Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32704 del 17/04/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32704 Anno 2014
Presidente: DI VIRGINIO ADOLFO
Relatore: DE AMICIS GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FALCONE FAUSTO N. IL 12/12/1959
avverso la sentenza n. 2477/2011 CORTE APPELLO di L’AQUILA,
del 15/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. /€065- tZ-,9-22
che ha concluso per
U■

e

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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79-11(7 “.E LL c.2

Data Udienza: 17/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 aprile 2013 la Corte d’appello di L’Aquila ha confermato la
sentenza emessa dall Tribunale di Avezzano in data 24 settembre 2010, che all’esito di
rito abbreviato dichiarava Fausto Falcone responsabile del reato di cui all’art. 388 c.p.,
condannandolo alla pena di mesi due di reclusione ed euro 30,00 di multa, oltre al
risarcimento dei danni cagionati alla parte civile, Mancinelli Salvatore, per avere, nella sua
qualità di amministratore di fatto della FASTER s.a.s. e della FABENE s.r.I., sottratto un
bene (lettino abbronzante integrale del valore di 15.000,00 euro) sottoposto a
pignoramento ed affidato alla sua custodia, che vendeva alla AMIRA s.r.l. di Cestra

1.1. Secondo la ricostruzione dei fatti compiuta dai Giudici di merito, il 14 febbraio
2007, su richiesta della parte creditrice “Elettra Servizi” di Salvatore Mancinelli, veniva
eseguito il pignoramento del bene su indicato nei confronti della società “Faster”, di cui
era socio accomandante il Falcone: in quella sede, egli veniva nominato custode del bene,
con l’obbligo espresso di tenerlo a disposizione della Autorità giudiziaria e di custodirlo nel
luogo del rinvenimento. A seguito della denunzia-querela presentata dal Mancinelli, che
lamentava, tra l’altro, l’utilizzo del bene, la Guardia di Finanza eseguiva un soOralluogo
presso il centro benessere inizialmente gestito dalla società “Faster” ed accertava che il
lettino abbronzante, nonostante il vincolo pignoratizio, era effettivamente in uso, e che la
su indicata società “Amira” s.r.I., nel frattempo subentrata nella gestione della relativa
attività, aveva acquistato tutti i macchinari, ivi compreso il bene mobile su indicato.

2. Avverso la suddetta pronuncia della Corte d’appello ha proposto ricorso per
cassazione il difensore di fiducia dell’imputato, deducendo vizi di violazione di legge e
carenze motivazionali in relazione agli artt. 2913 c.c. e 388 c.p., per essere stata
trascurata la circostanza secondo cui il bene in questione era stato acquistato da un terzo,
Cestra Augusto, amministratore della Amira s.r.I., unitamente ad altri beni facenti parte di
un’azienda che egli rilevò, con la conseguenza che il bene pignorato era ricompreso in
un’universalità di mobili come tale sottratta, per il disposto di cui all’art. 1156 c.c.,
all’operatività del principio sancito dall’art. 1153 c.c., riguardo al possesso di buona fede.
La vendita del bene pignorato era comunque inefficace nei confronti del creditore
pignorante, non ritenendosi necessaria al riguardo la tutela della buona fede, atteso che il
valore e l’importanza delle cose costituenti un’universalità di beni postula l’accertamento
della legittimità della loro provenienza.
In tal senso si deduce, in definitiva, che la sottrazione non può discendere
direttamente dalla circostanza di fatto relativa alla vendita del bene, il cui spostamento,
peraltro, è avvenuto solo dietro autorizzazione del Giudice dell’esecuzione, essendo
sempre rimasto nel luogo ove era stato pignorato, con la conseguente inesistenza
dell’elemento intenzionale del reato contestato.

1

Augusto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è infondato e va pertanto rigettato per le ragioni di seguito indicate.

4.

