Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32687 del 11/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32687 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma
avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma sez. riesame in data 1/4/2014 nel
procedimento nei confronti di:
Bianchi Andrea nato a Roma il 7/3/1952
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso nonché la memoria
depositata in cancelleria dall’avv. Fabio Baglioni nell’interesse di Bianchi
Andrea;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di

Data Udienza: 11/07/2014

Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso del P.M.
udito per l’indagato l’avv. Fabio Baglioni che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 6/3/2013 il giudice per le indagini preliminari del
tribunale di Roma disponeva nei confronti di Bianchi Andrea il sequestro
preventivo per equivalente di un immobile del valore stimato di C

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279.741,00 in relazione all’ipotesi di reato di cui all’art. 640 commi 1 e 2 n.
1 cod. pen.
1.1. Avverso tale provvedimento proponeva istanza di riesame Bianchi
Andrea la mancanza del fumus del delitto ipotizzato.
1.2. Il Tribunale di Roma con ordinanza del 1/4/2014, annullava il decreto
impugnato ordinando la restituzione di quanto in sequestro al Bianchi.

sollevando il seguente motivo di gravame: inosservanza od erronea
applicazione della legge penale, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod.
proc. pen. Fa al riguardo rilevare che i rapporti di lavoro instaurati dal
Bianchi con il Comune e la Regione sono viziati da una causa illecita poiché
contraria a norme imperative ex art 1343 cod. civ che attengono a principi
giuridici fondamentali nell’ordinamento sulla base dell’art. 97 Cost.
Segnatamente evidenzia che la violazione delle norme che riguardano i
requisiti generali che devono sussistere all’atto dell’assunzione senza
concorso del personale dirigenziale della RA. comporta la nullità del rapporto
contrattuale per illiceità della causa, senza la possibilità di applicazione
dell’art. 2126 cod. civ. per contrasto con norme fondamentali
dell’ordinamento

giuridico

concernenti

il

buon

andamento

dell’amministrazione.
2.1. Con motivi aggiunti il RM. ricorrente eccepiva ulteriormente violazione
di legge, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. b) cod. proc. pen., facendo
riferimento alla giurisprudenza della Corte Costituzionale in tema di
legittimità delle leggi regionali che disciplinavano l’assunzione di personale
esterno all’Amministrazione. Segnatamente evidenziava come sulla base
delle affermazioni della Corte era consentita una deroga ai criteri statali di
cui al d. Igs. n. 165 del 2001 solo a condizione che si prevedano, in
alternativa, altri criteri di valutazione ulteriormente idonei a garantire la
competenza e la professionalità dei soggetti di cui ci si avvale e ad
assicurare che la scelta dei collaboratori avvenga secondo i canoni della
buona amministrazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso deve essere rigettato per essere infondati i motivi proposti.
Difatti il Tribunale, con articolata motivazione, si è uniformato alla

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2. Ricorre per Cassazione il Pubblico Ministero presso il Tribunale di Roma,

costante elaborazione giurisprudenziale di questa Corte, condivisa dal
Collegio, da ultimo compendiata in una recente decisione della sesta
sezione penale di questa Corte (sez. 6 n. 35320 del 2/5/2013, Rv. 256938)
pure richiamata nel provvedimento impugnato, in tema di

iniusta

locupletatio nell’ipotesi di truffa in attività lavorativa. Ed appunto, in linea
con un indirizzo giurisprudenziale consolidato facente capo ad una
decisione delle sezioni unite, si è affermato che è palese l’intenzione del

le prestazioni effettivamente espletate dal lavoratore, a meno che il
contratto non urti, con la partecipazione di entrambi i contraenti, che
intenzionalmente attribuiscono al negozio come funzione obiettiva una
comune finalità contraria alla legge, con indirizzi vitali per l’integrità
dell’ordinamento o sia in contrasto con quei valori giuridici considerati
essenziali all’interno del sistema giuridico, ovvero l’attività lavorativa resa
configuri un oggetto illecito, risulti cioè intrinsecamente illecita per avere,
normalmente, per il suo contenuto, rilevanza penale (sez- U n. 1 del
16/12/1998, Rv. 212081). In sostanza affinchè non operi la speciale tutela
accordata dal legislatore al rapporto di lavoro nullo occorre l’illiceità della
causa del contratto, che non può essere ravvisata nella mera ristretta
legalità, ma nel contrasto con norme fondamentali e generali o con principi
basilari pubblicistici dell’ordinamento.
Ora nel caso di specie il Tribunale del riesame di Roma, all’esito di
una precisa ricostruzione dei rapporti di lavoro indicati nella provvisoria
contestazione, con valutazione di merito non censurabile in questa sede
perché puntuale in fatto e corretta in diritto, ha escluso che nei contratti di
lavoro ottenuti dal Bianchi attraverso l’allegazione di un curriculum vitae
ove veniva attestato falsamente il conseguimento della laurea in
giurisprudenza fosse ravvisabile una illiceità della causa per contrarietà ai

legislatore, con le disposizioni contenute nell’art. 2126 cod. civ., di tutelare

principi basilari dell’ordinamento, nel senso sopra specificato dalle sezioni
unite di questa Corte. Appare, in proposito, significativo quanto evidenziato
nel provvedimento impugnato circa la natura strettamente fiduciaria del
rapporto che esisteva fra l’indagato Bianchi ed il soggetto politico
proponente che era all’origine dei contratti di lavoro in questione; il tutto
prescindendo dalla non accertata necessità della laurea per l’adempimento
delle prestazioni oggetto dei contratti incriminati. Tale constatazione ha
consentito al Tribunale del riesame di escludere che le prestazioni
lavorative eseguite dal Bianchi fossero state prive di qualsiasi utilità per le

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strutture presso le quali lo stesso ha svolto la sua attività con la
conseguenza che i compensi percepiti in ragione delle stesse non potevano
essere qualificati come profitto del reato, sottoponibile a sequestro
funzionale alla confisca ai sensi dell’art. 322 ter cod. pen. Le suddette
considerazioni impediscono di ravvisare nel caso di specie quella cosiddetta
illiceità forte, pure richiamata dalle sezioni unite, ed invocata dal RM.
ricorrente, con riferimento al principio di buon andamento della pubblica

Ed infine osserva il Collegio che la giurisprudenza richiamata dal
RM. ricorrente non si pone affatto in contrasto con il citato indirizzo
giurisprudenziale, essendosi ravvisata l’integrazione del reato di truffa
finalizzata all’assunzione ad un pubblico impiego in una fattispecie del tutto
peculiare e non equiparabile a quella oggetto del presente ricorso: si
trattava, infatti, in entrambe le decisioni citate, dell’assunzione in qualità di
infermiere presso una struttura ospedaliera, nel primo caso pubblica e nel
secondo caso privata, ottenuta dall’imputato mediante false attestazioni; la
Corte aveva, condivisibilmente, evidenziato il coinvolgimento dell’interesse
collettivo alla tutela della salute, cui corrisponde la necessità di specifici
requisiti di idoneità professionale in ragione della peculiarità del rapporto di
lavoro ottenuto dall’imputato a mezzo delle false attestazioni (sez. 2 n.
8584 del 3/2/2010, Rv. 246636; sez. 2 n. 15669 del 2/472009, Rv.
244053).

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deliberato in camera di consiglio, 11 luglio 2014

relli Palombi di Montrone

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amministrazione, a sostegno della propria impugnazione.

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