Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32659 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32659 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Ceci Gianfranco, nato a Bari il 12/07/1930;
avverso la sentenza del 06/05/2013 della Corte d’appello di Bari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per la parte civile De Pascale Maria, quale erede di De Pascale
Michelangelo, l’avv. Mario Malcangi, che ha concluso chiedendo la dichiarazione
di inammissibilità o il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente alla rifusione
delle spese;
udito per l’imputato l’avv. Massimo Lubelli, anche in sostituzione dell’avv.
Rosario Cristini, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15.4.2010 il Tribunale di Bari dichiarò Ceci Gianfranco
responsabile di truffa aggravata e continuata e – concesse le circostanze
attenuanti generiche equivalenti all’aggravante – lo condannò alla pena di mesi 7
di reclusione ed € 100,00 di multa, pena sospesa.

Data Udienza: 15/07/2014

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento del danno ed alla
rifusione delle spese a favore della parte civile De Pascale Maria, quale erede di
De Pascale Michelangelo.

2. L’imputato propose gravame e la Corte d’appello di Bari, con sentenza
6.5.2013, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ridusse la somma
liquidata dal primo giudice per danno morale ad € 30.000,00 e confermò nel
resto la sentenza appellata.

1. violazione della legge processuale in relazione alla nullità della
dichiarazione di contumacia nel giudizio di appello in quanto egli aveva
eletto (dichiarato) domicilio presso la propria abitazione, mentre la
notifica del decreto di citazione fu effettuata presso il difensore di fiducia;
all’udienza del giorno 11.2.2013 la Corte territoriale non ha rilevato il
vizio di notifica ed ha invece ritenuto legittimo l’impedimento
dell’imputato, rinviando il processo all’udienza del 6.5.2013 senza però
dare avviso all’imputato della nuova udienza; a tale udienza l’imputato,
non presente, fu dichiarato contumace; ciò integrerebbe una nullità
assoluta ed insanabile, trattandosi di omessa citazione;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione
dei fatti come truffa, ravvisata in comportamenti omissivi e cioè per non
aver informato la persona offesa della propria situazione patrimoniale,
senza precisare sulla base di quale fattispecie contrattuale tipica
sarebbero stati applicabili gli artt. 1337 e 1375 cod. civ.; la pronunzia di
legittimità richiamata dalla Corte territoriale non sarebbe attinente al caso
in esame che riguarda l’erogazione di un prestito a titolo di amicizia, in
cui non sarebbe mai venuta in rilievo la capacità patrimoniale
dell’imputato, essendo invece noti i rapporti con la C.M.C. S.r.l., come
sarebbe evidenziato dai documenti allegati alla querela, dalla deposizione
della persona offesa e dalle spontanee dichiarazioni dell’imputato; non vi
sarebbe alcuna menzogna o alterazione della realtà e comunque
mancherebbe l’elemento soggettivo del reato e le richiamate risultanze
sarebbero state travisate;
3. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale
avrebbe applicato analogicamente in malam partem la legge penale,
attraverso i principi civilistici di cui agli artt. 1337 e 1375 cod. civ.; non vi
è alcun obbligo generale di portare a conoscenza dell’altra parte le proprie
condizioni economiche ed anzi l’art. 1338 cod. civ. prevede solo l’obbligo
di segnalare le cause di invalidità del contratto; l’erronea convinzione

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3. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:

della persona offesa sulla capacità patrimoniale dlel’imputato non è
dipesa dal silenzio di Ceci; l’imputato sin dal 29.7.2004 aveva conferito i
suoi beni immobili (peraltro gravati da ipoteche e passività) in una società
di capitali;
4. violazione di legge e vizio di motivazione anche in relazione ai documenti
acquisiti agli atti del processo; la Corte d’appello ha affermato che
l’assunto dell’imputato di aver riferito alla persona offesa che avrebbe
restituito la somma mutuata quando avesse incassato il credito di C
250.000,00 che vantava verso la CMC S.r.l., per cui era pendente una

probatorio; in tal modo la Corte territoriale avrebbe ignorato la
documentazione prodotta (richiamata nel ricorso) per provare la
sussistenza del credito dell’imputato nei confronti della predetta società
CMC;
5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla documentazione
(indagini immobiliari e societarie, richiamate nel ricorso) effettuate da
avvocati civilisti su mandato della persona offesa sin dall’ottobre 2005;
ciò proverebbe da un lato la conoscenza in capo alla persona offesa della
situazione patrimoniale dell’imputato e dall’altro la tardività della querela;
(sporta il 21.2.2008); sarebbe stata trascurata la portata del mandato
conferito ai difensori civilisti dalla persona offesa, che hanno fatto uso
della documentazione per richiedere decreto ingiuntivo;
6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
sussistenza della continuazione ignorando le censure svolte nell’atto di
appello; manca l’indicazione dell’unico disegno criminoso ed il silenzio
maliziosamente serbato avrebbe dovuto riguardare ogni singolo prestito;
7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata
qualificazione del fatto come mero inadempimento civile o quale reato di
insolvenza fraudolenta.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
La nullità, derivante dalla esecuzione della notificazione del decreto di
citazione per il giudizio di appello presso il difensore di fiducia, anziché nel
domicilio dichiarato o eletto dall’imputato, deve ritenersi sanata quando risulti
provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di
esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta
tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184,
comma primo, alle sanatorie generali di cui all’art. 183, alle regole di deducibilità

