Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32667 del 09/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32667 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Sergio lacona, quale difensore di Ferraro
Antonino Marcello (n. il 06/06/1958), avverso l’ordinanza del Tribunale di
Caltanissetta, in data 17.10.2013.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Sante Spinaci,
il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

Osserva:

Data Udienza: 09/04/2014

Con ordinanza del 26.09.2013, il G.I.P. del Tribunale di Caltanissetta
emise la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Ferraro
Antonino Marcello, indagato per il reato di sequestro di persona a scopo di
estorsione in concorso, aggravato dall’art. 7 L. 203/1991.
Avverso il prowedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di

riqualificato il fatto in estorsione in concorso aggravata anche dall’ad. 7 L.
203/1991, confermò l’ordinanza custodiale di cui sopra.
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo la
mancanza, la manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in
ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. In particolare
evidenzia tutte le circostanze dalle quali si ricava l’inattendibilità delle
dichiarazioni rese dal chiamante in correità Di Gati Elia. Inoltre sottolinea che
il ricorrente non è mafioso, come comprovato dall’assoluzione dello stesso
dal reato di cui all’ad. 416 bis del c.p.; a tal proposito riporta le dichiarazioni
dei molti collaboratori di giustizia che nel procedimento soprannominato
“redde rationem” hanno escluso che il Ferraro fosse un appartenente alla
famiglia mafiosa di Caltanissetta. Sul punto rileva che il Tribunale non ha
preso nella debita considerazione questo importante fatto, “liquidato” con
motivazione insufficiente
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’ad. 591 lettera c) in
relazione all’ad. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono le
stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici. Infatti il Tribunale — dopo aver richiamato il
provvedimento genetico – ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di

riesame. Il Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza del 17.10.2013,

colpevolezza a carico dell’indagato per il reato di cui sopra. In particolare il
Tribunale prende atto delle inesattezze del narrato del Di Gati, ma osserva
che senza tali dichiarazioni non si sarebbe scoperta la vicenda che, per
paura, non era stata denunciata dalla P.O.; P.O. che ha, poi, confermato
l’accadimento, così come ha fatto anche il ricorrente (che esclude solo di
aver percepito alcunché per il suo intervento che voleva essere di solo aiuto
alla P.O.) e dallo Spagnoli. Infine, il Tribunale fornisce una motivazione

incensurabile del perché l’assoluzione del ricorrente dal reato di cui all’ad.
416 bis del c.p. non incida sul reato di estorsione aggravato dall’ad. 7 L.
203/1991 (si vedano le pagine 15 e 16 dell’impugnato provvedimento).
A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente
contrappone, quindi, solo generiche contestazioni.
In proposito questa Corte ha più volte affermato il principio, condiviso
dal Collegio, che è inammissibile il motivo di ricorso per Cassazione quando
manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle dell’atto di impugnazione, che non può ignorare
le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità (si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
rawisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in
libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis
del citato articolo 94.

3

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del

Così deliberato in camera di consiglio, il 09/04/2014.

codice di procedura penale.

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