Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32660 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32660 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Saracino Gaetano, nato a Cerignola il 15/10/1979;
avverso la sentenza del 27/09/2012 della Corte d’appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore dell’imputato avv. Giovanni Della Croce in sostituzione dell’avv.
Francesco Santangelo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10.1.2007 il Tribunale di Ferrara dichiarò Saracino
Gaetano responsabile dei reati di rapina aggravata, consumata e tentata e di
furto aggravato, unificati sotto il vincolo della continuazione e lo condannò alla
pena di anni 6 di reclusione ed C 2.000,00 di multa, pena accessoria.

2.

L’imputato propose gravame e la Corte d’appello di Bologna, con

sentenza del 27.9.2012 in parziale riforma della pronunzia di primo grado,
dichiarò non doversi procedere in ordine al delitti di furto aggravato perché

Data Udienza: 15/07/2014

estinti per prescrizione e rideterminò la pena per i residui reati in anni 5 mesi 8
di reclusione ed € 1.900,00 di multa.

3. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:
1. mancata assunzione di un prova decisiva in relazione al motivo di appello
con il quale, impugnando anche ordinanza del primo giudice 19.12.2006,
era stata richiesta la rinnovazione del dibattimento per procedere al
confronto fra il perito d’ufficio ed il consulente di parte;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla conferma
responsabilità

essenzialmente

basata

sulle

affermazioni del perito Mezzetti; il cui metodo e le cui conclusioni sono
state contestate dal consulente di parte; la Corte territoriale ha ripercorso
la motivazione del primo giudice senza spiegare perché fosse condivisibile
il metodo seguito dal perito d’ufficio; la Corte d’appello ha ritenuto
fondata la perizia sulla base dell’esperienza del perito;
3. vizio di motivazione in relazione alla determinazione della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La sentenza con cui il giudice respinge la richiesta di una perizia, ritenuta
decisiva dalle parti, non è censurabile ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett.
d), cod. proc. pen., in quanto costituisce il risultato di un giudizio di fatto che, se
sorretto da adeguata motivazione, è insindacabile in cassazione. (Cass. Sez. 4,
Sentenza n. 7444 del 17/01/2013 dep. 14/02/2013 Rv. 255152).
D’altra parte questa Corte ha chiarito che non è data ai consulenti tecnici la
facoltà di controesame dei periti, giacché l’art. 501, comma primo, cod. proc.
pen., in tema di esame dei periti e dei consulenti tecnici, rinvia alle disposizioni
sull’esame dei testimoni in quanto applicabili e queste ultime non prevedono
alcuna forma di controesame dei testi tra di loro; non sussiste altresì alcun
obbligo per il giudice di disporre un confronto diretto tra gli stessi, restando
affidata al difensore l’eventuale esposizione dei motivi di dissenso dalle
conclusioni dell’elaborato (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6381 del 27/01/2005 dep.
18/02/2005 Rv. 231106).

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure
di merito.
In tema di controllo sulla motivazione, il giudice che ritenga di aderire alle
conclusioni del perito d’ufficio, in difformità da quelle del consulente di parte, non
può essere gravato dell’obbligo di fornire autonoma dimostrazione dell’esattezza

2

dell’affermazione di

scientifica delle prime e dell’erroneità delle seconde, dovendosi al contrario
considerare sufficiente che egli dimostri di avere comunque valutato le
conclusioni del perito di ufficio, senza ignorare le argomentazioni del consulente.
Ne consegue che può ravvisarsi vizio di motivazione solo se queste ultime siano
tali da dimostrare in modo inconfutabile la fallaci& delle conclusioni peritali.
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 25183 del 17/02/2009 dep. 17/06/2009 Rv. 243791).
Ciò non consta nel caso in esame e la valutazione espressa dalla Corte
territoriale alle p. da 12 a 20 della sentenza impugnata rientra nei limiti di una
plausibile opinabilità del giudice di merito.

deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del
30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del
21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.

3. Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione
alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione
della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non
eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e
globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli
specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del
20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. n. 155508; n. 148766; n.
117242).

4. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa

3

Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non

nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 15/07/2014.

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