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causa civile innanzi al Tribunale di Napoli non avrebbe trovato riscontro

di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 cod. proc.
pen.. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 15081 del 08/04/2010 dep. 19/04/2010 Rv.
247033. Nella specie, la Corte ha ritenuto sanata la nullità, in quanto, tenuto
conto del rapporto fiduciario tra il difensore e l’imputato, la notificazione non era
stata inidonea a determinare la effettiva conoscenza dell’atto da parte di
quest’ultimo ed il difensore comparso all’udienza dibattimentale nulla aveva
eccepito al riguardo).
Nel caso di specie la nullità non solo non è stata tempestivamente eccepita,
ma è stato richiesto rinvio per impedimento dell’imputato, così sanando

Nel motivo di ricorso inoltre si fa generico riferimento al fatto dagli atti
processuali non emerge che l’imputato abbia avuto conoscenza dell’udienza
11.2.2013, ma non si precisa affatto che egli non abbia avuto conoscenza della
citazione.
È inammissibile, per difetto di specificità del motivo, il ricorso per cassazione
con cui si deduca la nullità della notifica di un atto in quanto effettuata presso il
difensore di fiducia, pur in assenza di rituale elezione di domicilio, ove il
ricorrente non indichi il concreto pregiudizio derivato dalla mancata conoscenza
dell’atto stesso e dal non avvenuto esercizio del diritto di difesa. (Cass. Sez. 6,
Sentenza n. 28971 del 21/05/2013 dep. 08/07/2013 Rv. 255629).
L’omessa notifica all’imputato – al quale sia ritualmente notificato il decreto
di citazione a giudizio – dell’avviso di fissazione della nuova udienza, nel caso di
rinvio del dibattimento per legittimo impedimento del medesimo imputato, dà
luogo ad una nullità a regime intermedio, come tale sanabile se non dedotta nei
termini di cui all’art. 180 cod. proc. pen. e, nel caso in cui la parte assista al
compimento di atti che richiedano il predetto avviso, nei termini di cui all’art.
182, comma secondo, cod. proc. pen. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17027 del
23/01/2013 dep. 12/04/2013 Rv. 255503).
In caso di mancata comparizione all’udienza dell’imputato che non abbia
allegato alcun legittimo impedimento, qualora il giudice ometta di verificare i
presupposti atti a legittimarne la dichiarazione di contumacia e si limiti ad
annotare nel verbale di udienza che l’imputato è “libero assente”, ha luogo
un’anomalia tale da consentire di stabilire se si tratti di mancata presenza dovuta
a oggettiva impossibilità di comparire o di volontaria sottrazione al
contraddittorio, con la conseguenza che tale incertezza non può che essere
intesa in senso favorevole all’imputato non comparso e non dichiarato
ritualmente contumace. Ne consegue che, in tale ipotesi, il rinvio conseguente
all’impedimento accertato del difensore implica necessariamente la nuova
citazione non solo del difensore fiduciario impedito, ma anche dell’imputato
assente. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25675 del 19/05/2009 dep. 18/06/2009 Rv.
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nullità.

244170. Nella specie, peraltro, non essendo stata eccepita dal difensore di
fiducia la mancata rinnovazione dell’avviso all’udienza successiva, ed essendo
così rimasta sanata la relativa nullità, la Corte ha rigettato il ricorso).
Nel caso in esame la mancata notifica all’imputato dell’avviso di rinvio ad
altra udienza non è statcvtempestivamente eccepita ed è quindi sanata.

2. Il secondo, terzo, quarto, quinto e settimo motivo di ricorso (quanto a
quest’ultimo motivo nella parte in cui assume che si sia in presenza di mero
inadempimento civile) sono manifestamente infondati e svolgono anche censure

Questa Corte ha chiarito che integra gli estremi della truffa contrattuale la
condotta di chi ponga in essere artifizi o raggiri consistenti nel tacere o nel
dissimulare fatti o circostanze tali che, ove conosciuti, avrebbero indotto l’altro
contraente ad astenersi dal concludere il contratto. (Cass. Sez. 2, Sentenza n.
28703 del 19/03/2013 dep. 04/07/2013 Rv. 256348).
Anche l’erogazione di un prestito a titolo di amicizia, integra un contratto al
quale sono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 1337 e 1375 del codice civile,
con conseguente obbligo di dichiarare la propria reale situazione patrimoniale.
Si deve inoltre osservare che il ricorrente, sotto il profilo del vizio di
motivazione, tenta in realtà di sottoporre a questa Corte un giudizio di merito,
non consentito anche dopo la modifica normativa dell’art. 606 cod. proc. pen.,
lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 che ha lasciato inalterata la natura
del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di
legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito.
Al giudice di legittimità resta tuttora preclusa – in sede di controllo della
motivazione – la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e
valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice del merito perché
ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa. Tale
modo di procedere trasformerebbe, infatti, la Corte nell’ennesimo giudice del
fatto, mentre la Corte, anche nel quadro nella nuova disciplina, è e resta giudice
della motivazione.
Nel caso di specie va anche ricordato che ci si trova dinanzi ad una “doppia
conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di
travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso
in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento
probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come
oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Il vizio di motivazione può infatti essere fatto valere solo nell’ipotesi in cui
l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel
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di merito.

caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutum” con recuperi in
sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla
critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non
esaminati dal primo giudice (Cass. Sez. 4 n. 19710/2009 Rv 243636; Cass. Sez.
1 n. 24667/07; Cass. Sez. 2 n. 5223/2007 rv. 236130).
Nel caso in esame, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso
materiale probatorio valutato dal Tribunale ed è pervenuto alle stesse
conclusioni.
Peraltro non si tratta di mancata valutazione di atti a contenuto probatorio o

ricorso.
Anche in relazione alla dedotta tardività della querela si è in presenza di una
lettura delle risultanze diversa da quella data dai giudici di merito, circa la
consapevolezza in capo alla persona offesa della reale situazione patrimoniale fin
dal 2005, ma, in materia di ricorso per Cassazione, perché sia ravvisabile la
manifesta illogicità della motivazione considerata dall’art. 606 primo comma lett.
e) cod. proc. pen., la ricostruzione contrastante con il procedimento
argomentativo del giudice, deve essere inconfutabile, ovvia, e non rappresentare
soltanto una ipotesi alternativa a quella ritenuta in sentenza. (V., con riferimento
a massime di esperienza alternative, Cass. Sez. 1 sent. n. 13528 del 11.11.1998
dep. 22.12.1998 rv 212054).

3. Il sesto motivo di ricorso-inammissibile ai sensi dell’art. 606 comma 3 cod.
proc. pen. non essendo stato dedotto con i motivi di appello.
Infatti la questione della continuazione era stata prospettata in appello non
nei termini in cui oggi è dedotta, ma solo in relazione alla richiesta di esclusione
della circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 7 cod. pen.

4. Il settimo motivo di ricorso per la parte relativa alla mancata qualificazione
del fatto come insolvenza fraudolenta è manifestamente infondato.
Questa Corte ha chiarito che la conclusione di un negozio giuridico può
integrare gli estremi della truffa anche se il comportamento contrattuale sia
corretto, quando la condotta dell’autore del reato sia preordinata al fine di
procurarsi un ingiusto profitto e la rappresentata correttezza sia strumentalizzata
allo scopo di sorprendere la buona fede dell’altro contraente sotto la parvenza di
una regolare attività negoziale. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5660 del 14/01/1982
dep. 05/06/1982 Rv. 154122; conf. mass n 144032).
I delitti di truffa e insolvenza fraudolenta differiscono perché, mentre in
quest’ultimo il fine illecito viene conseguito mediante la dissimulazione di una
condizione vera e precisamente della insolvibilità dell’agente che rende

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del loro travisamento, bensì di un’interpretazione diversa da quella proposta nel

impossibile l’adempimento dell’obbligazione assunta, nella truffa la frode viene
attuata mediante la simulazione di circostanze e condizioni non vere,
artificiosamente create o prospettate per indurre altri in errore; qualora però la
dissimulazione dell’insolvenza venga attuata mediante raggiri ricorre il delitto di
truffa (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5660 del 14/01/1982 dep. 05/06/1982 Rv.
154121; conf. mass n. 117730; n. 119541; n 120648; n. 135123; n. 136849).

5. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

norme sulla prescrizione del reato, dal momento che – secondo la giurisprudenza
delle Sezioni Unite di questa Corte – l’inammissibilità del ricorso per cassazione
dovuta alla mancanza, nell’atto di impugnazione, dei requisiti prescritti
dall’articolo 581 cod. proc. pen., ovvero alla manifesta infondatezza dei motivi
non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude,
pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma
dell’articolo 129 cod. proc. pen. (cfr.: Cass. Sez. Un., sent. n. 21 del 11.11.1994
dep. 11.2.1995 rv 199903; Cass. Sez. Un., sent. n. 32 del 22.11. 2000 dep.
21.12.2000 rv 217266).

7. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

8. La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del
ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile De Pascale Maria
per questo grado di giudizio che si liquidano (come da nota spese ritenuta
congrua, ma esclusa la voce fase introduttiva del giudizio essendo il ricorso solo
dell’imputato) in C 3.510,00 oltre I.V.A. e C.P.A.

P.Q.M.

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6. Da ultimo il Collegio osserva che non possono trovare applicazione le

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende, nonché
alla rifusione, in favore della parte civile De Pascale Maria, delle spese del grado,
liquidate in € 3.510,00 oltre I.V.A. e C.P.A.

Così deciso il 15/07/2014.

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