Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32669 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32669 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Emilio Persichetti, quale difensore della
terza interessata (P.O.) Moro Annunziata (n. il 25.03.1924), avverso
l’ordinanza del Tribunale di Roma, in data 20/11/2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor sante Spinaci,
il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito l’Avvocato Emilio Persichetti, difensore della terza interessata (P.O.)
Moro Annunziata, il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 09/04/2014

Osserva:
i.

Con provvedimento del 09.07.2013, il G.I.P. del Tribunale di Roma
respinse l’istanza di revoca del sequestro preventivo – disposto nell’ambito
del procedimento penale a carico di Godoy de Videla, membra
dell’associazione C.o.s.e. Trinitas, per il reato di circonvenzione di persona
incapace – e la contestuale richiesta di restituzione dell’immobile di proprietà

della ricorrente persona offesa.
Avverso tale provvedimento la terza interessata e parte offesa Moro
Annunziata propose appello, ma il Tribunale del riesame di Roma, con
ordinanza del 20.11.2013, lo respinse.
Ricorre per cassazione il difensore della terza interessata Moro
Annunziata deducendo la mancanza e illogicità della motivazione, che è solo
apparente, in relazione allo stato di capacità della Moro. Rileva, infine,
l’erronea applicazione di norme giuridiche (quelle di diritto canonico inerenti
al riconoscimento dell’associazione C.o.s.e.) in relazione al fatto che
l’associazione C.o.s.e. è stata canonicamente eretta in due diocesi ed è
tutt’ora esistente ed operante. Poiché tale dato è certo, la natura dubbia
dell’associazione costituisce un’illazione che non può essere considerato un
indizio per l’eventuale sussistenza di ipotesi di circonvenzione da parte dei
suoi dirigenti.
Il difensore della ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.
Motivi della decisione
Il ricorso è manifestamente infondato sotto due diversi profili.
Il primo profilo è che non vi sono fatti sopravvenuti — come
correttamente rilevato dal Tribunale — in grado di scardinare il giudicato
cautelare sul fumus e sul periculum in mora. Si deve, in proposito, rilevare
che una volta esaurita la fase del riesame (ivi compreso l’eventuale ricorso
per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale) o anche in pendenza della
stessa oppure in caso di mancata proposizione di questo mezzo di gravame,
con implicito riconoscimento della legittimità ed adeguatezza della misura

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cautelare reale disposta e della sua conformità alle risultanze procedimentali
o processuali, è possibile richiedere la revoca di detta misura, solo ove sia
modificato il quadro processuale per “fatti sopravvenuti”. Pertanto, ove la
situazione processuale non sia mutata, diventa inammissibile ogni ulteriore
richiesta di revoca della misura cautelare reale e, conseguentemente,
l’appello proposto avverso l’ordinanza di rigetto o dichiarativa di questa
inammissibilità, se non vengano dedotti “fatti sopravvenuti” tali da escludere

la sussistenza delle condizioni per l’applicabilità del sequestro (Sez. 3,
Sentenza n. 1512 del 12/05/1994 Cc. – dep. 21/06/1994 – Rv. 198182; Sez.
3, Sentenza n. 38875 del 17/10/2001 Cc. – dep. 30/10/2001 – Rv. 220132;
Sez. 3, Sentenza n. 1708 del 13/11/2002 Cc. – dep. 16/01/2003 – Rv.
223474).
Il secondo profilo è che la motivazione del provvedimento impugnato è
tutt’altro che apparente e mancante: la motivazione è, infatti, logica,
esaustiva e non contraddittoria e quindi inattaccabile ex art. 325 del c.p.p. (si
vedano le pagine 2 e 3 dell’impugnato provvedimento nelle quali il Tribunale,
dopo aver preso atto dei documenti difensivi, li esamina correttamente e
fornisce un’incensurabile motivazione sugli stessi evidenziando, anche, tutti
gli elementi probatori acquisiti). Anzi appare contraddittorio il ricorso: infatti a
pagina 2 si definisce apodittica l’affermazione sullo stato di capacità della
P.O. (e viene citata una parte della consulenza di tale dott.ssa Semerari che
a giudizio del difensore della ricorrente esclude una sua circonvenibilità) e,
poi, a pagina 4 si cita la C.T. di tale dottoressa Messina che fissa la data del
2006 come quella dalla quale la Moro sarebbe in condizioni di essere
circonvenuta. Quindi appare chiaro che, come sostenuto dal Tribunale, le
condizioni di salute della P.O. si ricavano dalla C.T. del P.M. (si veda pagina
3 dell’impugnato provvedimento) il cui contenuto non è oggetto di
contestazione dal punto di vista tecnico (anzi il Tribunale evidenzia che il
difensore della P.O. aveva annunciato una sua C.T. che non è stata, però,
presentata), ma solo con domande del tipo perché non viene indagato anche
il sacerdote che ha dato in quella epoca consigli alla P.O. (la risposta a tale
quesito — che, tra l’altro, seppure fosse fondato non avrebbe alcuna
incidenza sull’eventuale responsabilità dell’indagata che avrebbe anche lei
approfittato delle condizioni della P.O. per circonvenirla – se la dà lo stesso
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difensore quando afferma che i consigli di questo sacerdote — che come
rappresentati non sembrano integrare il reato di circonvenzione — non sono
stati seguiti dalla P.O.; si veda sul punto anche pagina 3 dell’impugnato
provvedimento). Infine, il Tribunale affronta in modo corretto la questione del
riconoscimento dell’associazione C.o.s.e. (citando documenti e
testimonianze; sul punto il difensore risponde solo richiamando le norme
canoniche che disciplinano la materia e senza contestare quanto scritto dal