L’atto dispositivo del bene pignorato, posto in essere da colui che, come il

custode, è direttamente a conoscenza degli obblighi specificamente riconducibili al vincolo
giudiziario gravante sullo stesso, integra il reato in esame poichè rende comunque
difficoltosa la efficace e pronta attuazione del diritto vantato dal creditore pignorante, a
prescindere dal rilievo inerente alla cd. “amotio”.
In tal senso, dunque, deve ritenersi irrilevante la deduzione difensiva inerente alla

comunque dovrebbe adire la via giudiziaria per far accertare il suo diritto in caso di
contestazione da parte del terzo di buona fede.
La impugnata pronuncia, dunque, ha fatto buon governo del quadro di principii
stabilito da questa Suprema Corte, secondo cui la fattispecie incriminatrice in esame è
configurabile non solo quando la condotta sia obiettivamente idonea ad impedire la
vendita della cosa pignorata, ma anche quando crei per gli organi della procedura
esecutiva ostacoli o ritardi nel reperimento del compendio esecutato (Sez. 6, n. 179 del
02/10/1984, dep. 10/01/1985, Rv. 167317).
In tale prospettiva, infatti, si è osservato che la condotta di “sottrazione”, pur
dovendosi definire in ragione della natura e del regime giuridico dei beni coinvolti assumendo la stessa, corrispondentemente, estrinsecazioni diverse (v. Sez. 6, n. 31979
del 08/04/2003, dep. 29/07/2003, D’Angelo, Rv. 226220; Sez. 6, n. 42582 del
22/09/2009, dep. 06/11/2009, P.M. in proc. Mazzone, Rv. 244853) – costituisce una delle
condotte alternative mediante le quali può realizzarsi il delitto in esame, ed esercita
anche, rispetto alle altre, un ruolo di chiusura improntato all’esigenza di sanzionare ogni
comportamento contrassegnato dalla direzione e dall’attitudine a ledere l’interesse
tutelato, che è quello alla conservazione del vincolo di natura privatistica apposto su
determinati beni, in funzione del corretto conseguimento delle finalità la cui attuazione
esso specificamente viene a presidiare.
Sotto tale profilo, pertanto, si è ritenuta rilevante ogni attività idonea a rendere non
solo impossibile, ma anche semplicemente più difficoltosa la concreta attuazione delle
pretese, delle facoltà e dei diritti il cui pieno soddisfacimento l’ordinamento giuridico
intende in tal guisa tutelare (v. Sez. 6, n, 179 del 02/10/1984, dep. 10/01/1985, cit.;
Sez. 6, n. 4312 del 07/02/1985, dep. 07/05/1985, Scioscia; Sez. 6, n. 49895 del
03/12/2009, dep. 30/12/2009, P.M. in proc. Ruocco).
Ne consegue che il reato di sottrazione di cose sequestrate o pignorate sussiste ogni
qual volta si ponga in essere un’azione diretta ad eludere il vincolo, cioè a rendere
impossibile o difficile la realizzazione delle finalità cui la cosa, per effetto dell’imposizione
del vincolo stesso, è rivolta, e ciò anche a prescindere dal rilievo di una materiale amotio
del bene (Sez. 6, n. 4630 del 07/02/1984, dep. 18/05/1984, Rv. 164271).
Deve, infine, ribadirsi che, ai fini della configurazione dell’elemento psicologico del
delitto de quo, è richiesto il dolo generico, il quale deve ritenersi integrato dalla

2

prospettata inefficacia della vendita nei confronti del creditore pignoratizio, poiché egli

conoscenza del vincolo giudiziario e dalla volontà dell’atto dispositivo, indipendentemente
dal materiale spostamento del bene ovvero dallo scopo avuto di mira dall’agente.

5. Al rigetto del ricorso, conclusivamente, consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali, ex art. 616 c.p.p. .

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Il Consigliere estensore

I Presidente

Così deciso in Roma, lì, 17 aprile 2014

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