. 2, cod. pen., perché,
in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, contraffaceva oltre 250
“visure” catastali (in Nicosia, il 28/12/2006).
Con sentenza deliberata all’esito del giudizio abbreviato il 10/12/2009, il
Tribunale di Enna condannava l’imputata per il reato sub A), riqualificandolo ai
sensi dell’art. 483 cod. pen., e per il reato sub B), riqualificandolo ai sensi degli
artt. 489, secondo comma, e 61 n. 2 cod. pen.
Con sentenza deliberata in data 25/10/2012, la Corte di appello di
Caltanissetta ha dichiarato assorbito il reato di cui all’art. 489 cod. pen. nel reato
di cui all’art. 483 cod. pen. contestato sub A), confermando nel resto la sentenza
di primo grado. La Corte di merito ha rilevato quanto segue: l’imputata non ha in
radice contestato né la non corrispondenza al vero della dichiarazione di
successione prodotta in atti, né la falsità delle visure catastali dell’Agenzia del
Territorio allegate alla suddetta dichiarazione; deve ritenersi provato che
l’imputata ha presentato all’Agenzia delle Entrate una falsa dichiarazione di
successione con allegate visure catastali falsificate, apparentemente rilasciate
dall’Agenzia del Territorio, dichiarazione presentata all’Agenzia delle Entrate di
Nicosia, che si limitava a recepirla, per poi eventualmente provvedere altri enti
alle volture successive; è indubbio che la presentazione di una falsa denuncia di
successione, di cui le false visure dell’Agenzia del Territorio sono a tutti gli effetti
parte integrante, vìola le norme giuridiche che attribuiscono, esplicitamente o
implicitamente, alle suddette visure e alla denuncia di successione la funzione di
provare i fatti attestati dal pubblico ufficiale; nel caso in esame, avendo
l’imputata dichiarato di essere proprietaria di beni, in realtà mai posseduti, nelle
visure false prodotte, atti non destinati ad essere trasfusi in un atto del pubblico
ufficiale ricevente, sussiste il reato contestato; nel reato contestato al capo A)

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Cantali, con inganno consistito nell’indicare nella massa ereditaria immobili che

deve ritenersi assorbito quello ex art. 489 cod. pen. di cui al capo B), in quanto
l’imputata era l’autrice del falso e ha materialmente firmato la denuncia di
successione allegando le false visure, sicché l’uso dell’atto falso rientra nella
condotta già unitariamente contestata con riguardo all’art. 483 cod. pen.; non
sussiste la dedotta diversità del fatto contestato ai sensi degli artt. 521 e 522
cod. proc. pen, in quanto, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, è
legittima la riqualificazione del fatto originariamente contestato a norma degli
artt. 56, 48, 479 cod. pen. nel reato di falso ideologico; quanto alla censura

prevede che la riqualificazione del reato contestato consenta all’imputato di
dedurre il difetto di competenza del giudice adito, la giurisprudenza
costituzionale si è già pronunciata nel senso della manifesta infondatezza.

2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Caltanissetta ha
proposto ricorso per cassazione, nell’interesse di Luigina Scaminaci, il difensore
avv. Buscemi, articolando cinque motivi di seguito enunciati nei limiti di cui
all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Inosservanza dell’art. 522, comma 1, in relazione all’art. 521, comma
2, cod. proc. pen. per difetto di correlazione tra il fatto contestato e il fatto
ritenuto in sentenza. Il processo di primo grado si è svolto ipotizzando il fatto
imputato come tentativo di induzione in errore dell’Agenzia del Territorio di Enna
per la commissione del reato di falso in atto pubblico attuato mediante induzione
in errore del funzionario addetto / cui sarebbe stato chiesto di “effettuare
provvedimenti di voltura catastale attestanti fatti non corrispondenti al vero”. La
sentenza di condanna di primo grado, nonché quella di appello, non si è limitata
a qualificare diversamente gli stessi fatti, ma ha condannato l’imputata per un
fatto ontologicamente diverso e fenomenologicamente avvenuto altrove,
consistente in un reato consumato di falsità ideologica del privato nell’atto
pubblico asseritamente costituito dalla dichiarazione di successione presentata
all’Agenzia delle Entrate di Nicosia il 28/12/2006; in questo modo si è privato di
ogni rilievo giuridico e pratico la sentenza dichiarativa di incompetenza per
territorio emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Nicosia. L’imputata si è difesa
dall’imputazione di “tentativo di induzione in errore dell’Agenzia del Territorio di
Enna” che non postulava quale illecito penale la dichiarazione di successione e ha
focalizzato la sua attenzione sull’accusa di aver tentato di aggiornare falsamente
i pubblici registri dell’Agenzia del Territorio. Erroneamente la Corte di appello
sostiene che la falsità della dichiarazione non è mai stata messa in discussione
dalla difesa, in quanto l’imputata ha focalizzato la sua attenzione sull’aspetto
processuale di cui al capo di imputazione. I giudici di merito sono incorsi nella