Tribunale). Inoltre si deve osservare che se anche l’associazione fosse
regolarmente riconosciuta nulla esclude che alcuni suoi dirigenti possano
aver approfittato delle condizioni di salute della P.O. (il Tribunale non pone la
questione del riconoscimento quale indizio, ma come contorno, così come —
allo stesso fine – evidenzia la posizione di alcuni dei dirigenti e/o fondatori di
tale associazione).
Si deve, in proposito, tener ben presente che in tema di riesame delle
misure cautelari reali, nella nozione di “violazione di legge” per cui soltanto
può essere proposto ricorso per cassazione a norma dell’art. 325, comma
primo, cod. proc. pen., rientrano la totale mancanza di motivazione o la
presenza di motivazione meramente apparente, in quanto correlate
all’inosservanza di precise norme processuali, ma non l’illogicità o la
incompletezza di motivazione le quali non possono denunciarsi nel giudizio di
legittimità nemmeno tramite lo specifico e autonomo motivo di ricorso di cui
alla lett. e) dell’art. 606 stesso codice, posto che questo richiede la
“mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità” della motivazione. (Sez.
5, Sentenza n. 8434 del 11/01/2007 Cc. – dep. 28/02/2007 – Rv. 236255;
Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. – dep. 26106/2008 – Rv.
239692).
La motivazione dell’ordinanza impugnata — come già rilevato – non solo
non presenta alcun vizio che possa far ritenere sussistente la “violazione di
legge” di cui all’articolo 325 del c.p.p., ma è così esaustiva, logica e non
contraddittoria che porterebbe alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso
anche se non operasse il limite di cui all’articolo 325 del codice di procedura
penale.
A fronte di quanto sopra il difensore della ricorrente contesta
l’interpretazione data dal Tribunale ai fatti e fornisce una sua diversa
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prospettazione. Orbene, quanto sopra porterebbe alla dichiarazione di
inammissibilità anche se si fosse in presenza di un ricorso per Cassazione
nel quale poter proporre tutti i motivi previsti dall’articolo 606 del codice di
procedura penale. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di
cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa

giustificazione sia, come nel caso di specie, compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. Restano escluse da tale controllo sia
l’interpretazione degli elementi a disposizione del Giudice di merito sia le
eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia
macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi
argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato. Ne consegue
che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso
fondati su una diversa prospettazione dei fatti nè su altre spiegazioni, per
quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente. (Sez. 6,
Sentenza n. 1762 del 15/05/1998 Cc. – dep. 01/06/1998 – Rv. 210923; si
vedano anche Cass. Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004
rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv
215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv
196955).
L’inammissibilità del ricorso è ancor più evidente nel caso di specie,
perché, come si è già rilevato, l’unico motivo di ricorso ammesso, ex articolo
325 c.p.p., è quello della violazione di legge.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la ricorrente che lo ha proposto deve essere
condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.

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Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano lago

Il residente
Dottoo io sposito

Così deliberato in camera di consiglio, il 09/04/2014.

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