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relativa all’incostituzionalità dell’art. 491 cod. proc. pen. nella parte in cui non

denunciata nullità della sentenza per difetto di correlazione tra il fatto come
contestato nell’imputazione e il fatto ritenuto in sentenza, che viene qualificato
come diverso delitto e, soprattutto, trasformato da reato tentato in Enna di
induzione in errore di pubblico ufficiale in delitto consumato in Nicosia e
commesso direttamente senza alcuna mediazione di altri indotti in errori, con
evidenti riverberi sulla competenza per territorio.
2.2. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità della
sentenza perché emessa da giudice incompetente per territorio, previa eventuale

agli artt. 25, comma 1, 3, 24 e 111, comma terzo, Cost. Con i motivi di appello
l’imputata ha denunciato la violazione della regola sulla competenza per territorio
da parte del giudice di primo grado a seguito della riqualificazione
dell’imputazione, ma la Corte di appello ha respinto il gravame citando
giurisprudenza costituzionale attinente a profili di diritto diversi da quelli invocati.
2.3. Inosservanza delle norme processuali e vizio di motivazione. La difesa
ha denunciato la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 522, comma 1, in
relazione all’art. 521, comma 2, cod. proc. pen. in quanto il G.I.P. di Enna,
precedentemente dichiarato competente per territorio dal G.U.P. del Tribunale di
Nicosia, ha condannato l’imputata per l’asserita falsa dichiarazione all’Agenzia
delle Entrate di Nicosia ex art. 483 cod. pen., ritenendo il fatto quale reato
consumato commesso in Nicosia, anziché mantenere la qualificazione di cui agli
artt. 56, 48, 479 cod., di cui all’imputazione, quale reato tentato commesso in
Enna al fine di “effettuare provvedimenti di voltura catastale attestante fatti non
corrispondenti al vero”.
2.4. Inosservanza della legge penale e vizio di motivazione. Contrariamente
a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la dichiarazione di successione non
rientra tra gli atti presi in considerazione dal d.P.R. n. 445 del 2000 e nel
modello di successione non è riportato alcun ammonimento in ordine alle
sanzioni penali di cui all’art. 76 del citato d.P.R.
2.5. Inosservanza della legge penale e vizio di motivazione. La dichiarazione
di successione non è un atto pubblico, non viene presentata a un pubblico
ufficiale e non serve ad attestare fatti dei quali l’atto è destinato a provare la
verità, avendo esclusivamente finalità fiscali e catastali, come è confermato
dall’art. 32, comma 3, del d. Igs. n. 346 del 1990, che ricollega l’infedeltà solo
all’indicazione di valori inferiori o di oneri e passività inesistenti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso merita accoglimento secondo quanto di seguito indicato.

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questione di legittimità costituzionale dell’art. 24 cod. proc. pen. in riferimento

Il primo e il terzo motivo – da esaminarsi congiuntamente per le
interferenze delle rispettive censure – sono fondati nei termini di seguito
specificati.
L’imputazione originariamente formulata nei confronti di Luigina Scaminaci
le contestava, ex artt. 56, 48, 479 cod. pen., di aver compiuto, all’atto della
presentazione della dichiarazione di successione del marito, con inganno
consistito nell’indicare nella massa ereditaria immobili che non ne facevano parte
e corredando tali false asserzioni con centinaia di fale visure catastali, atti idonei

provvedimenti di voltura catastale attestanti fatti non corrispondenti al vero; il
fatto è stato riqualificato a norma dell’art. 483 cod. pen. (fattispecie
incriminatrice nella quale la Corte di appello ha ritenuto assorbita quella ex art.
489 cod. pen. ritenuta dal giudice di primo grado con riguardo all’originario
secondo capo di imputazione). A fronte di ciò, la sentenza impugnata,
confermando quella di primo grado, ha ritenuto provata la presentazione da
parte dell’imputata all’Agenzia delle Entrate di una falsa dichiarazione di
successione con allegate visure catastali falsificate, apparentemente rilasciate
dall’Agenzia del Territorio, precisando che la presentazione di una falsa denuncia
di successione, di cui le false visure dell’Agenzia del Territorio sono a tutti gli
effetti parte integrante, Viola le norme giuridiche che attribuiscono,
esplicitamente o implicitamente, alle suddette visure e alla denuncia di
successione la funzione di provare i fatti attestati dal pubblico ufficiale: nella
prospettazione accolta dalla sentenza impugnata, dunque, il fatto per il quale è
intervenuta condanna è la presentazione di una falsa denuncia di successione
(con le visure che ne costituiscono parte integrante) che ha la funzione di
provare i fatti attestati dal pubblico ufficiale e non di indurre l’adozione di
provvedimenti di voltura catastale attestanti fatti non corrispondenti al vero
(rilievo, questo, alla base dell'”ontologica diversità” del fatto denunciata dal
primo motivo e del vizio di motivazione di cui al terzo motivo di ricorso). A
quest’ultima destinazione la Corte di merito fa riferimento laddove afferma che la
dichiarazione era presentata all’Agenzia delle Entrate, che si limitava a recepirla,
per poi eventualmente provvedere altri enti alle volture successive: la
prospettazione in termini di mera eventualità dell’adozione di provvedimenti di
voltura catastale, tuttavia, non è idoneq, sul piano della tenuta argomentativa
della decisione impugnata, a dar conto del rapporto tra la dichiarazione
presentata all’Agenzia delle Entrate e l’adozione dei provvedimenti indicati; in
altri termini, la Corte di merito non ha specificato le ragioni per le quali, nella
fattispecie concreta, la dichiarazione presentata non avesse finalità solo fiscali,

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ed univocamente diretti ad indurre l’Agenzia delle Entrate ad effettuare

ma fosse anche effettivamente funzionale o, comunque, collegata all’adozione
dei provvedimenti di voltura catastale di cui all’imputazione.
Sussiste, dunque, nei termini prospettati, il vizio di motivazione indicato,
sicché – assorbite le ulteriori doglianze – la sentenza impugnata deve essere
annullata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di
Caltanissetta.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione
della Corte di appello di Caltanissetta.
Così deciso il 14/04/2014

P.Q.M.

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